La macchietta

Un posto d’onore nella canzone napoletana spetta sicuramente alla “macchietta”, quel tipo di canzone, più detta che cantata, in cui l’elemento musicale finiva a fare da complemento ad un testo carico di doppi sensi, spesso volgari e quindi, per la morale di fine Ottocento, tassativamente proibito. Era necessaria un’ottima capacità interpretativa e non a caso esimio interprete di macchiette fu un attore, Berardo Cantalamessa.

Dal palco del Salone Margherita ogni sua interpretazione era un successo, una festa di battimani. Vestito con frac rosso ed un paio di pantaloni di raso nero, Berardo Cantalamessa strappava continue risate al pubblico e, nel 1895, di una risata fece un clamoroso ritornello. ‘A risa, canzone da lui stesso scritta e musicata, s’apriva coi versi: “Mi è sempre piaciuto / di stare in allegria, / io la malinconia / non so che roba è”. Il cuore del brano era poi un ritornello incentrato su una lunghissima risata di cui si conosceva il momento dell’inizio, ma non quello della fine. Proprio come il cantante lirico affronta il “punto coronato”, così Cantalamessa si protraeva in un’assurda risata interminabile, modulata, contagiosa. Nel giro di un minuto tutti gli spettatori erano coinvolti, ridevano con la pancia in mano e finivano col lasciare la sala, col volto congestionato dalla sghignazzata e impossibilitati nel trattenersi oltremodo. Esplodevano all’esterno o nei bagni e, solo così, riprendevano fiato. Il legato di Cantalamessa finì per doti naturali, ingegno e studio, certo, ma soprattutto per una sorta di sfida che lo vide inaspettatamente pari merito, a Nicola Maldacea.

Per lui scrissero i maggiori poeti dell’epoca, uno su tutti Ferdinando Russo; per lui lavorarono pure i più grandi musicisti della canzone napoletana, anzitutto Vincenzo Valente. Quando sui palcoscenici assumeva le posture, le sembianze e gli atteggiamenti di Fra’ Brasciola, del Doganiere e dello Jettatore, il pubblico andava in visibilio. Aveva studiato recitazione in gioventù, aveva cantato in feste private della borghesia partenopea, era stato scritturato a vent’anni dai capocomici Gennaro Pantalena ed Eduardo Scarpetta, che mettevano in scena pochade del repertorio francese, poi era finito nell’orbita degli impresari Marino e Caprioli come chanteur comique napolitan del Salone Margherita. Fu qui che conobbe Ferdinando Russo.

Per Maldacea il poeta scrisse almeno cinquanta macchiette e alcune di esse scuscitarono scandali, interventi della polizia, denunce all’autorità giudiziaria, sequestro dei giornali che le pubblicavano. Il caso più clamoroso fu suscitato da ‘O pezzente ‘e San Gennaro che conteneva un nostalgico riferimento ai Borbone. I brani furon tutti musicati da Vincenzo Valente, ma oggi sono praticamente caduti nel dimenticatoio: Il conte Flik, ‘O pumpiere d’o teatro, L’elegante, Pozzo fà ‘o prevete… Ma per Maldacea scrisse pure Triulssa!

“Invece di cantare, invece di accentuare il motivo, consideravo la musica un accompagnamento alle parole, un commento, e mi preoccupavo di dire, colorire, rendendo il tipo il meglio che potessi… Come il pittore, il disegnatore, come l’artista figurativo, mi ripromettevo di dare al mio pubblico un’impressione immediata, schizzando il tipo, segnandolo rapidamente, rendendone i tratti salienti. Da ciò l’origine della parola ‘macchietta’, che è dapprima dell’arte figurativa: uno schizzo frettoloso, che rende n on poche parole un luogo o una persona, in modo da dare un’impressione efficace, con la medesima spontaneità”. Fu proprio il macchiettista a scriverlo nelle sue Memorie dopo essere passato al cinema.

Il genere segnò un’epoca. Fu uno dei tratti della Belle Époque partenopea. Ebbe così tanto successo che pure la “canzone seria” dovette piegarvisi e così il popolarissimo tenore Diego Giannini dette voce ad un testo di Pasquale Cinquegrana e musica di Giuseppe De Gregorio intitolato Ndringhete ndrà. La canzone non era altro che una burla, la storia scherzosa dell’acquafrescaia Carmela cui tutti si recavano a chiedere acqua e limone eppure nessuno la pigliava in sposa, ma perchè mai? “Pecché Ndringhete ndrà”, si rispondeva in un coro icastico. La spiegazione dei fatti di Carmela onomatopeica ha attraversato quasi due secoli, la canzone vendette 200.000 copie, Cinquegrana rimase un modesto maestro di scuola elementare, De Gregorio un insegnante di canto e solo Diego Giannini continuò la sua ascesa ma tornando a canzoni serie come ‘E trezze ‘e Carulina (testo di Salvatore di Giacomo e musica di Salvatore Gambardella) e Pusilleco addiruso (testo di Ernesto Murolo e musica di Salvatore Gambardella).

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: V. Paliotti, Gli alunni del sole; V. Paliotti, Storia della canzone napoletana

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