Battaglia ai Ponti della Valle
“Maddaloni è, per chi vuol sapere, un nome che ricorda un fatto decisivo per l’unità d’Italia”, ebbe a dire Bixio che, a conferma, volle lasciare la sua spada nella sede comunale di quella città dove è tuttora conservata. Le prime avvisaglie di ciò che sarebbe stato accaduto ai Ponti della Valle arrivarono già il 18 settembre quando il maggiore garibaldino Cattabeni, coi Cacciatori bolognesi, condusse a Maddaloni quattordici prigionieri catturati a Marcianise. Il giorno dopo una colonna di trecento camicie rosse passò per Maddaloni e si aprì il reclutamento di volontari. Nel giro di poche ore affluirono nei ranghi di Garibaldi tanti giovani casertani che De Sivo avrebbe descritto come “ita per mangiare e aggraffare”. In effetti la povertà e la miseria erano così diffuse che non c’è ombra di dubbio che molti aderissero ai garibaldini per sostenersi.
Il 30 settembre Garibaldi, dalla Reggia di Caserta, dava disposizioni di tenersi all’erta. Era preoccupato. “La nostra linea di battaglia è difettosissima per irregolarità di terreno e per troppa estensione”, riferiva allarmato. Quello stesso giorno Bixio lo rassicurò che nessuno avrebbe superato lo schieramento.
L’esercito di Garibaldi al Volturno ascendeva a circa 51.400 volontari, dai ruoli d’iscrizione, ma si stima che solo un terzo era effettivamente presente al combattimento. Rustow asserisce che al 3 ottobre, l’esercito, esclusi i 506 morti, i 1328 feriti e i 1389 dispersi, non contava che 15.000 o 16.000 uomini. Il generale aveva posto il suo quartier generale sul più alto poggio dei Monti Tifata ed è da qui che, al mattino del 30 settembre, s’avvide che i borbonici si muovevano a dar battaglia su Capua. Fu allora che richiamò il Turr da San Leucio per affidargli il comando della riserva, ovvero le brigate Eber, Milano, Assanti, il battaglione Paterniti della brigata La Masa e parte della brigata Pace per un totale di 5600 uomini e 12 cannoni. Il Turr ricevette dal Sirtori, capo di Stato Maggiore Generale, l’ordine di mobilitare la riserva sulla strada Caserta-Santa Maria. L’esercito garibaldino si disponeva così lungo una linea di oltre 15 chilometri, come un arco con la corda tesa fra Santa Maria e Maddaloni e la freccia della riserva a Caserta. Il centro di questa linea era Sant’Angelo in Formis, quello del nemico invece era Capua, da dove poteva intervenire una riserva di 9000 uomini sull’ala sinistra garibaldina. Oltre Capua, circa 31.000 borbonici, guidati da Francesco II, disegnavano una curva rientrante per circondare le camicie rosse. Garibaldi capì questi intenti e si dispose alla difesa: il passo di Aversa, all’estrema sinistra, fu affidato alla Brigata Lucana del colonnello Corte, mentre a Santa Maria pose il generale Milbitz; Sant’Angelo fu occupata dal Medici, San Leucio dal Sacchi, con appena 1800 uomini ripartiti fra la Vaccheria e Castel Morrone per impedire ogni movimento dei borbonici sulle scafe di Formicola, Caiazzo e Limatola; Bixio tenne Maddaloni perché è qui che si giocava tutto.
Garibaldi capì bene che se si fosse perduto ai Ponti della Valle si sarebbe spianata davanti a Francesco II la via per Napoli e quella per Caserta.
I borbonici avevano il doppio delle forze ed opposero al Milbitz la Divizione Tabacchi con la brigata Sergarci che occupò San Tammaro; al Medici opposero la Divisione Afan de Rivera ed al Bixio le truppe di Von Meckel; infine, il generale Colonna occupava con 3000 uomini le posizioni di monte Palombara e monte Taverna Nuova, fra le scafe di Triflisco e Formicola. Questo piano di avvolgimento del nemico però fallì.
Von Meckel divenne padrone della strada a Maddaloni, dopo che la brigata Eberhardt, agli ordini di Bixio, era passata ad un disordinato ripiegamento, ma non seppe trarre fortuna dal fatto. Puntò a congiungersi con la brigata Ruiz che invece urtò contro il battaglione Bronzetti attaccando Castel Morrone. Il Bronzetti cadde e le truppe del Ruiz ritardarono la loro marcia.
Tutto iniziò quando i bavaresi e gli svizzeri di Giovan Luca Von Meckel, alle otto, lanciarono un violento assalto, concentrando il fuoco di otto cannoni su Eberhardt. Il 2° battaglione di Migy era stato lanciato sulla destra alla conquista di Monte Calvo, il 3° del maggiore Cetcher sulla sinistra per prendere Monte Longano mentre il 1° del maggiore Goeldlin, appoggiato dall’artiglieria, tentava lo sfondamento centrale.
Ai Ponti della Valle piovevano colpi di cannone dai mulini, posizione che i garibaldini di Bixio non avevano pensato di occupare. Una batteria borbonica puniva quest’errore con un fuoco vivo sulla posizione dei garibaldini a San Salvatore, mentre un’altra tuonava sulle arcate dei ponti stessi. Questo fuoco seminò morte e panico nella brigata Eberard che fu fatta sloggiare dai borbonici alle 6.00. Fu così che la battaglia infuriò sui Ponti.
