Cavour e il Congresso di Parigi
Il primo passo della politica piemontese sulla scena europea fu piccolo ma sicuro. Al Congresso di Parigi furon precisati gli scopi del Regno di Sardegna in maniera definita e chiara.
L’ascesa di Napoleone III, il 2 dicembre 1851, fu un presupposto chiave nelle trame di Cavour. Il francese vedeva in una Italia e in una Germania unite un mezzo per stabilire la pace e fiaccare l’Austria. La Guerra di Crimea rimescolò le carte.
L’Austria, prima isolata, si alleò con Francia e Prussia contro la Russia, tuttavia non partecipò al conflitto, forse timorosa che nel frattempo il Piemonte si fosse mosso o per imbarazzi interni nello sfaldare la vecchia Santa Alleanza. In silenzio, invece, il Regno di Sardegna guadagnò l’appoggio di Napoleone III e l’attenzione inglese. In un gioco diplomatico sottilissimo, Vittorio Emanuele ottenne d’essere ammesso con un suo rappresentante al Congresso di Parigi e lì Cavour tirò fuori tutti i suoi assi.
Si giovò del grave risentimento che spingeva i russi verso l’ingrato Asburgo e dell’acredine che aveva creato a Parigi e Londra la condotta spenta che Vienna aveva tenuto in guerra. Soprattutto stuzzicò il malcontento napoleonico per frutti ritenuti troppo magri, suggerendo che di migliori avrebbe potuto raccoglierne in Italia. È innegabile che sfruttò pure il fascino di un suo nemico, Giuseppe Mazzini, che aveva raccolto il favore di tutte le élites intellettuali europee. Disse di non aver ottenuto nulla e aveva ragione. Nulla il Piemonte guerriero aveva ottenuto in termini di concessioni territoriali, era però riuscito a distinguersi da Roma e Napoli, a farsi riconoscere come interlocutore credibile e a porre la questione unitaria in termini radicali, così radicali che il “diplomatico” Cavour li esplicò richiamando il cannone.
La seduta dell’8 aprile è quella chiave. “Il risultato della seduta di ieri – scrisse a Cibrario – è ben lungi dall’essere soddisfacente. Non abbiamo ottenuto alcun risultato pratico. Tuttavia, due fatti restano, che non sono senza importanza: 1) la condanna inferta alla condotta del re di Napoli dalla Francia e dall’Inghilterra dinnanzi all’Europa unita; 2) la condanna inferta dall’Inghilterra al governo clericale in termini tanto precisi ed energici, che il più caldo patriota italiano non avrebbe potuto sognar di meglio. Infine, un’ultima considerazione deve diminuire i rimpianti che la sterilità della nostra azione ci costringe a provare. Noi non potevamo sperare da un Congresso, dove l’Austria ha recitato la parte di mediatrice, che sortisse qualcosa di realmente utile all’Italia, un rimedio efficace ai mali che la affliggono. Se l’Austria fosse stata più condiscendente o la Francia più decisa, forse non sarebbe derivata qualche misura palliativa, senza grande valore. Invece, non abbiamo ottenuto nulla; ma l’ostinazione dell’Austria, la rigidità del conte Buol hanno profondamente irritato l’Imperatore, e devono averlo convinto che, come ho l’onore di ripetergli da tanto tempo, la questione italiana non comporta che una sola soluzione, il cannone”.
Il primo passo della politica piemontese sulla scena europea fu piccolo ma sicuro. Cavour circostanziò gli scopi del Regno di Sardegna in maniera definita e chiara. Quanto ebbe coronamento nel 1859-60 era già stato delineato: rivoluzione o reazione, rivoluzione che può estendersi all’intera Europa, reazione che può significare solo dominio austriaco, Casa Savoia e il suo regime costituzionale come unica soluzione.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: F. Valsecchi, Il problema italiano nella politica europea (1849-1859); G. Volpe, L’Italia del Risorgimento e l’Europa