Attualità di Francesco Mastriani
Proponiamo all’attento lettore di Historia Regni alcune considerazioni di Emilio Mastriani, discendete diretto di Francesco Mastriani, sul suo illustre antenato e sul romanzo “La Malavita” recentemente dato alle stampe. La Malavita fu pubblicato in 103 puntate sul Roma dal 29 settembre 1889 al 20 febbraio 1890. Il libro è ora nelle librerie per i tipi della Guida editori, grazie al lavoro certosino di Emilio e Rosario che nel corso di un lavoro durato molti anni, hanno trascritto tutti i romanzi inediti del grande scrittore.
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Checché abbiano detto, i vari detrattori del romanziere napoletano (Gina Algranati, Federigo Verdinois ed altri) o abbiano taciuto delle sue grandi opere (Francesco De Sanctis), i romanzi di Mastriani, ad oltre 120 anni dalla sua scomparsa, sono sempre apprezzati e letti con interesse.
Capirono il loro valore già, a suo tempo, i vari Benedetto Croce, Georges Herelle, Antonio Palermo, Matilde Serao, White Mario, etc. e lo hanno capito, da tempo, gli attuali studiosi ed estimatori del romanziere partenopeo come Francesco Guardiani, Nadia Ciampaglia, Francesco D’Episcopo, Patrizia Bottoni, Anna Gertrude Pessina, Cristiana Anna Addesso, Raffaele Giglio, Loredana Palma, Pasquale Sabbatino, Tommaso Scappaticci, Isaia Sales, etc.
Ne è la prova il fatto che vi sono, ancora oggi, editori disposti a ripubblicare alcuni dei romanzi più famosi e, soprattutto a pubblicare i 32 inediti che gli eredi del romanziere, Emilio e Rosario Mastriani sono riusciti a reperire dopo anni di duro lavoro di ricerca. L’Editore Guida è stato il primo a crederci ed ha infatti, pubblicato, da qualche mese, il primo dei romanzi inediti dal titolo “La Malavita”.
Questo romanzo evidenzia quanto la delinquenza e la criminalità organizzata, a Napoli, era presente ben prima del 1860 e quanto essa sia addirittura proliferata con l’ Unita d’Italia. Mastriani può, senza ombra di dubbio, essere considerato l’antesignano della “Camorra” di Roberto Saviano che ha cominciato a parlarne solo da alcuni anni.
Il romanziere napoletano conosceva Napoli ed il sottofondo napoletano (il ventre di Napoli) meglio di chiunque, se non altro per il fatto che egli, povero e bistrattato dagli editori, viveva in prima persona quei vicoli malsani e ne respirava l’aria quotidianamente. Mastriani, infatti, non potendo permettersi di pagare un fitto in quartieri altolocati, distinti e signorili, aveva cambiato casa una trentina di volte e soleva dire “il primo affamatore del popolo è il padrone di casa”.
Era sempre a contatto diretto con il disastrato popolo napoletano e ne conosceva pensieri ed opere. Sapeva molto bene che i fenomeni malavitosi trovavano terreno fertile nella impotenza ad evolversi dei poveri, del miseri e dei reietti, facile preda della camorra.
Dalla Napoli, città dalle più diverse forme di pensiero, dalla Napoli ove ha sempre albergato miseria, dolore, furbizia, tragedia, ma anche bontà d’animo, altruismo, folklore, vita, teatro, fatalismo e rassegnazione, egli ha saputo trarre, nobilitandola, la napoletanità più autentica.
Vero è che la criminalità più esasperata, a volte indotta anche a causa dell’assenza continua della presenza dello Stato è stata ed è, tutt’oggi, una piaga da sanare con interventi urgenti e massicci. Per questo motivo egli ha sempre denunciato l’inerzia del potere politico sia pre-unitario che post-unitario.
