Storia del Cristianesimo: Acta Martyrum Scillitanorum

Gli Acta Martyrum Scillitanorum costituiscono il più antico documento cristiano scritto in lingua latina. Provengono dall’Africa e presentano l’interrogatorio ed il supplizio di un gruppo di cristiani a Cartagine.

“Sotto il consolato di Presente e di Claudio, il 17 luglio in Cartagine, entrarono nell’aula del tribunale segreto…”. Erano dodici, sette uomini e cinque donne, e provenivano dalla città di Sicili, in Numidia. Si chiamavano Sperato, Nartzalo e Cittino, Donata, Seconda, Vestia, Veturio, Felice, Aquilino, Letanzio, Gennara e Generosa. Andarono in contro alla decapitazione per la loro fede. Furono uccisi il 17 luglio del 180. Fu inutile difendersi dicendo che avevano vissuto una vita tranquilla e morale, pagando i loro debiti e non facendo torto ai loro vicini. Bastò rifiutare di giurare per il nome dell’imperatore.

L’interrogatorio fu condotto dal proconsole Publio Vesellio Saturnino, che Tertulliano dichiara essere stato il primo persecutore dei cristiani in Africa. Le accuse che gravavano sui dodici erano i tipici capi d’imputazione di tutti i processi contro i cristiani, cioè l’empietà, ovvero il rifiuto di riconoscere e praticare la religione ufficiale di stato, e la lesa maestà, cioè il rifiuto di riconoscere la natura divina dell’imperatore, ricusando di tributare sacrifici al suo genius.

“Il proconsole Saturnino disse: Potete guadagnarvi l’indulgenza del nostro signore imperatore se tornate sulla retta via“. Sperato però rifiutò: “Non abbiamo mai fatto del male, non ci siamo mai prestati a nessuna iniquità; non abbiamo mai maledetto, ma maltrattati abbiamo resto grazie: perciò siamo ossequienti al nostro imperatore”. Saturnino allora replicò: “Anche noi siamo religiosi e semplice è la nostra religione, giuriamo per il Genio del nostro imperatore e facciamo sacrifici per la sua salvezza: cose che dovete anche voi fare”. Sperato però provò a spiegarsi: “Se mi darai ascolto pacatamente, ti dirò il misero della semplicità”. Il proconsole non volle prestargli orecchio: “A te che cominci col dir male dei nostri riti non darò alcun ascolto, piuttosto giura per il Genio del nostro signore imperatore”. Sperato rifiutò ancora: “Non conosco l’autorità di questo mondo, piuttosto svervo quel Dio che nessuno degli uomini ha visto nè può con questi occhi vedere. Non ho commesso furto, ma se avrò comperato qualche cosa, ne pago l’imposta perchè conosco il mio Signore, re dei re e imperatore di tutte le genti”.

Il magistrato dunque consigliò più volte ai cristiani di cambiare idea e fede, di non persistere in quella loro scelta e di giurare per il genio dell’imperatore, ma fu inutile. Anche Cittino e Vestia si professarono cristiani. Nelle loro borse furono trovati “libri e lettere di Paolo, un uomo giusto” e rifiutarono la concessione di trenta giorni per riconsiderare la loro decisione. “Onore a Cesare in quanto Cesare, ma timore invece solo a Dio”, disse Donata. Gli altri la seguirono.

Constato il rifiuto di abiurare, infine il proconsole Saturnino pronunciò la sentenza leggendola sulla tavoletta: “Sperato, Nartzalo, Cittino, Donata, Vestia, Secunda e gli altri che hanno apertamente confessato di vivere da cristiani, perchè nonostante sia stata loro offerta facoltà di ritornare al costume romano l’hanno ostinatamente ricusato, ordiniamo che siano decapitati”.

Gli Acta ci informano dell’atteggiamento fermo tenuto allora dai condannati che andavano in contro al martirio. Sperato disse “Ringraziamo Dio”, Narzalo “Oggi siam testimoni della fede nei cieli e ringraziamo Dio”. Tutti in coro lodarono Cristo e subito dopo furono decapitati. Furono gli ultimi martiri delle persecuzioni di Marco Aurelio che morì il 17 marzo di quell’anno.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

 

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