Faenza contro Cesare Borgia

Probabilmente gran parte dei tiranni che Cesare Borgia ammazzò gli somigliavano per condotta, cattiveria, ambizione e passioni. I Malatesta, i Manfredi, i Montefeltro, gli Sforza, i Varano, i Bentivoglio avevano come lui esercitato la tirannide più brutale, spadroneggiato nelle loro terre e condotto vite dissolute. Probabilmente ciò non vale per Astorre Manfredi, signore di Faenza.

Nell’ottobre del 1499, col pretesto che non avevano pagato il tributo dovuto, fu decretato da Alessandro VI che i signori della Romagna e della Marca erano decaduti dai loro feudi. Quelle terre baronali avrebbero dovuto formare il reame di suo figlio Cesare che ebbe quindi soldi da padre e soldatesche dal Re di Francia, Luigi XII.

Piombò sulla Romagna, assediò dapprima Imola poi Forlì, Cesena, si presentò a Pesaro da cui cacciò l’ex cognato Giovanni Sforza, poi ebbe Rimini a patti da Pandolfo Malatesta, infine marciò su Faenza che pure s’era detta pronta a pagare i tributi dovuti, per bocca del suo signore, Astorre Manfredi, figlio di Galeotto Manfredi e di Francesca Bentivoglio, ma chiaramente non era questo ciò che Alessandro VI voleva.

Cesare Borgia aveva al suo seguito 150.000 soldati, per lo più francesi, ma non mancavano capitani italiani come Paolo e Giulio Orsini, Gian Paolo Baglioni, Onorio Savelli e Ferdinando Farnese.

I faentini non erano assolutamente pronti a respingere un esercito così vasto eppure dovettero farlo. Donarono al loro signore gioielli e denaro coi quali si poterono assoldare soldati. Quanti erano in grado di portare armi s’armarono e tutti furono posti sotto la guida del Conte Bernardino da Marzano.

Astorre Manfredi seguì i preparativi dando entusiasmo ai suoi, incoraggiandoli con nobili parole e, sebbene abbandonato dai Bentivoglio, parenti materni, nonché dai Fiorentini e dai Veneziani suoi vecchi alleati, non si dette per vinto. Affidò la città agli anziani e a sedici consiglieri e continuò a rincuorare i suoi concittadini.

Tutti i castelli di Val Lamone furono provvisti d’armi e vettovaglie, predisposti a resistere quanto più a lungo possibile, ma le cattive notizie non tardarono a giungere. Il 7 dicembre la vecchia rocca di Brisighella fu presa da Vitellozzo Vitelli, generale del Borgia, poi toccò alla vecchia. L’intero territorio rapidamente s’arrese solo Comparino Ceroni, castellano di Monte Maggiore, respinse valorosamente l’assalto di Vitellozzo, però, per poi essere costretto alla resa.

La perdita della valle fu di grave danno pei faentini, ma non li fece cader d’ animo, anzi dubitando della fedeltà del castellano di Faenza, Nicolò Castagnino, gli anziani lo sostituirono con Giovanni, fratello naturale di Astorre.

Le artiglierie di Cesare Borgia furono posizionate dalla parte del borgo tra i fiumi Lamone e Marzano in un luogo detto l’Isola, e principiarono il cannoneggiamento che il 26 del mese aprì la breccia nelle mura della città. Così il Valentino andò all’assalto.

Non trovò gran fortuna, anzi, fu più volte respinto e contò tra le perdite anche quella di Onorio Savelli. Molto di quel successo era da attribuire alle artiglierie del torrione del fiume che continuarono a sparare sul nemico anche quando questi era in ritirata.

Sopraggiunse però l’inverno con piogge scroscianti, freddo ed abbondanti nevicate e il Valentino fu costretto sciogliere l’assedio. Non poté però perdonare a quella piccola città tanta tenace resistenza.

Spedì un suo uomo, Vincenzo di Naldo, per stipulare un accordo coi sedici di Faenza, ma nel parlamento tenuto li 3 dicembre la città si ribadì fedele al suo signore, Astorre Manfredi.

Cesare Borgia non volle però attendere che passasse l’inverno e la notte del 21 gennaio del 1501, fece accostare alle mura di Faenza i suoi fanti che iniziarono a scalare le pareti senza però riuscire ad eludere la sorveglianza. Stizzito da questo nuovo fallimento, il Valentino volse le sue truppe contro Granarolo e Russi, ancora fedeli al Manfredi, e dopo alcuni giorni se ne impadronì.

Giunta infine la primavera riprese l’interrotto assedio.

Astorre però non erasi stato a riposo in quei mesi e Faenza appariva ora fortificata e meglio armata, con un grosso bastione fuori delle mura. Contro il nuovo edificio il Valentino rivolse i suoi attacchi e, dopo alcuni giorni di violento fuoco, se ne impadronì piantando da lì le sue artiglierie contro la rocca. Dopo sei giorni si aprì una nuova breccia e fu ordinato l’assalto

Ma ancora una volta i faentini, con alla testa Astorre Manfredi, furono vittoriosi e, dopo circa tre ore di lotta, tremenda a corpo a corpo, Cesare fu costretto a suonare la ritirata lasciando sul suolo oltre duemila e fra Ferdinando Farnese.

L’assedio si tramutò in blocco, tutte le strade che portavano alla città furono presidiate, ogni comunicazione fu interrotta ed il popolo di Faenza precipitò presto in stenti e miserie. Ogni notte per fame gruppi di faentini fuggivano lasciandosi calare dalle mura. Fra questi ci fu anche il tintore Bartolomeo che si presentò al Valentino proponendosi d’aiutarlo, ma Cesare Borgia lo fece impiccare perché la resistenza della città non meritava atti di fellonia. Faenza sarebbe sì caduta, ma per solo merito suo.

Gli anziani stabilirono d’inviare parlamentari al Valentino ed offrirgli la città in cambio della vita dei suoi cittadini. Cesare Borgia accondiscese alla loro proposta ed il 25 aprile furono firmati i capitolati di resa coi quali si conveniva pure libertà per Astorre Manfredi.  Questi, lo stesso giorno si presentò al Valentino. Fu ben accolto e restò in quel campo fino a quando misteriosamente sparì insieme a suo fratello Giovanni, altro animatore della resistenza di Faenza. Pochi anni dopo i giovani corpi dei due fratelli furono ritrovati nelle acque del Tevere.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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