L’arrivo d’un emigrante a New York

La traumatica esperienza degli emigranti appena sbarcati a New York tratta da J. Mangione – B. Morreale, La storia. Cinque secoli di esperienza italo-americana, Torino 1996.

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Per le persone imbevute del mito dell’America da tutta una vita, i primi contatti con la terra promessa dovevano necessariamente essere in netto contrasto con le idee preconcette che si erano create: «C’è rumore ovunque» esclamava uno nel proprio diario. «Il frastuono è costante e mi riempie completamente la testa». Altri erano sconcertati dalla sporcizia e dalla bruttura. «New York era orribile» ricordava un altro, «le strade erano piene di escrementi di cavallo. La mia città in Italia, Avellino, era molto più bella. Dicevo tra me e me: “Sarebbe questa l’America?”. Nei giorni caldi, quando il letame si seccava, il vento lo sollevava in aria come coriandoli e diventava difficile respirare». Edward Corsi, arrivato a dieci anni con i genitori e i fratelli, era estasiato dal trambusto e dalle «folle frettolose», ma depresso alla vista delle quattro «sordide stanze in affitto» di East Harlem che sarebbero state la loro casa. Sua madre, che non riusciva a fare a meno di paragonare lo squallore del quartiere con la serenità e la bellezza della campagna abruzzese, non lasciava mai il caseggiato a meno che non fosse assolutamente necessario. Trascorreva la maggior parte del tempo seduta all’unica finestra dell’appartamento che dava verso l’esterno, scrutando un angolo di cielo.
I neoarrivati avevano paura degli alti grattacieli, dei treni sopraelevati e degli enormi ponti, ma alcune di queste cupe prime impressioni spaventavano e sgomentavano molti, soprattutto le donne, per la maggior parte confinate in squallidi appartamenti vicini alla ferrovia: solo la spesa del viaggio di andata e ritorno e la prospettiva di sperimentare ancora una volta il ponte di terza classe impediva loro di partire immediatamente. Le storie dello shock culturale a volte comprendevano incontri con poliziotti ostili. Julian Miranda apprese dal nonno immigrato che poco dopo essere sbarcato a Lower Manhattan ed essere riuscito a passare incolume sotto le forche di «ladri, truffatori, padroni e reclutatori di manodopera», camminava nella bassa Broadway «vestito piuttosto bene [nonostante la mancanza di denaro] e portando il bastone, da vero signore», quando un poliziotto, scorgendolo dall’altra parte della strada, urlò: «dove hai preso quell’abito, dago [nomignolo dispregiativo, con cui erano designati gli italiani emigrati in America, n.d.r.]?». Nervoso dopo una traversata oceanica burrascosa, il nonno di Miranda attraversò la strada e lo picchiò con il bastone. «Il nonno diceva sempre che non aveva capito una parola, ma aveva riconosciuto il tono. Ecco perché aveva lasciato l’Italia e non voleva sopportare gli stessi soprusi qui. Fu arrestato e venne contattato un membro della famiglia perché raccogliesse denaro sufficiente a corrompere chi poteva farlo uscire di prigione».
Altri però erano rinfrancati da New York. Arrivando nella città a quindici anni, Pascal D’Angelo fu spaventato e poi incantato dallo spettacolo di un treno sopraelevato che superava una curva. «Con mia sorpresa nessuno in carrozza cadde, né le persone che camminarono sotto scapparono mentre sopraggiungeva». Pochi minuti dopo, mentre correva su un carrello, fu distratto dalla vista di padre e figlio che muovevano la bocca in continuazione «come mucche che ruminavano». Non conoscendo il chewing gum suppose «con compassione, che padre e figlio fossero entrambi affetti da una qualche malattia nervosa». In seguito, poco prima che lui e i suoi compagni immigrati raggiungessero la propria destinazione, fu sorpreso di vedere cartelli per le strade con scritto «Ave., Ave., Ave.: che posto religioso deve essere questo, in cui si esprime la devozione a ogni incrocio», rifletteva, benché non riuscisse a capire perché la parola non fosse seguita da Maria.Un altro immigrato, anch’egli in grado di ridere della propria ingenuità negli anni che seguirono, ricorda che pochi minuti dopo il suo arrivo a Chicago fu emozionato nel notare un gruppo di uomini dall’aspetto italiano che scavavano in una strada. Suppose che quella fosse una delle strade americane in cui si poteva ottenere oro per scavare [si poteva trovare oro con estrema facilità: bastava scavare per strada!, n.d.r.] e non vedeva l’ora di tentare la sorte: «Nel mio vecchio paese» spiegò a un intervistatore, «dicevano che l’America era un luogo ricco e meraviglioso, tanto ricco che si poteva raccogliere l’oro per la strada. E io ci credevo!». Dopo essersi separati dai propri cari nel vecchio paese, dopo un viaggio pieno di ansia e disagi, i neoarrivati dovevano lottare ora per comprendere un modo di vivere completamente nuovo e adeguarsi a esso.

 

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