Teia e la battaglia di Nuceria Alfaterna
Alla sua morte Totila lasciava a Cuma un piccolo presidio ai comandi di Erodiano a guardia del tesoro reale. Narsete mandò i suoi uomini ad assediare la città e quindi mettere le mani sulle ricchezze custodite, ma Teia, nuovo re goto, calò dalla Toscana e, dal versante ionico, raggiunse la Campania agirando le difese bizantine.
Narsete allora “richiamò GIovanni e Filimuth che stavano a guardia del passaggio in Toscana e richiamò pure Valeriano che era coi suoi presso Pietra Pertusa; così, raccolte tutte le forze, con tutto l’esercito pronto a dar battaglia”, mosse contro Teia.
I due eserciti si fronteggiarono sulle rive del fiume Sarno, nel 552. I goti occuparono il ponte sul fiume, vi si accamparono, costruirono fortificazioni e torri di legno per poter colpire dall’alto i nemici, ma non vennero mai a contatto coi bizantini per circa due mesi. “Il Sarno – spiega Procopio di Cesarea – ha un piccolo alveo non transitabile nè a piedi, nè a cavallo poichè troppo alte sono le rive. Perchè questo avvenga, se per la natura delle acque o del suolo, non saprei dire”. Per tali ragioni i goti non corsero rischi. Finchè ebbero il controllo dell’accesso al mare, resistettero con facilità godendo dei rifornimenti navali, ma danneggiati poi dal tradimento della loro flotta, dovettero ritirarsi sui Monti Lattari. E’ qui, presso Nuceria Alfaterna, l’odierna Nocera, che ebbe luogo lo scontro decisivo.
Scrive Procopio che essi si accorsero di aver commesso un errore perchè lì sui monti mancava loro il vitto, quindi scelsero di morire in battaglia anzicchè di fame e, lasciati i cavalli, combatterono a piedi, a ranghi serrati, contro i bizantini disposti in egual modo. Lo storico così descrive la battaglia: “Qui io desciverò una battaglia memorabile, nella quale Teia pel valore che dimostrò non rimase inferiore ad alcuno degli eroi. I goti venivano spinti all’ardire dalla disperazione. I Romani, quantunque li vedessero forsennati, resistevano, vergognandosi di cedere dinanzi ad inferiori. Gli uni e gli altri si lanciavano con furore contro i nemici vicini, quelli cercando la morte, questi la gloria. La battaglia iniziò al mattino e Teia, tenendosi in vista di tutti, coperto dallo scudo e con la lancia in resta, primo con alcuni pochi si pose di fronte alle schiere. I Romani, al vederlo, pensando che la sua morte avrebbe indebolito le sue schiere e risolto la battaglia, si unirono ad aggredire lui con lance e frecce. Egli, coperto dallo scudo, si riparava da tutti i colpi e molti ne uccideva, e quando vedeva che il suo scudo era pieno di dardi lo scambiava con uno di quelli in possesso dei satelliti. Combattento così era già arrivato ad un terzo della giornata, quando dodici dardi gli si infissero nello scudo impedendogli di muoverlo; chiamò dunque uno dei satelliti senza lasciare il posto, nè indietreggiare, nè lasciare avanzare i nemici, nè si volse, nè appoggiò le spalle allo scudo, nè si mise a fianco, ma, come se aderisse al suo, ivi stette fermo con lo scudo, uccidendo con la destra, tenendo addietro con la sinistra, e chiamando a nome il suo satellite. E quegli venne con lo scudo, ed egli lo prese in cambio. In quel momento gli restò per un istante scoperto il petto ed una freccia lo colpì causandogli subito la morte. E i Romani, levata in alto su di un’asta la sua testa, la recarono attornò mostrandola ad ambedue gli eserciti; ai Romani perchè più prendessero coraggio, ai Goti perchè, smessa ogni speranza cessassero, dalla guerra. Pur nondimeno i Goti non smisero di combattere, ma seguitarono la pugna fino a notte, quantunque sapessero che il loro re era morto”.
I goti continuarono a combattere e proseguirono ancora per un giorno. Quando capirono di non avere speranza, ormai decimati, offrirono la loro resa a Narsete in cambio di una pacifica ritirata. Narsete acconsentì. Era l’anno 553.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: Procopio di Cesarea, Guerre Gotiche