Pozzuoli 1538, nascita di una montagna

Il passato di Pozzuoli è segnato dalla nascita del Monte Nuovo il 29 settembre del 1538 che provocò la quasi completa scomparsa del lago di Lucrino e la distruzione del villaggio di Tripergole, con il castello omonimo, l’ospedale e otto stazioni termali.

Strabone ci tramanda la notizia che Puteoli fu uno scalo dei coloni euboici di Cuma, ma ancor prima il sito ospitò alcuni profughi sami in fuga dalla tirannide di Policrate che detterò all’abitato il nome di Dicearchia. Dell’avvento dei sanniti non c’è traccia e solo coi romani la città acquistò importanza come eccellente approdo naturale. In questa fase assunse il nome di Puteoli, “i pozzi”, dai resti di un sito oramai dimenticato. Derrate, mercanzie siciliane, africane, orientali, merci dell’entroterra campano movimentavano il proto di Pozzuoli e così si sviluppò l’acropoli di cui il Macellum, scavato per volontà di Carlo di Borbone, è l’emblema. Tuttavia gli intensi fenomeni vulcanici dell’area hanno modificato enormemente il paesaggio, sommergendo persino i porti. Nel 1538 in seguito ad un’intensa attività vulcanica durata tre giorni e preceduta da grandi fumate ed esplosioni, nacque il Monte Nuovo, poco a nord dell’abitato di Arco Felice, in corrispondenza di una piccola valle preesistente fra il Monte Gauro, l’Averno, il Lucrino ed il mare. Quanto si registrò in quei giorni rappresenta l’ultimo evento vulcanico di natura violenta e spettacolare nei Campi Flegrei. Presentiamo al riguardo uno stralcio della cronaca diretta degli avvenimenti scritta da Marco Antonio Delli Falconi:

“…Sono già hormai dui anni che in Pozzuolo in Napoli e nelle parti convicine son stati spessi terremoti, et nel giorno inanzi che apparve tale incendio tra la notte e il giorno furono sentiti nelli predetti luoghi tra grandi e piccoli più de venti terremoti. Il dì nel quale apparve detto incendio fù lo xxix di Settembro del MDXXXVIII. Nel quale si celebra la festa di San Michel’Angelo e su la domenica circa una hora di notte, et secondo m’è stato referito cominciorno a vedersi in quel luogo ch’è tra il sudatoio e tre pergule certe fiamme di foco le quali cominciaro dal detto sudatoio e andava verso tre pergole, et ivi fermatosi cioè in quella valletta che è tra monte Barbaro e quel montichello che si denomina dal pericolo per la quale valletta s’andava al lago averno e alli bagni in breve spazio el fuoco pigliò tale forza che nella medesma notte eruppe nel medesmo luego la terra, eruttò tata copia di cenere e di saxi pomicei mischiati con acqua che coperse tutto quel paese, et in Napoli piobbe quella pioggia d’acqua e di cenere gran spacio della natte, la mattina sequente che fù il lunedi e l’ultimo del mese li poverelli cittadini di Pozzuolo sgomentati da si horribile spettacolo abbandonate le proprie case pieni di quella fangosa e cinerulenta pioggia, la quale durò tutto il giorno per quel paese fuggendo la morte col volto però depinto de suoi colori, chi col figlio in braccio, chi con sacco pieno delle loro massaritie, et chi con qualche asinello carico guidava la sbigottita sua famiglia verso Napoli, altri d’uccelli di diverse specie li quali erano morti nel medesimo tempo che nacque l’incendio gran quantità arrecavano, et alcuni de persci li quali baucano trovato, e si trovavano in gra copia morti nel secco del mare che in una buona parte era disseccato, nel tepo medesmo, s’endovi l’eccellentissimo Signor Don Petro de Toledo Vicere del Regno con molti cavalieri andato per vedere si maraviglioso effetto, Io anchora sul camino souragionato dall’honoraissimo e mai a bastanza lodato Cavaliero lo Signor Fabritio Maramaldo v’andai, Et udii l’incentio e molti miravegliosi effetti che co quello erano successi, il mare verso Baia p gra spacio s’era ritirato bianche di cenere e di ruine di pietre pumicee rotte e buttare dall’incendio di modo verso il lato riscoperto fusse che tutto secco pareva, vidi anchora dai fonti fra quelle ruine nuovamente discoperti, uno inanzi la casa che fu della Regni d’acqua calda e solfa, un’altro per quella spiagia più verso l’incendio per spacio di duecento cinquanta passi in circa d’acqua dolce e fresca, altri dicono più vicino all’incendio un rivo d’acqua dolce a guisa di fiumicello esser sorto, et mirado per quello lito verso il fumo il quale de continuo saliva in un mometo si vedeva inalzare nell’aria dal souradetto luogo extendendosi in sino al mare, et in di anchora montagne altissime di fumo parte nigrissimo e parte bianchissimo sollevarsi e dal ventre del fumo alle volte uscire alcune fiamme oscure con pietre grossissime e con cenere con tanto strepito e romore quanto infinito numero di grosse artegliarie no farebbono… Et questo durò dui giorni e due notti continoue… Al quarto giorno che fù il giovedì verso le xxy hore un tanto incendio apparve, ch’io venendo da Ischia e ritrovandome al golfo di Pozzuolo poco distante da Miseno vidi elevarsi in brevissimo intervallo di tempo infiniti globi di monti di fumo / col maggior strepito che mai si sentisse / talmente ch’el fumo moltiplicando fuora il mare venne vicino alla nostra barca ch’era distante più di quattro miglia dal luogo dove nascea, Et le montagne di cenere pietre e fumo pareva che fussero per coprire tutto quel mare e la terra, Dopò mancando l’impeto cadevano pietre grossissime e altre picciole e cenere più e meno secondo la forza del’impeto del foto e delle exhalationi, Di modo che la cenere è dspersa per gra spacio di questo paese e dicono molti che l’hanno veduto ch’è arrivata al vallo de Diano e alcune parti de Calabria che son distanti da Pozzuolo più di cento cinquanta miglia, Il venerdì èl sabbato non si vide buttare se non poco fumo, Talmente che molti assicurati andaro a vedere soura il luogo, Et dicono che dalla cenere e dalle pietre che ha gittato s’è fatto un monte in quella valle che gira circa tre miglia e è poco meno alto che monte Barbaro che gli sta all’incontro e ha coperto la canettaria e lo castello di tre pergole e tutti quelli edifici e la maggior parte di bagni ch’erano intorno, et le falde della banda di mezzogiorno / verso il mare / e da tramontana infino al lago averno si estendono, Et da ponente vicino al sudatoio, et da oriente col piede di monte Barbaro si congionge, di manera che quel luogo ha mutato forma e faccia e non vi si conosce più niente di quello di prima, cosa veramente che parrà a chi nò lo ha veduta incredibile che in un giorno e una notte sia fatto un così gran monte…”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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