Il “Codice Ferdinando” di Michele De Jorio: storia di progetto incompiuto

Guardiamo da vicino il “Codice Ferdinando” di Michele De Jorio, primo esempio di tentativo di codificazione marittima.

Se la francese Ordonnance de la marine del 1681, fortemente volta dal Colbert, è considerata l’antesignana della codificazione del moderno diritto del mare, nell’Italia preunitaria diversi furono i testi legislativi ad essa ispirati per dotarsi di un‘organica disciplina in materia di diritto marittimo. Tra questi occorre ricordare che il primato cronologico spetta certamente al Regno di Napoli che, per la sua naturale posizione geografica aveva da sempre favorito lo sviluppo delle marine, sia mercantili che militari.

Quando Carlo di Borbone conquistò il regno nel 1734, aveva ereditato una situazione geopolitica e geoeconomica sfavorevole per i propri commerci a causa della primazia della marineria genovese nel traffico di cabotaggio nel Mediterraneo occidentale e delle dannose incursioni della pirateria barbaresca. Il re, intuendo quanto tale posizione strategica fosse un punto di forza per il commercio marittimo, si impegnò a sostenere la navigazione e la cantieristica, la sanità marittima e la portualità. Sentì, altresì, l’esigenza di codificare le varie leggi marittime che si erano succedute disarmonicamente nel tempo e a limitare la lungaggine dei processi per le controversie marittime. La riorganizzazione legislativa fu preceduta da una serie importante di Editti e Real Decreti concernenti la riorganizzazione della flotta mercantile, infrastrutturando i porti in relazione all’accrescimento del tonnellaggio e ai maggiori volumi di traffico delle merci in importazione ed esportazione.

Partendo dal presupposto che il diritto mercantile nasce come diritto di classe, fatto dai mercanti per i mercanti, era prassi consolidata che queste figure professionali preferissero prendere parte direttamente ai procedimenti giudiziali commerciali. Anche nel Regno di Napoli il ceto mercantile avvertiva questa esigenza e con Real Decreto del 30 ottobre 1739 fu creato il “Supremo Magistrato di Commercio”, magistratura speciale per tutte le cause riguardanti il commercio che si occupava anche delle controversie marittime discusse nei “Consolati di terra e di mare”, posti nei principali porti del regno.

Nell’istituire il Supremo Magistrato del Commercio veniva reputato il mare ed il suo diritto come l’unico volano per uno sviluppo delle Due Sicilie. In linea con le dottrine mercantilistiche europee, i porti non erano più chiusi a difesa del territorio, come in epoca spagnola, ma risistemati ed organizzati per sviluppare i traffici con gli altri stati europei e mediterranei e talvolta anche con le Americhe. Pertanto, tali magistrature ebbero un ruolo preponderante per l’incentivazione del commercio internazionale in quanto era apparso indispensabile stipulare una serie di trattati non solo con gli stati europei ma anche con l’Impero ottomano e le reggenze islamiche nord-africane con ripercussioni estremamente favorevoli sullo stesso commercio interno in quanto la paura della pirateria musulmana era considerata il maggiore deterrente del commercio marittimo di cabotaggio.

I vari tentativi di disciplinare la materia della navigazione marittima e di regolamentare i traffici da e per il regno si rivelarono infruttuosi e gli editti avrebbero dovuto avere durata transitoria. Il progetto di Carlo di Borbone, ossia redigere una Pragmatica o Codex Maritimum di respiro internazionale, fu portato avanti dal figlio Ferdinando IV, che ne dette incarico, per lo studio e la realizzazione, al giurista Michele De Jorio.

