La battaglia di Lissa

La battaglia di Lissa, combattuta al largo delle coste croate il 20 luglio 1866 con la sconfitta della flotta italiana, è raccontata da due reduci protagonisti de “I Malavoglia” di Giovanni Verga.

***

 

Una vecchia andava strillando per la piazza, e si strappava i capelli, quasi le avessero portato la malanuova; e davanti alla bottega di Pizzuto c’era folla come quando casca un asino sotto il carico, e tutti si affollano a vedere cos’è stato, talché anche le donnicciuole guardavano da lontano colla bocca aperta, senza osare d’accostarsi.
lo, per me, vado a vedere cos’è successo; – disse Piedipapera, e scese dal muro adagio adagio.
In quel crocchio, invece dell’asino caduto, c’erano due soldati di marina, col sacco in spalla e le teste fasciate, che tornavano in congedo. Intanto si erano fermati dal barbiere. a farsi dare un bicchierino d’erbabianca.
Raccontavano che si era combattuta una gran battaglia di mare, e si erano annegati dei bastimenti grandi come Aci Trezza, carichi zeppi di soldati; insomma un mondo di cose che parevano quelli che raccontano la storia d’Orlando e dei paladini di Francia alla Marina di Catania, e la gente stava ad ascoltare colle orecchie tese, fitta come le mosche.
Il figlio di Maruzza la Longa ci era anche lui sul Re d’Italia, – osservò don Silvestro, il quale si era accostato per sentire.
Il soldato non finiva di chiacchierare con quelli che volevano ascoltarlo, giocando colle braccia come un predicatore.
Sì, c’erano anche dei siciliani; ce n’erano di tutti i paesi.
Del resto, sapete, quando suona la generale nelle batterie, non si sente più né scìa né vossìa, e le carabine le fanno parlar tutti allo stesso modo.
Bravi giovanotti tutti! e con del fegato sotto la camicia.
Sentite, quando si è visto quello che hanno veduto questi occhi, e come ci stavano quei ragazzi a fare il loro dovere, questo cappello qui lo si può portare sull’orecchio.
Il giovanotto aveva gli occhi lustri, ma diceva che non era nulla, ed era perché aveva bevuto. – Si chiamava il Re d’Italia, un bastimento come non ce n’erano altri, colla corazza, vuoI dire come chi dicesse voialtre donne che avete il busto, e questo fosse di ferro, che potrebbero spararvi addosso una cannonata senza farvi nulla. E’ andato a fondo in un momento, e non l’abbiamo visto più, in mezzo al fumo, un fumo come se ci fossero state venti fornaci di mattone, lo sapete.
A Catania c’era una casa del diavolo! – aggiunse lo speziale.
La gente si affollava attorno a quelli che leggevano i giornali; che pareva una festa.
I giornali son tutte menzogne stampate! – sentenziò don Giammaria.
Dicono che è stato un brutto affare; abbiamo perso una gran battaglia, – disse don Silvestro. Padron Cipolla era accorso anche lui a vedere cos’era quella
folla. Voi ci credete? -sogghignò egli alfine. -Son chiacchiere per, chiappare il soldo del giornale.
Se lo dicono tutti che abbiamo perso!
Che cosa? – disse lo zio Crocefisso mettendosi la mano dietro l’orecchio.
Una battaglia. .
Chi l ‘ha persa?
lo, voi, tutti insomma, l’Italia; – disse lo speziale.
Io non ho perso nulla! – rispose lo zio Crocefisso stringendosi nelle spalle.
Sapete com’è? – conchiuse padron Cipolla, -è come quando il Comune di Aci Trezza litigava pel territorio col Comune di Aci Castello.
Cosa ve n’entrava in tasca, a voi e a me?
Ve n’entra! – esclamò lo speziale tutto rosso. -Ve n’entrava a voi e a me?
Ve n’entra… che siete tante bestie!. …
Il guaio è per tante povere mamme! – s’arrischiò a dire qualcheduno; lo zio Crocefisso che non era mamma alzò le spalle.
Ve lo dico io in due parole com’é; – raccontava intanto l’altro soldato. –
E’ come all’osteria, allorché ci si scalda la testa, e volano i piatti e i bicchieri in mezzo al fumo ed alle grida:
L’avete visto? Tale e quale! Dapprincipio, quando state sull’impagliettatura colla carabina in pugno, in quel gran silenzio, non sentite altro che il rumore della macchina, e vi pare che quel punf! punf! ve lo facciano dentro lo stomaco: null’altro.
Poi, alla prima cannonata, e come incomincia il parapiglia, vi vien voglia di ballare anche voi, che non vi terrebbero le catene, come quando suona il violino all’osteria, dopo che avete mangiato e bevuto, e allungate la carabina dappertutto dove vedete un po’ di cristiano, in mezzo al fumo.
In terra è tutt’altra cosa, Un bersagliere che tornava con noi a Messina ci diceva che non si può stare al pinf panf delle fucilate senza sentirsi pizzicar le gambe dalla voglia di buttarsi avanti a testa bassa.
Ma i bersaglieri non sono marinari, e non sanno come si fa a stare nel sartiame col piede fermo sulla corda e la mano sicura al grilletto, malgrado il rolllo del bastimento, e mentre i compagni vi fioccano d’attorno come pere fradice -.
Rocco Spatu esclamò: Avrei voluto esserci anch’io a far quattro pugni!
Tutti gli altri stavano ad ascoltare con tanto d’occhi aperti.
L’altro giovanotto poi raccontò pure in qual modo era saltata in aria la Palestro, -la quale ardeva come una catasta di legna, quando ci passò vicino, e le fiamme salivano alte sino alla penna di trinchetto.
Tutti al loro posto però, quei ragazzi, nelle batterie o sul bastingaggio.
Il nostro comandante domandò se avevano bisogno di nulla. –
No, grazie tante, – risposero. Poi passò a babordo e non si vide più.
Questa di morire arrostito non mi piacerebbe, – conchiuse Spatu; – ma pei pugni ci sto.

 

 

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