Quella Liguria flagellata dal tempo, tanto amata dai cantori delle tempeste

La Liguria è storicamente una terra amata dall’uomo per il suo clima. Soprattutto le due riviere, quella di Ponente e di Levante, hanno sempre attratto personalità di spicco fra intellettuali, artisti, politici originari del Nord Europa, oltre alla gente comune che, potendoselo permettere, abbandonava le nebbie di Albione per trovare riparo al sole delle Cinque Terre piuttosto che presso la Riviera dei Fiori. Ma la Liguria non è mai stata una regione tranquilla dal punto di vista metereologico. Soprattutto per la morfologia del suo terreno, compresso fra mare e montagne, con fiumi e torrenti tortuosi che si snodano verso i golfi attraverso strette fenditoie nelle rocce. La cementificazione selvaggia degli anni del Dopoguerra ha poi complicato terribilmente le cose, rendendo ogni fenomeno atmosferico atipico una tragedia purtroppo prevedibile. C’è una curiosa corrispondenza fra le due cose…

Molti autori celebri che hanno fatto la storia della letteratura mondiale hanno soggiornato in Liguria, vi hanno dedicato delle opere, e hanno tutti cantato la “tempesta”. Tempeste fisiche e geografiche che sovente diventano allegorie dell’umana natura, delle contraddizioni e delle battaglie interiori di quel fragile, presuntuoso essere che è l’uomo. Vediamone alcuni, cercando di mantenere un ordine cronologico.

Il caso letterario più eclatante è rappresentato da “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, opera in prosa del poeta Ugo Foscolo, datata ufficialmente 1802. Siamo in pieno Romanticismo, corrente che in Europa centrale furoreggia ma che in Italia stenta un pochino, poiché i nipotini dei Romani preferiscono volgere il loro interesse al proprio aulico passato, votandosi al Neoclassicismo. Ortis è figlio delle suggestioni goetiane del giovane Werher e dei suoi dolori; Napoleone, con il Trattato di Campoformio, svende il suolo italico al nemico, l’amore per Teresa è impossibile e irrealizzabile e allora non resta che un peregrinare irrequieto di un giovane disperato in luoghi simbolici, scandito da pagine di diario dove l’amico Lorenzo rappresenta il destinatario.
Il 19 e 20 febbraio di un inverno di fine ‘700 Ortis li trascorre a Ventimiglia. Sul ponte che congiunge la città medievale arroccata sul Cavo e la nascente città nuova, il giovane si lascia il mare alle spalle e guarda i monti in lontananza. L’ occasione è propizia per riflettere sulla sorte dell’uomo in termini filosofici prendendo spunto dall’impeto dell’acqua. E tempesta, fisica e naturale, sia. “Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agonie della morte e non hai la sua tranquillità”. E ancora “Non è vile quell’uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana; bensì chi ha le forze da salvarsi e non le adopera”. Quindi entra in scena il territorio: “Alfine eccomi in pace! – Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste montagne.
Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati.
Là giù è il Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle alpi, e per gran tratto ha spaccato in due queste immense montagne. V’è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la
vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’alpi altre alpi di neve che s’immergono nel cielo e tutto biancheggia e si confonde – da quelle spalancate alpi scende e passeggia ondeggiando la tramontana e per quelle fauci invade il mediterraneo. La natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.
I tuoi confini, o Italia, son questi!”. La natura ventimigliese, che non è nella realtà così malandata come appare in questa struggente descrizione, viene filtrata da un animo in preda alla tormenta, sì, ma interiore, e non rende giustizia alla varietà morfologica del terreno e al suo rinomato, ricercato, microclima.

Anche la creatrice di uno dei personaggi gotici per eccellenza, Frankenstein, scelse la Liguria e il Golfo dei Poeti, presso le Cinque Terre spezzine, per un lungo soggiorno. Vi dimorò infatti per quattro anni, dal 1818 al 1822.
Mary Shelley, con il marito Percy e l’amico Lord Byron, giusto poco prima di trasferirsi in Liguria, pubblicò il suo Moderno Prometeo, “Frankenstein”, nel quale dipinge come su una tavolozza una tempesta sui cieli del Monte Bianco, ammirato durante un soggiorno elvetico: “Il temporale pareva avvicinarsi rapidamente […] I cieli si erano coperti e presto sentii la pioggia cadere lentamente a goccioloni; ma la sua violenza cresceva rapidamente. Mi alzai e mi misi a camminare, sebbene la tempesta e l’oscurità aumentassero a ogni istante e il tuono rimbombasse sopra la mia testa. […] I vividi bagliori dei lampi accecavano la mia vista”. Chissà se rifuggendo dai plumbei inverni inglesi e dai piovosi trascorsi svizzeri per la mite Liguria avrebbe mai potuto prevedere la disastrosa alluvione delle Cinque Terre del 25 ottobre del 2011…