Nato a Procida il 18 ottobre 1738 e ivi morto nel 1806, Michele De Jorio fu avvocato e magistrato del foro napoletano fino a raggiungere la carica di presidente del Sacro Regio Consiglio. Appena ventitreenne pubblicò, nel 1761, un “Discorso sui Regni di Napoli e Sicilia” con il quale indagava le ragioni delle diverse fonti economiche del regno. Del De Jorio occorre ricordare una “Storia del commercio e della navigazione dal principio del mondo sino ai giorni nostri” la quale però non andò a compimento ma si fermò al periodo antico, ed il “Codice corallino”, regolamento sulla pesca e il commercio del corallo promulgato il 22 dicembre del 1789. Nel 1798 De Jorio ottenne la cattedra universitaria di commercio, per cui scrisse un manuale, “La giurisprudenza del commercio”, in quattro volumi, in cui affronta i problemi economici e legali legati al commercio via terra. Ferdinando IV apprezzò moltissimo il lavoro del giurista tanto da attribuirgli numerose e prestigiose cariche quale Accademico delle Scienze, Giudice del Tribunale dell’Ammiragliato e Consolato, Consigliere del Supremo magistrato di Commercio e cattedra universitaria di Commercio. Soprattutto il De Jorio, il 20 dicembre 1779, venne incaricato alla compilazione di un Codice di leggi marittime e navali, con il quale doveva delineare, regolamentare, riepilogare e trattare, nei suoi diversi aspetti, i capitoli, gli usi, i regolamenti, le ordinanze e leggi di navigazione e di commercio che potevano essere utili al Regno di Napoli.

L’opera richiese due anni di lavoro e fu realizzata nel 1781 con il titolo provvisorio di “Codice Ferdinando o Codice marittimo compilato per ordine di S.M. Ferdinando IV”, ma purtroppo rimase incompiuta poiché travolta dai noti sconvolgimenti politici di fine secolo. L’incarico non era di poco conto e si inseriva nel progetto del Ministro della Marina John Acton di continuare l’opera riformatrice di Carlo di Borbone.

Il giurista riunì insieme teoria, storia e consuetudini di diritto pubblico e privato, li redasse in latino ed in italiano e, seguendo il Codice Giustinianeo, lo divise in dodici libri a cui diede il titolo di Codicis Legum Neapolitanarum.

Nel Codice è esposto tutto il pensiero filosofico del De Jorio non soltanto nella materia della navigazione ma anche in altri campi strettamente legati agli interessi del regno come l’agricoltura, le manifatture, le lettere e le arti, la morale e, ovviamente, la finanza. Nel 1781 il codice era redatto e ne furono stampati a Napoli venticinque esemplari perché fosse esaminato dai componenti del Consiglio di Stato, che avrebbero dovuto promulgarlo dopo eventuali correzioni.

L’opera, assai poderosa e costituita da quattro grossi tomi è da ritenersi di rilievo e senza dubbio la principale del De Jorio sia per l’ampio respiro dell’analisi e della ricerca in campo economico e giuridico, sia per la padronanza della letteratura specifica o non a livello europeo, sia per la complessità e la novità della trattazione, anche rispetto a paesi più evoluti ma certamente non priva di difetti. Il principale sembra rinvenirsi nello spazio eccessivo dedicato, rispetto alla parte squisitamente normativa, alle argomentazioni teoriche, agli aspetti storici, economici, letterari e filosofici connessi col commercio, con la storia della legislazione marittima. La metodologia di redazione è di natura precettiva ed infatti il contenuto normativo si articola in comandi diretti al compilatore (il medesimo De Jorio) ossia i criteri ai quali deve ispirarsi, posti per bocca del Re e che hanno come destinatari non soltanto il compilatore ma tutti i soggetti dell’ordinamento e, dunque, tutti i sudditi del regno. Quanto alle fonti a cui si ispira l’autore, oltre al Diritto Romano Rodio e a quello Giustinianeo, rinveniamo la Tabula de Amalpha, le disposizioni del Llibre de Consolat del Mar di Barcellona, le Leggi Anseatiche e la citata Ordonnance de la marine del 1681. De Jorio menziona, altresì, la prassi giudiziaria e la giurisprudenza marittima del suo tempo come i Capitoli dei Conservatori dei mari di Genova del 23 agosto 1712, nonché l’Editto di Carlo di Borbone del 1759 e altri precedenti regolamenti regi.

