Molfetta e le Crociate

In posizione strategica nel Mediterraneo, la Puglia coi suoi porti fu il principale punto di partenza verso l’Oriente per i Crociati provenienti da tutta Europa. È certo che a Molfetta furono diversi gli ostelli ed i luoghi di ristoro per i crocesignati diretti verso Brindisi e Taranto. Ancora oggi nel centro adriatico è possibile vedere i resti di queste architetture medievali.

Michele Romano nel suo “Saggio sulla storia di Molfetta”, edito a Napoli nel 1842, ricorda che “nel torno di questo tempo si fabbricarono degli ospizi in molti luoghi, e in giusta distanza, ond’essere albergati di sera quei passaggieri. Ripresa la Terra Santa dai maomettani, infiniti cristiani eran reduci di colà, e parecchi ammalazzati non poteano proseguire il viaggio. All’oggetto fè Ruggiero costruire due ospedali circa 600 passi lungi da Molfetta verso l’ovest sulla sponda del mare…”.

Di questi due “ospedali” oggi ne resta uno, un edificio a tre corsie sovrastato da arcate sorrette da pilastri massicci. E’ un ambiente vuoto che doveva che conserva lungo i muri perimetrali mensole in pietra per lucerne e nicchie di varia forma che, molto probabilmente, servivano per deporre le suppellettili dei pellegrini. Più che clinica, per “ospedale” chiaramente va da intendersi un ostello, in ragione della radice etimologica del termine “hospitalis”. Vi trovavano accoglienza e ristoro i pellegrini che andavano o ritornavano dalla Terra Santa e, siccome in molti portavano con sé malattie o gravi ferite, spesso è qui che esalavano l’ultimo respiro.

L’alto numero di spoglie indusse Guglielmo I a costruire un cimitero per la loro sepoltura. Romano ricostruisce così i fatti: “Parecchi di essi pellegrini, inviliti dal viaggio e dal corrurcio per la diffalta di Terra Santa, si morivano: si dovè dar di piglio alla costruzione di un cimitero, quale fu formato nell’atrio dei cennati ospedali, e lo fu denominato Carnaria…”.

Lo stesso autore ci informa della fondazione della Basilica intitolata alla Madonna dei Martiri: “Guglielmo il Male, figlio di Ruggiero re di Napoli, ordinò che sul cimitero, eretta si fosse la chiesa, quale fu terminata nel 1162. Nello stesso anno fu benedetta dal vescovo di Ruvo (sendo l’ordinario assente) di nome Urso, in presenza dell’arciprete Magno, dei primiceri Ungro e Guido, e dei sacerdoti Niccolò Romano, mio antenato, Melicecca ed altri chiesastici. Dai martiri ivi seppelliti si diè alla chiesa il titolo di Santa Maria dei Martiri”. Questo luogo di culto diventò a sua volta meta di pellegrinaggi poiché con la venerazione dei crociati caduti rientrava in quella dei martiri di Cristo.

Più tardi, nel 1188, la chiesa accolse anche un’icona della Madonna con Bambino, del tipo Vergine della tenerezza “dipinta alla greca, su tavola di cedro, pari a quella di santa Maria Maggiore di Roma”. È un dipinto ad olio raffigurante la Madonna col Bambino, quella che i Greci chiamano la “Madonna della dolcezza” perché è l’immagine dell’amorevolezza di una mamma verso il proprio figlio. Negli angoli in alto due Angeli reggono un drappo che fa da sfondo all’immagine.

Questa icona fu al centro di un culto di massa che travalicò i confini del Regno per il diffondersi di intercessioni e grazie. La Madonna concesse più volte protezione contro le incursioni turche dal mare; in tre casi l’immagine sopravvisse ad invasioni, incendi e furti.