Ne è una testimonianza, tra i tanti suoi scritti in merito alla questione istruzione, la seguente lettera che egli indirizzò al fratello Giuseppe, Professore di Letteratura Italiana. (Dalla prefazione al romanzo di Francesco Mastriani ‘I Lazzari’): “Mio amatissimo fratello Giuseppe … in questo mio libro mi propongo di dipingere la vera indole dei nostri popolani e mostrare quali virtù civili si sarebbero sviluppate nei nostri lazzari, ove l’opera della secolare tirannide non ne avesse snaturato i germi … Ti dedico questo lavoro a testimonianza di affetto e sincera stima per il severo culto della verità e della ragione da te serbato in tempi difficili e perversi, in cui la simulazione e l’ipocrisia sono, per così dire, levate al posto di civili virtù” ed ancora: “ I governi pre-unitari e post-unitari non hanno neppure tentato di arginare quella spirale anticulturale che vedeva la cultura come reazione ai governi. Si tentò di colpire le persone colte, addirittura con la famosa ‘guerra alle intelligenze’. I letterati erano chiamati in senso di scherno ‘paglietti’ o ‘penniferi’ e si tentò di installare nel popolo l’idea che la cultura, in genere scienze, arte e letteratura, erano da aborrire. Gli studiosi e gli studenti erano ghettizzati e paragonati alle meretrici. Sulle porte di certi luoghi aperti al pubblico traffico, alcune iscrizioni recitavano: “ E’ vietato l’accesso alle meretrici, agli studenti ed agli infami”.
Da come si vede egli è stato, con il fratello Giuseppe, tra i primi ad interessarsi anche della “famosa et vexata quaestio” del meridione d’Italia, ed è stato anche il primo a narrarci, con dettaglio, il mondo della malavita.
Egli ci introduce, con abilità e realismo nei segreti più nascosti della Malavita, riuscendo a rivelarci persino le famose regole, segretissime, a cui devono sottostare i Tamurri ed i Picciotti che aspirano a diventare Cammorristi.
L’affiliazione alle Paranze comportava, infatti, la conoscenza e la accettazione delle 24 regole rigidissime da seguire sempre, ed in ogni occasione, pena la morte.
Ed erano regole terribili da accettare, come per esempio le seguenti:
– Sottomissione assoluta ai voleri del Capo Paranza;
– Divieto di contrarre matrimonio;
– Divieto di avere una famiglia;
– Divieto di avere un domicilio;
– Morte per i vigliacchi;
– Morte per chi non versa al Capo tutti i proventi del malaffare;
– Morte per chi svela i segreti della camorra;
– Morte per tentativi di cambiare le regole;
– Morte anche per chi tenta solo di conoscere di Persona il gran Capo.
La camorra di allora, d’altra parte non è molto dissimile da quella odierna, vessatrice, affamatrice, distruttrice degli strati sociali più deboli, spietata con i poveri e generosa e sensibile con i ricchi ed i potenti.
Naturalmente la delinquenza, allora come oggi, trova il suo “humus” nei vicoli e bassifondi della città, dove prostituzioni, furti, omicidi ed agguati trovano terreno fertile, complici le Istituzioni incapaci o colluse proprio con quella criminalità che essi, con parole, dicono di voler combattere.
Mastriani è riuscito a raccontarci la realtà partenopea in modo esclusivo e difficilmente eguagliabile e, a dispetto di quanti lo considerano uno “scrittore di nicchia”, “uno scrittore minore” ed “uno scrittore d’appendice” è, invece, uno degli scrittori più prolifici e, certamente, il massimo narratore della realtà napoletana.
A parere del sottoscritto Francesco Mastriani può e deve essere considerato, a tutti gli effetti, come “il verista per eccellenza della realtà napoletana, se non l’inventore ‘tout court’ del romanzo verista”.
Autore articolo: Emilio Mastriani
Grazie Vincenzo per lo spazio che hai dedicato alla Malavita e alla riflessione di Emilio.
Rosario