La parte normativa del codice, di chiara tradizione romanistica, è suddivisa in tre sezioni: le persone, le cose e le azioni del mare. Nel Codice Ferdinando sono trattate diverse normative relative ai dazi marittimi, ai diritti reali sulla nave, alla proprietà e possesso dei beni ritrovati in mare, ai contratti marittimi come la lettera di cambio, la polizza di carico, il deposito nautico, il pegno e l’ipoteca marittima, nonché quelli connessi alla gestione della nave. Per le controversie venivano prese in considerazione alcune decisioni arbitrali tratte dai pareri legali di giuristi napoletani marittimisti del XVII secolo. Infatti enorme fu l’influsso della giurisprudenza napoletana del Seicento, come è testimoniato dalle specifiche raccolte di decisiones dei suoi tribunali centrali, nonché dalle raccolte di controversiae, di resolutiones iuris, di consilia, di responsa e di allegationes discusse davanti ai supremi tribunali de regno (Consiglio Collaterale, Sacro Regio Consiglio, Reale Camera della Sommaria).

Il primo tomo contiene le “leggi preliminari al codice” distinte nei seguenti capitoli: 1. Della compilazione del codice; 2. Istruzioni generali del codice; 3. Istruzioni particolari del codice; 4. Del metodo generale del codice; 5. Del metodo particolare del codice; 6. Dell’autorità del codice. Negli altri tre tomi è compreso precisamente il progetto del codice diviso dall’autore in sei libri.

Nel libro primo si parla delle “leggi del mare” antiche e moderne, della loro storia, delle decisioni dei tribunali e della dottrina marittimistica. Nel secondo libro si tratta “delle persone del mare” dal vescovo e cappellani delle navi ai marinai e pescatori. Nel terzo libro intitolato “delle cose del mare” dei diritti che tutti i Maestri Portolani devono esigere dalle navi e dalle mercanzie che approdano nei porti del Regno, dei naufragi, del soccorso e salvataggio, delle licenze. Il quarto libro tratta “delle obbligazioni marittime”, dei prestiti, dei depositi, dei sequestri, dei pegni e delle ipoteche, della locazione e conduzione marittima, dei noli. Il quinto libro tratta “delle azioni marittime”. Il sesto libro tratta “delle guerre e delle paci marittime”.

Nel testo sono contenute le “Istruzioni” in materia consolare dirette a disciplinare in maniera organica l’attività giurisdizionale e amministrativa della navigazione. Nel 1782 vengono regolamentate le attività da dichiarare ai consoli: a) formalità di arrivo e partenza delle navi b) tonnellaggio c) composizione equipaggi d) nome del capitano e) merce imbarcata e sbarcata f) proprietari e noleggiatori. I consoli erano altresì investiti : a) dell’assistenza ai bastimenti mercantili nazionali durante la loro sosta nel porto del distretto consolare b) vigilanza sul rispetto della clausola che concedeva otto giorni per compilare il manifesto ai fini doganali c) attività di certificazione del personale della navigazione d) ricezione delle deposizioni (che presero il nome di consolati) fatte dai capitani dei bastimenti mercantili circa un sinistro sofferto dalla nave o dalle merci caricate e quelle di eventuali testimoni.

Il testo compilato dal De Jorio è ricco di dottrina ed anche di cognizioni pratiche della navigazione e resta autorevole opera per chiunque voglia accingersi ad approfondire l’affascinante storia del diritto marittimo.

 

Autore articolo: Alfonso Mignone

Bibliografia: A. Mignone, Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha

 

Alfonso Mignone è avvocato salernitano esperto in diritto della navigazione e dei trasporti. È autore di Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha (2016) e La Riforma portuale di Federico II (2017).

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