Il bisonte americano

Al principio del Novecento, restavano due mandrie selvagge di bisonti, una nell’area canadese dell’Athabasca e un’altra nel Parco Nazionale di Yellowstone. Il Canada aveva emanato delle leggi per la protezione di questi animali già nel 1882, affidando il loro rispetto alle armi della Polizia a Cavallo del Nord-Ovest. Gli Stati Uniti avevano fatto altrettanto, portando i bovidi nello Yellowstone, sotto la protezione delle autorità federali, ma con risultati deludenti. Il bracconaggio sembrava inarrestabile e i censimenti indicavano appena milleseicento esemplari esistenti nel 1904. Fu l’impulso fornito dalla Società del Bisonte Americano, fondata nel 1905 con Theodore Roosevelt come presidente onorario, a proporre con successo il tema della perpetuazione e moltiplicazione del bisonte. L’animale fu salvato dall’estinzione con un impegno costante che portò ad oltre quattromila le unità statunitensi nel 1933 (diciassettemila erano quelle canadesi). Oggi si stimano circa cinquecentomila esemplari.

I bisonti erano scomparsi ad est del 97° meridiano già nel 1810, forse l’ultima femmina col suo piccolo fu abbattuta a Valley Head nel 1825, restavano ad ovest del Mississippi dove lo sterminio si ebbe dopo la Guerra Civile con l’economia che si generò attorno alle postazioni militari istallate nella prateria. Non solo la vendita delle pelli s’impennò, ma cacciatori professionisti s’impegnarono sotto contratto a rifornire di carne di bisonte le guarnigioni. A ciò si aggiunse l’ampliamento della ferrovia che portò cacciatori ovunque e abbassò tempi e costi di spedizione della merce. Uomini come il colonnello W. F. Cody, meglio noto come Buffalo Bill, procurarono selvaggina a interi campi di operai delle strade ferrate. Le compagnie ferroviarie, inoltre, organizzarono tragiche partite di caccia con spettatori condotti in treni speciali lì dove avrebbero potuto assistere alla carneficina. Spesso si sparava dai treni sugli animali che transitavano lentamente accanto ai convogli. Tempi e munizioni furono in genere economizzati da squadre che, scoperto un luogo adatto in cui il cacciatore poteva tranquillamente sedersi e sparare col suo Sharp 50 quanti bisonti voleva, dividevano i compiti di lavorazione delle carcasse tra cinque o sei scuoiatori e altri uomini che si occupavano di stendere le pelli per l’essiccazione, mentre ulteriore personale gestiva i carri col compito di trasportarli alle stazioni commerciali. Città come Dodge City nel 1873 contavano quattromila abitanti di cui i due terzi erano cacciatori. Il mercato fu presto saturo di pelli e il loro prezzo s’abbatté senza trovare compratori. Ormai, però, era tardi: nel 1889 le pelli di bisonte entrarono nei musei di storia naturale.

La sparizione del bisonte fu un dramma per gli indiani delle pianure perché quegli animali fornivano loro il necessario per vivere. Da essi avevano cibo, indumenti e dimore, ne utilizzavano pelle, peli, carne, sangue, ossa, interiora, corna e tendini. Tutto trovava il suo impiego, anche le costole e i calcoli, le prime venivano usati come pattini per piccole slitte trascinate da cani, i secondi contribuivano a realizzare tinture magiche. Eppure, il massacro iniziò con loro. All’epoca della scoperta dell’America, i bisonti erano sparsi su un terzo circa del continente, ma, perseguitati dai nativi, batterono in ritirata scomparendo da intere regioni. Le cose peggiorarono con la colonizzazione. I primi trafficanti di pellicce ricercarono le pelli conciate dagli indigeni che, in cambio, ottenevano pentole, coltelli, armi da fuoco, alcol. Con i fucili europei gli indiani, fino ad allora armati solo di archi, iniziarono cacciare di più e con maggiore successo. La domanda di pelli di bufalo li portò ad uccidere in maniera spropositata animali che una volta essi ammazzavano solo per nutrirsi e vestirsi. Talvolta non arrestavano le uccisioni neppure all’epoca della muta, quando il vello dei bisonti cadeva a brandelli. Purtroppo il bisonte è un animale noncurante e pigro, con un basso grado d’intelligenza, lentissimo a costruirsi un’esperienza. Tutto ciò affrettò la distruzione della razza.

Sorprendentemente poi una larga fetta di ex cacciatori come il citati Buffalo Bill e Roosevelt, iniziarono a promuovere con forza l’allevamento di bisonte al fine di reintrodurlo nel paesaggio naturale. Allevatori, conservazionisti, organizzazioni federali, statali, tribali e private hanno istituito varie aree di conservazione in un processo che continua ancora oggi ed ha portato i bisonti degli Stati Uniti ad una popolazione di 500.000 capi, con circa il 90% allevato come bestiame, ma spesso in condizioni relativamente naturali, e il resto in parchi pubblici e riserve.

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Martin S. Garretson, I cacciatori di bisonti

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