Amazzonia. Esploratori italiani ai confini del mondo

Il nuovo libro di Alessandro Pellegatta porta a galla le avvincenti storie dimenticate di esploratori italiani in Amazzonia. 

“[…] Ogni anno […] nel bacino del Rio delle Amazzoni viene distrutta (col fuoco, con le ruspe, con le motoseghe) una superficie di foresta equivalente a quella della Repubblica Austriaca. Ogni minuto decine di ettari di quella mirabile e intatta basilica verde vengono divorati; dai fazendeiros, certo, dai garimpeiros, dai madeireiros ma anche dall’ignoranza, dall’avidità, dagli interessi ciechi delle grandi multinazionali del legno, dei minerali, e degli hamburger”. Così Fulco Pratesi cominciava la sua presentazione al volume di Alfredo e Angelo Castiglioni intitolato Ultime oasi nella foresta pubblicato nell’ottobre del 1989. Sono passati oltre trent’anni da quel libro e, anno dopo anno, la situazione dell’Amazzonia non è sicuramente migliorata. Se è vero che, secondo un racconto mitico degli indios, gli alberi sostengono il cielo, e che se vengono tagliati tutto il firmamento cadrà sulla terra, allora il genere umano sta rischiando davvero grosso. Ma nonostante questa catastrofe imminente, il genere umano continua ad essere affetto da una ‘grande cecità’, come l’ha definita brillantemente Amitav Ghosh in un suo saggio sulle variazioni climatiche.

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha detto e ripetuto per molto tempo che “l’Amazzonia è nostra”, ma ora che il suo idolo (Donald Trump) è caduto, comincia a fare qualche piccola apertura dopo le devastazioni ambientali e umane che la sua politica ha impunemente provocato. Non lo fa certo per l’Amazzonia, ma soprattutto per sé stesso, per non rimanere cioè isolato sul piano internazionale.

In realtà, l’aggressione all’Amazzonia e ai suoi popoli indigeni iniziò già molti secoli fa, addirittura circa cinquecento anni fa, quando si affacciarono i primi conquistadores bianchi. In tutto questo tempo milioni di indios amazzonici sono stati sterminati: oggi ne rimangono poche migliaia. Questa strage, proporzionalmente superiore a quella della Shoah durante il nazismo, prosegue silenziosa, così come la deforestazione. Cosa possiamo fare?

Una cosa che dovremmo fare, tra le tante, è non disperdere la memoria. Sì, la memoria di coloro che dedicarono, come Alfredo e Angelo Castiglioni, le loro passioni, le loro energie fisiche e intellettuali ad esplorare, conoscere e divulgare il grande patrimonio che l’Amazzonia ha espresso nel corso dei secoli. Anche l’Italia ha avuto i suoi esploratori in quest’area, e dovremmo innanzi tutto far riemergere dall’oblio questo nostro passato esplorativo, che ha ancora molto da insegnarci. Per questo è nato questo nuovo libro di Alessandro Pellegatta (al momento disponibile in versione ebook su KOBO).

La figura più straordinaria tra gli italiani che hanno avuto a che fare con l’Amazzonia è sicuramente quella di Ermanno Stradelli, anche se in Italia resta ancora quasi sconosciuta. Contrasse la lebbra e finì i suoi giorni, dimenticato da tutti, in un lebbrosario vicino a Manaus nel marzo del 1926. Seppe conoscere e apprezzare i miti e le leggende degli indigeni, tra cui quella del Yuruparí (e paragonabile per importanza al Popol Vuh).

Prima di lui, si addentrò nelle foreste equadoregne del Napo il milanese Gaetano Osculati, mentre l’Amazzonia peruviana fu esplorata da Antonio Raimondi, altro personaggio che è tuttora più conosciuto in Perù che in Italia. Anche l’esploratore africano Augusto Franzoj, che aveva già attraversato tutta l’Abissinia armato solo di una scimitarra per compiere la folle impresa di recuperare le spoglie mortali di Chiarini, morto avvelenato nelle prigioni della perfida regina del Ghera, si avventurò nella foresta amazzonica brasiliana alla ricerca di terre da colonizzare, ma fu fermato dalla febbre gialla, mentre da ultimo i citati fratelli Castiglioni effettuarono nel 1974 una spedizione nel territorio venezuelano dell’Alto Orinoco.

Oggi finalmente cominciamo a comprendere che questo ossessivo ciclo espansivo dell’economia mondiale non potrà durare in eterno: l’uomo sta continuando a consumare più risorse di quelle che il pianeta può fornire. Ed è arrivato anche il momento di riconoscere all’altro il diritto di essere diverso, cioè di non essere come l’uomo bianco, di potersi opporre al consumismo, di poter vivere in armonia con l’ambiente. Di ricercare un nuovo modello culturale e di sviluppo che, in fondo, ha origini antiche. In questo progressus ad originem sta la salvezza delle prossime generazioni.

Questo libro si prefigge proprio lo scopo di fare rivivere le vicende esplorative di questi Italiani che, ammaliati dal fascino dell’Amazzonia, affrontarono una delle ultime frontiere del nostro mondo. Ripercorreremo le suggestioni, i pericoli, i miti e le leggende di questo superbo territorio, uno degli ultimi avamposti della Natura a rischio di distruzione. Ne scopriremo l’affascinate universo e la sapienza ecologica dei popoli che ancora lo abitano.

Il pianeta non è la casa dell’uomo, è l’uomo stesso. La grande forza del capitalismo, e questo per secoli, è sempre consistita nella sua capacità di creare ‘nature’ a buon mercato, integrando il lavoro umano e il cambiamento ambientale in modo dinamico ma sempre altamente distruttivo. Oggi questo modello è entrato in crisi e forse occorre cercarne alla svelta un altro. I cambiamenti climatici sono un primo campanello di allarme, e se non interveniamo velocemente c’è il rischio che la degradazione in atto diventi irreversibile.

Conosciamo l’Amazzonia e la storia, la cultura e i miti dei suoi popoli indigeni, anche nelle loro manifestazioni più crude, come l’endocannibalismo nel culto dei morti, senza forme di razzismo o di pregiudizio. Impariamo a rispettare questo ambiente, che per secoli ha sfamato e protetto popoli la cui sapienza ecologica ed economica oggi ha molto da insegnarci. Se non lo vogliamo fare per noi, facciamolo almeno per le future generazioni e per il pianeta.

Se dopo oltre cinquecento anni riusciremo a interrompere la distruzione dell’Amazzonia e il genocidio dei nativi, allora vorrà dire che il nostro mondo sarà finalmente cambiato.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Luigia Maria de Stefano

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