Carlo V a Bologna

Dall’ottobre del 1529 al marzo del 1530 a Bologna risiedettero sia la corte pontificia di Clemente VII che la corte di Carlo V. C’era un grande evento in vista: l’incoronazione imperiale.

Bologna era stata scelta, in alternativa a Roma, la città delle incoronazioni, per evitare la presenza nell’Urbe di Carlo V le cui truppe, due anni prima, si erano date ad un violento saccheggio.

La città si trasformò in un cantiere febbrile con lavori che si susseguirono giorno e notte per garantire al contesto urbano un volto sgargiante di festa solenne. Per preparare la cerimonia furono convocati i più prestigiosi architetti, artisti, pittori e artigiani, e tutte le strade furono adornate di statue e fontane e coperte di veli tesi tra le facciate delle case. Bologna divenne inaspettatamente una città romana.

Quando Clemente VII vi entrò, il 24 ottobre 1529, trovò già due archi eretti in suo onore, più un terzo quadrifronte all’ingresso di Piazza Maggiore richiamante le gesta dei sovrani cattolici Costantino, Carlo Magno, Sigismondo e Ferdinando d’Aragona. Carlo V vi entrò il 5 novembre, passando attraverso una Porta San Felice riccamente decorata con pitture allegoriche e rappresentazioni di divinità pagane ed imperatori romani. Un altro grande arco era pure stato montato sulla facciata del Palazzo Pubblico, con statue e raffigurazioni veterotestamentarie.

L’intero complesso di decori serviva a fare di Bologna una seconda Roma, doveva cioè ricordare la città che in circostanze normali sarebbe dovuta essere la sede dell’incoronazione, come sempre stato. Ma Roma, nella cultura rinascimentale,era soprattutto un richiamo ai fasti del grande impero.

Così, lo svolgimento della parata che scortò Carlo V per le vie bolognesi riprodusse gli stilemi dei grandi trionfi degli imperatori romani. Fu una lunga sfilata di cavalieri, addetti alle artiglierie, lanzichenecchi, alabardieri, vessilliferi, trombettieri, Grandi di Spagna con in testa Carlo V a cavallo, sotto un baldacchino, vestito di un’armatura dagli ornamenti dorati, con lo scettro e un’aquila sull’elmo.

E se le antiche cerimonie si concludevano con un sacrificio che il protagonista del trionfo celebrava al Campidoglio in onore di Giove Capitolino, seguito da un banchetto, il corteo di Carlo V terminò con l’incontro fra con Clemente VII in Piazza Maggiore e rinviava l’incoronazione duplice, quella con la corona ferrea e quella con la corona aurea.

Dopo tanti preparativi, infatti, il 22 febbraio del 1530, l’Asburgo ricevette la corona di Re d’Italia nella cappella del Palazzo Pubblico e la cerimonia fu pure replicata, due giorni dopo, in occasione del suo compleanno, quando fu incoronato Imperatore del Sacro romano Impero, stavolta però nella Basilica di San Petronio trasformata scenograficamente ad immagine della Basilica di San Pietro.

A questa seconda cerimonia seguì una cavalcata trionfale conclusiva che, passando per Strada Maggiore e l’attuale via Santo Stefano, da San Petronio si recò a San Domenico che, sostituendo la sede di San Giovanni in Laterano, fu luogo della nomina dell’imperatore a canonico lateranense. Carlo V, che già nei giorni precedenti e lungo la processione del mattino aveva mostrato la sua magnificenza “seminando denari”, nominò conti e cavalieri alcuni gentiluomini bolognesi prima di rientrare a Palazzo Pubblico con la sua corte.

 

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: S. Rambaldi, L’uso di simboli del potere imperiale romano a Bologna da Giovanni II Bentivoglio a Carlo V

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