La sconfitta di franchi e alamanni a Capua e la resa dei goti a Conza

Dopo la battaglia di Nuceria Alfaterna e la morte di Teia, la guerra tra goti e bizantini non era ancora conclusa. Narsete si spinse in una serie di campagne militari minori contro i franchi che, chiamati in soccorso dai goti, dilagavano ora el Nord Italia, affiancandosi ad altre tribù germaniche. Anche al Sud bande armate di franchi ed alamanni provarono ad approfittare del caos scaturito dalla guerra per mettere insieme un ricco bottino.

“Il loro passaggio – scrive Agazia in Storie, I, 1-17 – era accompagnato da stragi e da saccheggi, che sconvolsero ulteriormente le popolazioni italiane già duramente provate dai lunghi anni di guerra. Ciò che distingueva i Franchi dagli Alemanni consisteva nel fatto che i Franchi erano cristiani e si astenevano perciò dal saccheggio delle chiese”.

Dalle Storie di Agazia apprendiamo che i franchi, uniti agli alamanni, si inoltrarono sin nel Sannio dove divisero in due il loro esercito; una parte fu guidata da Buccellino e proseguì per la Campania, la Lucania e i Bruzi, dell’altra assunse il comando Leutari la guidò in marcia sulla sponta adriatica sino ad Otranto. Quest’ultima fu decimata dalla dissenteria e poi sconfitta in battaglia a Pesaro.

Buccellino, invece, speranzoso di diventare re dei goti una volta vinti i bizantini, decise di affrontare Narsete. Si accampò a Capua con circa trentamila uomini, seppure in parte indeboliti dalla dissenteria, e, nell’autunno del 554, sulle rive del Volturno, affrontò il nemico.

Narsete, nonostante fosse in inferiorità numerica, forte appena diciottomila soldati tra fanti, cavalleria pesante, arcieri a cavallo ed un contingente di eruli guidati da Sinduald, riuscì ad ottenere una vittoria decisiva grazie ad una sapiente strategia militare, la stessa adottata nella battaglia di Taginae: posizionati fanteria al centro, arcieri dietro, e cavalleria sulle ali, i franco-alamanni attaccarono il centro e così soccombettero alla cavalleria bizantina. Lo stesso Buccellino morì.

Anche Paolo Diacono conferma la presenza di questi popoli quando parla della battaglia di Tanneto in Campania, in cui il condottiero franco Buccellino venne ucciso. Scrive: “In questo periodo Narsete condusse una guerra anche contro il duca Buccellino. Il re dei Franchi Teodeberto, tornando in Gallia dopo la spedizione in Italia, ve l’aveva lasciato assieme a un altro duca, Amingo, col compito di sottometterla completamente. Buccellino, dopo aver devastato con saccheggi quasi tutta l’Italia, aveva mandato al suo re Teodeberto ricchi doni ch’erano parte del bottino, e mentre si preparava a passare l’inverno in Campania, vinto da Narsete in una durissima battaglia in una località chiamata Tanneto, fu ucciso. Tentando poi Amingo di portare aiuto a Windin, conte dei Goti, il quale s’era ribellato a Narsete, l’uno e l’altro furono battuti dallo stesso Narsete. Windin, catturato, viene mandato in esilio a Costantinopoli; Amingo invece, che gli aveva portato aiuto, è ucciso dalla spada di Narsete. Un terzo duca franco di nome Leutario, fratello di Buccellino, mentre, carico ormai di molta preda, desiderava tornare in patria, fra Verona e Trento, sulle rive del lago Benaco, morì di malattia”.

La minaccia franco-alamanna fu scongiurata, Narsete si liberò anche di Sinduald. E’ ancora Paolo Diacono a parlarcene: “Ebbe a sostenere ancora Narsete una guerra contro Sindualdo,re dei Brioni, superstite di quella stirpe di Eruli che Odoacre, quando era venuto in Italia, aveva portato con sé. A Sindualdo, che in un primo tempo gli era stato fedele alleato, Narsete aveva conferito molti benefici; ma allafine, quando costui, preso dalla superbia e dalla smania di regnare, si ribellò, sconfittolo in battaglia e catturatolo, l’impiccò ad un’alta trave”.

L’atto conclusivo della guerra tra goti e bizantini si ebbe però nel 555, quando settemila goti, capeggiati dall’unno Ragnari, asserragliati nella fortezza di Compsa, odierna Conza della Campania, in provincia di Avellino, si arresero. La guarnigione gota, in cui trovarono riparo anche alcuni residui dell’esercito di Buccellino, tentò di resistere strenuamente, cercando persino di assassinare Narsete durante le negoziazioni per la resa, ma fu tutto inutile e alla fine dovette arrendersi. A quel punto l’intera penisola era sotto il controllo dell’imperatore d’Oriente.

Scrive Filippo Moisé in Storia dei dominii stranieri in Italia: “Di quel popolo numeroso di Ostrogoti, accresciutosi all’ombra della pace sotto il benefico reggimento del gran Teodorico non restavano ora che settemila guerrieri i quali s’erano riuniti ad un Unno della schiatta degli Uturgori, chiamato Ragnari, e s’erano gittati con molte ricche suppellettili in un castello fortissimo per matura e per arte sopra un erto monte. Chiamavasi il castello Compsa (oggidì Conza città del principato ulteriore). Quivi parea Ragnari risoluto di raccogliere quanti erano Goti fuggiaschi e dispersi per l’Italia ed altrove, e rinnovare quando che gli se ne fosse presentato favorevole il destro guerra disperata ed a morte. Narsete affine di soffocare di subito una scintilla donde potea nascere grave incendio correva di persona sotto Compsa, nè potendola espugnare la stringeva di rigorosissimo assedio durante l’inverno. Gli assediati inquietarono di tanto in tanto i Romani con impetuose sortite, ma i loro conati tornarono a vuoto, nè si ottennero da una oste o dall’altra notevoli vantaggi. Giunse alla perfine la primavera del 554 e quei Goti si rodendo per rabbia dello star chiusi, propose Ragnari un abboccamento a Narsete e lo ottenne in un sito medio fra il castello di Compsa ed il campo nimico. Ma l’orgoglioso Unno pieno di vano orgoglio voleva dare anzichè mostrarsi facile a ricever condizioni, e le trattative si ruppero, e già stavano per separarsi, quando indispettito slontanatosi alquanto a modo dei Parti rapidissimamente incoccava un dardo e lo scagliava contro Narsete che non n’ebbe, Per fortuna o per mira mal presa, ferita. Questa perfidia barbara fu bentosto vendicata; le guardie di Narsete fecero volar sopra costui un nembo di freccie, sicchè mortalmente ferito e portato nel castello sulle braccia de’ suoi dopo due giorni esalò l’ultimo respiro, o i Goti senza capo e perduta in lui l’ultima scintilla di coraggio si resero a condizione che acconsentirebbesi loro salva la vita. Narsete per non lasciar omai più materia a nuove ribellioni in gente siffatta inviava questi avanzi d’una fiorente nazione a Costantinopoli. Alcuni Goti non pertanto assuggettatisi all’imperatore ebbero la permissione di abitare nei luoghi dove avevano fermato quieta stanza e mutando la spada e la lancia nella vanga e nella marra si fecero coltivatori, e cogli Italiani si confusero, spezialmente in Toscana dove furono ridotti a quel che pare alla stessa condizione dei possessori romani…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: Procopio di Cesarea, Guerre Gotiche; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi; Agazia, Storie

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