Il Concordato del 1818

L’analisi del concordato del 1818 fra la Santa Sede e le Due Sicilie ci permette di scoprire particolari poco noti del rapporto tra la Chiesa Cattolica e lo stato dei Borbone.Un forte elemento caratterizzante il quadro politico dei regimi monarchici restaurati in Europa dopo il periodo napoleonico fu senza alcun dubbio il rinnovato rapporto tra Stato e Chiesa. Ogni monarchia, infatti, dovette affrontare situazioni sociali ed economiche profondamente mutate e fu per esse indispensabile la ricerca di un nuovo equilibrio nei rapporti con la Santa Sede. Dall’altro lato anche lo Stato Pontificio doveva cogliere l’opportunità di riaffermare l’autorità della Chiesa di Roma dopo gli attacchi francesi. Con questi obbiettivi, il Cardinale Consalvi, segretario di Stato della Santa Sede, assunse un ruolo importante nell’iniziativa diplomatica di Roma.

Come scrive Maturi in “Il concordato del 1818 fra la Santa Sede e le Due Sicilie”, il Cardinale cercò di “sfruttare il pericolo della rivoluzione e accordarsi con gli Stati cattolici, ma accettando l’abolizione di fatto dei regimi feudali”. In cambio ottenne il riconoscimento della libertà morale ed economica della Chiesa e il suo insostituibile ruolo di elemento stabilizzatore del quadro politico continentale delineatosi nei Trattati di Parigi e nel Congresso di Vienna. Le intese tra trono e altare si svilupparono sul piano di un preciso realismo politico fatto di consapevolezza della irreversibilità dei mutamenti economici avvenuti e ma anche di volontà di riaffermare la stretta alleanza con la Chiesa antecedente al periodo napoleonico, per debellare ogni pericolo rivoluzionario.

Anche nel Regno delle Due Sicilie l’opera diplomatica fu tesa principalmente a recuperare la Chiesa come alleato e fondamentale elemento di equilibrio del quadro sociopolitico creatosi con la restaurazione borbonica a Napoli. Fautore di tale politica fu il Ministro Luigi De’ Medici che, formatosi nell’ambiente del riformismo illuministico settecentesco, divenne l’ispiratore dell’azione governativa di questi anni e si impegnò a ricomporre le tensioni e le lacerazioni prodotte dal decennio di governo francese.

Negli anni di Murat si era assistito alla soppressione degli ordinamenti monastici, all’incameramento nel cosiddetto “demanio” dei beni ecclesiastici e alla rimozione radicale di tutti i privilegi e le immunità della Chiesa, ma sia il Medici che il Consalvi si rendevano perfettamente conto della impossibilità di ristabilire l’antico stato patrimoniale del clero a Napoli. Infuocata fu invece la polemica sul regio exequatur, sul liceat scribere, sul foro ecclesiastico, sulla censura della stampa e sulle immunità. L’accordo raggiunto tra le parti, e ratificato a Terracina il 16 febbraio 1818, costituì un compromesso tra tali esigenze.

Il Concordato stabilì che la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico nel Mezzogiorno avvenisse su basi notevolmente limitate in rapporto all’originaria consistenza dei livelli di reddito degli Ordini del clero regale e degli enti e di istituti del clero secolare, prima del Decennio Francese. L’articolo XII sancì le basi della riorganizzazione patrimoniale della Chiesa restituendo solo i beni rimasti invenduti nel Demanio. Fu poi ridotto il numero degli ordini monastici, furono abolite le immunità stabilite nel Concordato del 1741 e con esse la censura preventiva sui libri. Al re fu riconosciuto il diritto di designare i vescovi lasciando al Papa quello di consacrarli e i vescovi erano obbligati però a giurare fedeltà al re. Non si posero più limiti alla possibilità della Chiesa di beneficiare di testamenti in suo favore, ma furono ridotte a novanta le diocesi e la Chiesa in cambio vide sancito il principio della sua libertà morale ed economica. Fu concessa ai vescovi la censura repressiva dei libri e fu ristabilito il foro ecclesiastico per la disciplina dei chierici e per le vertenze riguardanti materie ecclesiastiche.

Nonostante questo equilibrato punto d’incontro tutt’altro che arrendevole a presunte mire temporali della Chiesa, larghi settori della società napoletana non accolse il Concordato favorevolmente anzi lo giudicò come un inqualificabile cedimento alle pretese della Santa Sede. Non riuscì neppure ad accettare l’abolizione del liceat scribere considerato, con il regio exequatur, uno dei diritti fondamentali della corona. Eppure lo stesso Maturi afferma che “il Conordato del 1818, studiato analiticamente è tutt’altro che favorevole, come comunemente si intende, alla Chiesa”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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