Emilio Salgàri ha legato il suo nome al Corsaro Nero, Signore di Ventimiglia, probabilmente concepito e scritto durante il suo soggiorno a Sampierdarena, a ridosso del porto di Genova, e ispirato alle vicende dei Conti della città di confine. Emilio di Roccabruna è un personaggio romantico, travagliato, costretto a scegliere dolorosamente fra onore e amore, costretto per vendetta a reinventarsi corsaro, lui, valoroso condottiero di terra. Le sue tempeste accadono lontane, nei mari delle Antille, tanto violente quanto quelle interiori, di uomo irrequieto al pari delle acque oceaniche. Lo scrittore veronese descrive così l’uragano caraibico: “Un fulmine d’acqua e di vento spazzava il mare, con impeto irresistibile. Raffiche furiose si succedevano le une alle altre, con mille fischi e mille ruggiti paurosi, facendo crepitare le vele della nave e curvando perfino la solida alberatura.
In aria si udiva un fracasso strano che cresceva di momento in momento. Pareva che mille carri carichi di ferraglie corressero pel cielo, tirati a corsa precipitosa, o che dei pesanti convogli filassero a tutto vapore sopra dei ponti metallici.
Il mare era diventato orrendo. Le onde, alte come montagne, correvano da levante a ponente, rovesciandosi le une addosso alle altre con cupi muggiti e con scrosci formidabili, schizzando in alto cortine di spuma fosforescente. S’alzavano tumultuosamente, come se subissero una spinta immensa dal basso in alto, poi tornavano a scendere, scavando dei baratri cosí immensi, che pareva dovessero toccare il fondo del Golfo”. Salgàri ha ambientato a migliaia di miglia marine di distanza i suoi uragani, ma le catastrofi climatiche non hanno mai risparmiato la Superba Genova, già gloriosa Repubblica marinara; si ricordano dolorosamente quelle del 1945, del 1953, del 1970, del 2011, del 2014… Chissà se anche Salgàri, pure lui, avrebbe potuto immaginarle…

Un altro autore legato alla città fu Joseph Conrad, nato polacco con la “K” e morto inglese con la “C”. Avendo girato il mondo su navi mercantili, scrisse di avventure marine, prevalentemente ambientate nei mari orientali, salvo poi localizzare la sua ultima produzione fra la Costa Azzurra (Tolone e le isole Lerins, cornici de “Il Pirata”, libro del 1923) e la Genova di “Suspense”, edito postumo nel 1925. Grande conoscitore del mare, scrisse “Tifone” nel 1902, un breve romanzo nel quale il Capitano Tom Mac Whirr affronta, pur potendone evitare la collisione, un terribile uragano, allegoria, come oramai abbiamo capito, delle tempeste interiori degli impavidi uomini di mare. Scrive Conrad: “Accadesse pure il peggio, dal momento che non si poteva evitare. Ma, se bisognava credere ai libri, questo peggio sarebbe stato terribilmente cattivo. Cominciava a immaginare ora ciò che il cattivo tempo poteva portare. – Sarà terrificante – si diceva”.

Gli eroi di Salgàri, gli antieroi di Foscolo, Shelley e Conrad si sono quindi cimentati con le tempeste uscendone fisicamente indenni, ma non senza pagare comunque un prezzo congruo al destino e a Madre Natura. La Liguria resta sullo sfondo, col suo fascino di una terra anomala, abitata da una gente fiera e verticale, magari facile al “mugugno”, la lamentela, ma pronto alla pugna contro le avversità naturali. Le stesse, impreviste e imprevedibili tempeste cantate dai grandi interpreti romantici e avventurosi protagonisti della letteratura mondiale, attratti da questo lembo di roccia che declina nel mare, tanto da eleggerlo a luogo di vita elevato al rango d’immortalità nelle loro opere leggendarie.

Autore articolo: Davide Barella

Davide Barella, insegnante, si occupa di teatro sociale (scuole, carceri, disabilità) e di promozione della lettura e della letteratura per ragazzi. E’ autore di saggi e articoli sui Ventimiglia, sui cavalieri corsari e su Emilio Salgari.

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