Lettere Napolitane di Pietro Calà Ulloa

La D’Amico Editore ha da poco deciso di rieditare uno dei testi fondamentali del borbonismo politico, le Lettere Napolitane di Pietro Calà Ulloa, pubblicate prima in Francia (1863) e solo successivamente in Italia (1864), rappresentano probabilmente il principale manifesto della politica borbonica all’indomani della sconfitta. Si tratta di un’opera che aveva come obiettivo primario quello di accattivare le simpatie dell’establishment europeo attorno alla causa borbonica.

Molte delle missive inserite in questa raccolta erano infatti dirette proprio ad esponenti internazionali, politici, diplomatici, scrittori europei sensibili al legittimismo borbonico.

L’autore, aveva progressivamente assunto un ruolo politico di primo piano proprio nel momento di maggiore crisi del regno, e aveva tentato in ogni modo di mediare tra i settori moderati della borghesia regnicola e la corona cercando di isolare i capi liberali filo-unitari. Questo mentre, proprio all’interno degli apparati governativi, in molti subivano il fascino della rivoluzione unitaria, provocando il conseguente disfacimento delle strutture politico-amministrative borboniche al centro come nelle province. Mentre Ulloa tentava in ogni modo di ricucire lo strappo tra la corona e la borghesia regnicola, larga parte dei ceti colti, ed in genere il notabilato meridionale, si votavano ormai all’unitarismo.

Intanto alla sconfitta politica, faceva seguito quella militare con i sabaudi padroni del regno ed il re asserragliato a Gaeta. Ulloa seguirà poi Francesco II nell’esilio andando ad assumere la presidenza del governo borbonico proprio quando di fatto lo Stato borbonico non esisteva più.

È allora che attraverso la pubblicazione di una serie di opere, di cui le Lettere sono senza dubbio uno dei testi principali, Pietro Calà Ulloa con una serie di serrate argomentazioni, tentava di conquistare, o a questo punto sarebbe il caso di dire riconquistare, una base sociale potenzialmente disponibile alla restaurazione. Ma in quel frangente appariva però sempre più evidente che la borghesia napoletana, e di conseguenza i vari gruppi politici meridionali, avevano ormai operato una scelta di campo irreversibile, in favore dell’unitarismo.

Per sostenere propagandisticamente il borbonismo politico, Ulloa, tentava persino di recuperare retoricamente alcuni elementi del movimento risorgimentale, come sottolinea bene il professor Carmine Pinto nell’introduzione che impreziosisce questa nuova edizione, “Rivendicò un patriottismo fondato sull’indipendenza dallo straniero, celebrando il mito della nazione perduta, al cui centro c’era la monarchia. Usò un concetto proprio del nazionalismo unitario (l’indipendenza) fondendolo con la rappresentazione della coppia reale”.

Tutte le tesi presenti in questi scritti a favore di un ritorno dei Borbone a Napoli, avevano in quel momento la tara di arrivare fuori tempo massimo, eppure il rivendicato patriottismo napoletano fondato sull’indipendenza dallo straniero e sul mito della nazione perduta con al centro la monarchia borbonica, riuscirono ad avere un’eco che ha finito per ripercuotersi sul dibattito relativo alla Questione meridionale anche in anni più recenti.

Allora tutte le argomentazioni risultavano irrimediabilmente vane, e la sua verve borbonica assumeva i toni del velleitarismo, non solo perché buona parte delle classi dirigenti meridionali avevano sposato ormai la causa unitaria, come risultato di una guerra civile che si era aperta nel 1799 e tra alterne vicende poteva dirsi chiusa negli anni ’60 dell’Ottocento, ma anche e soprattutto perché il mondo borbonico in cui era inserito Ulloa era a sua volta spaccato al suo interno, e si consumava in una serie di contrasti intestini tra liberali ed assolutisti che finirono per neutralizzare ogni possibilità, anche lontana, di fare breccia a favore della restaurazione nell’opinione pubblica sia meridionale che internazionale.

Di questi contrasti fu vittima lo stesso Ulloa, tanto che la sua opera non ebbe un buon riscontro proprio all’interno del mondo borbonico, venendo di fatto sconfessata, oltre che dalla Chiesa, anche dallo stesso Francesco II, a causa di un’impronta concettuale troppo vicina al costituzionalismo del 1820 e del 1848.

Resta comunque una testimonianza fondamentale del clima politico di quel periodo e di quella battaglia ideologica. Ma non solo, rimane un testo importante anche per capire come alcune di quelle tesi propagandistiche siano riuscite ad attraversare varie epoche, e come un fiume carsico, siano rispuntate anche nel dibattito politico contemporaneo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Giuseppe De Simone

Giuseppe De Simone

Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.

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