Racconta Romano: “Nell’approssimarsi un’armata turca vicino la cennata chiesa per disbarcare, un pescatore Lonardo Visaggio era lì alla pesca, e intese le voci dei barbari, onde si mise in fuga. Era il mare placido. Improvviso oragano devia miracolosamente il disbarco. Il Generale Ottomano ricercò se fossero tra i schiavi persone di questi lidi, gli fu presentato un certo Antonio di Melpignano; e dimandato, se presso l’alta torre esploratoria vi fosse cosa sacra o prodigiosa, rispose esservi la chiesa della Vergine SS. molto miracolosa. Sdegnato e borbottando il generale, disse: ‘ah! si è d’essa che ha resi vani i miei disegni’. E drizzatosi verso il monte Sant’Angelo, s’impadronì del Vasto e di altre terre. Di là fuggito il detto Antonio, nel rimpadriarsi, passando per Molfetta, portatosi dal vescovo Bovio suo concittadino narrò l’accaduto, notando l’epoca; e reso noto dal pulpito il fatto, fu convalidato il detto del Visaggio, e si accertò il pubblico del miracolo di Maria Santissima. Disbarcato un corsaro turco con molte galee in una notte, ed entrati nella cennata chiesa, depredarono tutt’ i doni di argento e d’ oro, e degli arredi sacri; accesero del fuoco nella chiosa e dentro la cappella dell’altare maggiore, asportando la sacra immagine: rimbarcatisi, nè con vele, nè con remi poteron distaccarsi dal lido. Stupefatti, ed atterriti da tale miracolo, si videro obbligati a disbarcare, e restituire la preda. Così reduci al lido, con favorevol vento partirono. Ma la chiesa restò illesa dall’arsione. Non potè Monsignor Bovio ostare ad un subuso dei molfetiani, quali nella sera della festività di Maria SS. doll’Assunta, soleano a crocchi conferirsi nel luogo detto l’Isola, un miglio lontano dalla città verso l’est, ove esisteva una immagine della beata Vergine. Ivi intrattenevansi con danze, crapole, gozzovigli e successivo baccano l’intera notte. Accadde che molte galee turche, accortesi in quella notte di sì moltiplice adunanza, si drizzaron verso colà, onde far buona preda. Scoppia improvviso incendio in città. Spaventavoli si fanno le fiamme avvalorate dagli urli de’ cittadini. Il frastuono e le grida della popolazione in città, e l’arsione, scosse quegli dell’isola, onde trambustando, quai cani a lassa, e gridando, corsero verso la città. Il cigolio di questi, e ‘l frastuono di quelli che erano in città, fè credere ai turchi essere stati scoverti; e sebbene eransi coi schifi quasi avvicinati alla sponda, gli si fè segno dagli auzzini di retrocedere, e rimbarcatisi, presero altra direzione. Un cristiano schiavo su quelle galee, da queste fuggendo, non passò guari, che giunto in Molfelta, narrò l’accaduto, notando il tempo e l’ora, l’incendio e la velocità nel corso di coloro ch’ eran fuori. L’ottimo Prelato, oltre la voce sparsasi nel pubblico, nel dì seguente, giorno festivo, con sua omilia nella cattedrale fé pria noto al popolo il suo screzio di molti anni, da che erasi invertita la festa sacra in crapole notturne. Indi, che un fortuito, e strano evento poteva amuoverli. In effetto, l’incendio in città e il tramestio di quei sconsigliati che erano all’isola, e il loro correre a grida fra ciottoli e burroni, fe svanire l’attentato degli ottomani; che se nello sbonsolare e trincare, assaliti e soppressi fossero stati, già fin d’ora la metà del paese sarebbe nella schiavitù. Conchiuse essere stato un miracolo della beata Vergine, ad emenda del popolo. In fatti, non più si conferirono colà nel cennato giorno”.

Ma i legami di Molfetta col mondo dei crociati ci conducono anche al suo santo patrono: Corrado di Baviera.

Corrado nacque tra il 1105 e il 1106 a Ravensburg e fu il terzogenito di Enrico IX dei Guelfi e di Wulfilde di Sassonia. Non essendo destinato a ereditare i possedimenti del padre, venne avviato alla vita ecclesiastica. Negli anni di preparazione al sacerdozio fu attratto dalla predicazione del monaco cistercense Arnoldo e, senza il consenso della famiglia, Colonia, le ricchezze e gli agi connessi al proprio rango, e divenne monaco presso Morimond, in Francia. Arnoldo di lì a poco progettò un viaggio in Terra Santa con lo scopo di fondare un nuovo monastero ma l’iniziativa suscitò paura e disapprovazione nel suo Ordine, nonché l’ostilità di San Bernardo di Chiaravalle che in una lettera a papa Callisto II segnalò il coinvolgimento di Corrado nell’iniziativa di Arnoldo con la possibilità di inimicarsi il casato dei Guelfi. Agli inizi del 1125 però l’abate Arnoldo morì improvvisamente e i monaci unitisi a lui, spaesati, fecero ritorno ai loro monasteri, Corrado invece perseverò nell’idea d’un pellegrinaggio a Gerusalemme. Da solo giunse compì il suo viaggio ed al ritorno soggiornò a lungo a Molfetta, proprio nell’Ospedale dei Crociati. Trovò poi ospitalità presso una comunità di monaci benedettini di Modugno e qui si dette ad una vita da eremita. Nell’inverno del 1126, poco più che ventenne, morì.

Il corpo del santo restò a lungo a Modugno, poi fu traslato a Molfetta, città che lo elesse Patrono. Oggi è nel Duomo cittadino sotto l’altare a lui dedicato e il teschio incastonato all’interno di un busto d’argento.

 

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

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