Marzia degli Ubaldini

La figura di Marzia degli Ubaldini è avvolta nel mito, lontana dalla grande trattazione storica, eppure continua a suscitare interesse e stupore.

Figlia di Vanni, signore di Susinana, e moglie di Francesco II Ordelaffi, signore di Forlì, Marzia degli Ubaldini , nel 1357, durante la Crociata contro i Forlivesi, fu incaricata dal marito di difendere Cesena.

Si era chiusa proprio in quella città, al principio del 1357, con duecento cavalieri e duecento fanti, mentre il nemico si presentava alle porte con un’armata dieci volte più numerosa. Si mostrò generale caparbio ed indomito, non cedé se non dopo aver visto interamente distrutti i baluardi di Cesena.

Accanto a lei c’erano in quei giorni il consigliere Sgarino di Pietra Gudula, i due figli, i due nipoti e cinque damigelle. Una compagnia debole e oltretutto avvelenata dalle trame doppie del consigliere.

Bloccò il passaggio tra la parte bassa della città e quella alta e murata, dispose arcieri nei punti più utili, connesse le case della città tramite ponti di tavole ed ordinò che i loro muri fossero forati per allestirvi delle feritoie. Rapidamente fece erigere nuove torri ed il Cardinale Egidio Albornoz, incaricato di recuperare le Marche e la Romagna per conto del pontefice Innocenzo VI, riuscì faticosamente a superare i primi ostacoli, ad addentrarsi tra le case della città bassa, ma non poté avanzare.

All’alba, Marzia degli Ubaldini si lanciò alla testa di un drappello per riacquistare il controllo dell’intera città ed ebbe successo. L’armata pontificia si ritirò nei suoi accampamenti. Tuttavia la Cesena era stanca, distrutta e affamata dall’assedio, e trattò col nemico. Di notte i pontifici rientrano.

A Marzia fu dato appena il tempo di ritirarsi nella città alta dove non esitò a colpire il responsabile di quanto successo: Segarino di Pietra Gudula. Lo fece arrestare e gli troncò il capo sulle mura della città affinché tutti vedessero. Da quel momento in poi ella fu insieme governatore e capitano, ritta nella sua corazza, l’elmo in testa, sempre alla guida dei suoi soldati.

Albornoz però mise all’opera i suoi minatori. Costoro avanzarono fin sotto le mura e riuscirono a farli crollare aprendovi larghe brecce. Si accese allora lo scontro, la mischia violenta. Cinque volte l’esercito pontificio rinnovò l’assalto e cinque volte fu respinto, con gravi perdite, in luogo delle mura abbattute, furono erette palizzate di legno. Cinque volte l’esercito pontificio rinnovò l’assalto e cinque volte fu respinto, con gravi perdite. Marzia degli Ubaldini era sempre la prima a piantarsi in mezzo alla breccia e a difenderne il passaggio con una lotta feroce e disperata.  

Gli assedianti riuscirono ad impadronitisi dell’alta Cesena e passano a stringer d’assedio la cittadella con le loro macchine da lancio.

Marzia degli Ubaldini sapeva di non aver scampo, non poteva sperare in soccorsi, suo marito era assediato a Forlì. I minatori di Albornoz lavorarono tutta la notte, Marzia avrebbe voluto a sorpresa uscire dalla rocca e piombare sugli avversari, ma stavolta furono i suoi soldati a dirle di no.  Crollate due torri ed un lungo tratto di mura, i suoi soldati ritennero che ormai non ci fosse più nulla da difendere.

Delusa, allo spuntar dell’alba che avrebbe dovuto vederla combattere ancora, mandò un suo emissario a chiedere l’incontro con Egidio Albornoz. Nei patti chiese che i suoi soldati siano lasciati liberi, il cardinale la accontentò e la consegnò ad una galera del porto di Ancona con il suo seguito di figli, nipoti e damigelle.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: AA. VV., Le sirene più celebri di tutti i tempi

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