Il giuramento di Roberto il Guiscardo

Roberto il Guiscardo, nel 1059, si dichiarò “Dei gratia et sancti Petri dux Apulie et Calabrie et utroque subveniente futurus Sicilie” (Onorio III, Liber censuum Romanae Ecclesiae) e con questo giuramento, fra i più antichi documenti che trasmettano la formula della fedeltà, riconobbe il pontefice come proprio signore.

Nel pensiero politico medioevale, il pontefice, in quanto vicarius Christi, è il Dominus, il signore dinanzi a cui prostrarsi come vassalli e, al contempo, è depositario della pienezza dell’autorità. Il princeps christianus, l’erede del soglio di Pietro, detiene cioè sia la somma auctoritatem sia la totale potestatem, brandisce il gladium spiritualem e con l’investitura, vero e proprio rito di consacrazione, affida il gladium saeculi al re, affinché il regno terrestre rifletta l’ordine di quello celeste. Dunque il potere teporale deriva da quello spirituale, procede dal pontefice al regem a mezzo di Dio, del Logos.

Le espressioni usate dal normanno sono di grande importanza perché ci aiutano a comprendere i fondamenti giuridici della regalità normanna. Il Guiscardo si disse fidelis, cioè vassallo, della Chiesa romana e promise al papa di aiutarlo per le “regalia” pontificie, di pagargli una retta annuale e di contribuire a far sì che venisse sempre riconosciuto come successore di San Pietro: “Sancte Romane ecclesie ubique auditor ero ad tenendum et adquirendum regalia sancti Petri ejusque possesiones pro meo posse, contra omnes nomine” (Onorio III, Liber censuum Romanae Ecclesiae). Il papa concesse agli uomini venuti dal Nord il Tavoliere, le Calabrie e la Sicilia “de sancti Petri hereditali feudo”. L’isola però era ancora da conquistare. L’alleanza stretta da Nicolò II con il Guiscardo impegnava quest’ultimo a scacciarne gli arabi, sebbene ciò non si realizzò mai, e poi lo condusse sino in Albania contro i bizantini. E così, il papato, che nel Nord della Penisola si era alleato coi Patarini, movimento sorto dalla reazione contro la simonia, a Sud trovò un inaspettato alleato in quei normanni che avevano sconfitto Leone IX nella battaglia di Civitate.

Il Guiscardo giurò: “Io Roberto, per grazia di Dio e di San Pietro duca di Puglia e di Calabria e in futuro, col loro aiuto, di Sicilia, da questo momento in avvenire sarò fedele della Santa Chiesa Romana, alla Sede Apostolica e a te, papà Nicolò, mio signore. Non prenderò parte né a consiglio né ad azione, per cui siano in pericolo la tua vita o la tua integrità o tu possa essere vittima di una ingiusta cattura. Non rivelerò, coscientemente, a tuo danno, quanto tu mi avrai rivelato e mi avrai vietato di rivelare. Aiuterò dovunque, con tutte le mie forze e contro tutti, la Santa Chiesa Romana nella difesa e nell’acquisto delle regalie di San Pietro e dei suoi possessi. E aiuterò te a mantenere, con tranquillità e con onore, il papato Romano. Non cercherò di invadere né di occupare né di saccheggiare la terra di San Pietro e del Principato, senza precisa autorizzazione tua e dei tuoi successori, che saranno elevati alla cattedra di San Pietro, eccetto quella terra che mi concederai o i tuoi successori mi concederanno. Con retta fede mi adopererò affinché, ogni anno, la Santa Chiesa Romana riceva la pensione della terra di San Pietro che io possiedo o possiederò. Consegnerò in tuo potere tutte le chiese esistenti nel mio dominio, con tutti i loro beni, e mi farò loro difensore nella fedeltà verso la Santa Romana Chiesa, e non giurerò fedeltà a nessuno, se non salva le fedeltà della Santa Chiesa Romana. E se dovesse accadere che tu o i tuoi successori moriate prima di me, presterò la mia opera per l’elezione e l’elevazione del successore alla cattedra di San Pietro, in conformità ai consigli dei migliori fra i cardinali, i chierici ed i laici romani. Manterrò, con retta fede, tutte queste promesse verso di te e verso la Santa Chiesa Romana, e conserverò questa fedeltà anche verso i tuoi successori nella cattedra di San Pietro, i quali mi avranno confermato l’investitura che tu mi hai concesso. Così m’aiuti Dio”.

Il dux della Puglia e della Calabria proseguì con la conquista dell’Italia meridionale, dominò i ducati marittimi di Napoli, Gaeta e Amalfi, strappò Bari e Reggio ai bizantini, prese prima il principato di Salerno, poi le terre di quello beneventano – sebbene la città fin dal 1051 si fosse data al papa -, ma non soggiogò mai la Sicilia (AA. VV., Roberto il Guiscardo e il suo tempo).

Gli arabi furono scacciati dalla Sicilia da Ruggero, fratello di Roberto il Guiscardo, che ne divenne conte, mentre Boemondo e Ruggero Borsa, figli di Roberto, si divisero i possedimenti paterni. Partito poi Boemondo per la Terra Santa, la Puglia e la Calabria finirono nelle mani di Ruggero Borsa, ma per poco tempo. Nel 1127 si estinse la discendenza diretta del Guiscardo, per cui Ruggero II, succeduto a Ruggero I sul trono siciliano, passò lo stretto e invase l’Italia meridionale.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concessa dal gruppo di rievocazione storica “Cives Regni Siciliae”

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