Arduino d’Ivrea

E’ una figura completamente avvolta nel mistero. I documenti sono scarsi, le leggende abbondanti. Tutto ciò ha contribuito a creare l’immagine d’un uomo veemente, avventuroso, eroico e cupo. Arduino d’Ivrea cinse la corona di re d’Italia assurgendo, in particolare nella storiografia di scuola risorgimentale, a emblema di una coscienza nazionale che affonda le sue radici nel Medioevo.

Un capitano di ventura, irruento, temerario, cruento interprete della nobiltà dei cosiddetti “secoli bui”, Arduino trascorse gran parte della sua vita con la spada sguainata, in guerriglie e scontri campali; nel 997 s’impadronì di Vercelli e non si fermò neppure al Vescovo Pietro, ucciso nel tumulto.

L’atto esecrando che l’aveva avviato allo scontro con l’Impero s’era consumato nell’ottobre del 997. Il contado di Vercelli era conteso tra vescovo e marchese. Il primo aveva fatto l’impossibile per ripristinare la sua giurisdizione sfidando anche i religiosi della diocesi. Fu con questi che Ardoino preparò la sua irruzione in città. L’arcidiacono della Chiesa di Sant’Eusebio, Gisalberto, e l’arciprete Cuniberto, aprirono le porte di Vercelli alle truppe del marchese che misero al sacco la città e si scagliarono proprio sulla Chiesa di Sant’Eusebio dove s’era rinchiuso il vescovo. Alla chiesa fu appiccato il fuoco e il vescovo perì nelle fiamme.

In un’Italia che si apprestava a vivere la rinascita umanistica e il fiorire delle autonomie comunali, si vide Arduino l’episcopicida respingere Ottone III e strapazzare gli altri vescovi di Novara e Ivrea. Senz’altro titolo se non la propria ambizione, Arduino raccolse le simpatie dell’aristocrazia guerrera e fu così determinato da cingersi il capo d’una pericolosa corona, quella d’Italia, nella Basilica di San Michele Maggiore a Pavia. Lo si vide vittoriosamente respingere i cavalieri tedeschi di Enrico II scesi dal Brennero e battersi per essa assediato nella Rocca di Sparone, lo si vide tornare a Pavia e recuperare tutto (Vercelli, Novara, Como…) dopo una terza spedizione imperiale, sino a quando qualcosa si incrinò dentro di lui, qualcosa di ignoto.

Ciò che accadde è incerto. Forse era stanco, forse malato, forse si ritenne sconfitto, forse capì che quel suo regno era effimero e contrastato, frastagliato tra oasi a lui fedeli e ostili vescovati a cui l’Imperatore non avrebbe rinunciato. Non è mancato chi ha sostenuto che Arduino abbia pure tentato di arrendersi, proponendo una rinuncia alla corona, in cambio della conferma della Marca d’Ivrea per i suoi figli come diritto di successione, tantomeno è mancato chi ha attribuito alla persuasione di San Bernardo la deposizione delle insigne reali e delle armi.

Non meno affascinanti dunque sono questi attimi della sua vita, quelli in cui la sua anima, scomunicata e schiacciata dal pentimento, iniziò a tormentarlo. Si tagliò la barba e diede addio ad una vita di battaglie e sangue rifugiandosi nell’Abbazia di Fruttuaria. Il 14 dicembre del 1015, secondo la cronaca redatta a San Benigno di Digione, Arduino morì con addosso il saio monacale.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Milani, Arduino e il Regno Italico

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