In tanti cadevano dalle arcate, ma furono tentativi vani perché i borbonici riuscirono a mettere una mezza batteria anche sotto il primo piano dei ponti e sotto l’arco principale, quello sotto cui passa la strada maestra. Ora i cannoni venivano puntati direttamente su Maddaloni e così i borbonici colpirono i garibaldini piazzati a San Michele e San Salvatore.
Gli uomini di Eberhardt si sbandarono e l’impeto di Von Meckel si fece più forte quando seppe della morte del figlio Emil. Con una sezione di artiglieria, l’alfiere Dusmet riuscì a mettere in fuga anche la brigata Dezza, ma solo a costo di pesanti perdite. In quegli scontri cadde da eroe il napoletano Achille De Martino, camicia rossa e capitano di artiglieria, gridando: “Fratelli italiani, non tradite Garibaldi!”. Era trascorsa solo un’ora dall’arrivo di Von Meckel e i borbonici erano assolutamente vincenti. Avevano occupato tutte le posizioni avversarie, ma fu allora che Bixio agì con determinazione, riordinò gli sbandati, fece entrare in gioco le riserve e chiamò soccorsi.
Coi soccorsi prestati dalla prima e seconda compagnia del primo battaglione, mandati dal generale Stefano Turr, Nino Bixio riorganizzò il fronte lungo il versante della collina di San Michele e del Monte Caro. La colonna Fabrizi e la brigata Spinazzi mossero assalto alla baionetta, i fuggitivi tornarono a dar battaglia.
In numero di 400, guidati dal colonnello Luigi Fabrizi da Modena, rinforzati da altri trecento uomini accorsi dai piccoli avamposti di cui la valle era disseminata, si spinsero sulla strada maestra, sfidando i cannoni. I borbonici finirono attaccati di fronte e poi pure sul fianco destro dalla brigata Eberard e su quello sinistro dalla divisione Bixio. Proprio questi condusse i più valorosi degli attacchi. “Viva la Croce di Savoia, avanti figlioli” gridò una volta sui Ponti, principiando la carica alla baionetta. Ne seguì pure una seconda.
Caddero più di ottocento uomini dell’uno e dell’altro campo. Le camicie rosse presero pure la batteria dei Mulini ed ora restavano i bavaresi, sulla strada maestra. Fu la colonna Fabrizi ad avanzare contro di essi, tenendosi compatta, poi suddividendosi per tornare a compattarsi. Erano soprattutto calabresi i quali “uccisero a colpi di pugnale gli artiglieri più audaci, e quando anche questa terza posizione fu guadagnata, si venne ad una battaglia campale e si trovarono a fronte 3000 e più Garibaldini con 8000 Regi”. Distrutti i cannoni, Bixio guidò una terza carica alla baionetta.
A tarda mattinata il colonnello Taddei tolse la cima del Monte Caro ai bavaresi. I siciliani, presso la via di Longano, trasversale ai Ponti, irruppero in un sanguinoso corpo a corpo. Con essi c’era pure Menotti, il figlio di Garibaldi, e c’era l’artista Francesco Grandi. Poco dopo Von Meckel lasciava il campo e ripiegava inseguito verso Dugenta.
La battaglia era completamente finita. Sulle colline di Maddaloni erano caduti centinaia di italiani, Luigi Fogliati di Villanova, Evasio Innocenzo Stella di Alfiero di Vicenza, Carlo Pietro Travesi di Palmevit genovese, Quirico Traverso di San Quirico di Polcevara, Antonio Trucco, Paolo Emilio Evangelisti e Luigi Carbone di Genova, Achille Maiocchi. I borbonici avevano compiuto un errore fatale, il colonnello Ruiz aveva ritardato l’intervento sostando a lungo a Castel Morrone per sloggiare Bronzetti, ma se avesse proseguito si sarebbe trovato alle 11.00 del mattino alle spalle di Bixio e avrebbe sancito la disfatta garibaldina. Per l’errore di Ruiz, Von Meckel ripiegò e un gruppo di bavaresi, accerchiato sul Monte Calvo, si batté fino al completo annientamento.
La Legione del Matese intervenne nelle giornate campali del 1 e 2 ottobre sotto il comando dei maggiori De Blasiis e Campagnano, tra Caserta e Caserta Vecchia. Il primo giorno la Legione – dichiara il rapporto del maggiore Campagnano al Governatore di Terra di Lavoro – sostenne un combattimento “sui monti di Caserta, (sotto la guida del maggiore dello Stato maggiore del generale Sirtori sig. Guadagni di Firenze)…”. Aggiunge poi note sull’azione del maggiore dello Stato Maggiore De Franchis che fece 360 prigionieri. Il capitano Torti, in un rapporto al Sotto-Governatore di Piedimonte, parla anch’egli del “glorioso combattimento del 1° e 2° ottobre in Caserta, dove ebbe la ventura di fare 360 prigionieri…”. Gioacchino Toma riferì nei suoi ricordi: “Prendemmo in seguito, dopo la reazione, Ariano, comandanti dal Generale Turr, combattemmo il 1° ottobre a Santamaria di Capua e il 2 a Caserta, e finalmente, essendo stata tutta la Legione aggregata ad una colonna di circa un migliaio di uomini comandati dal colonnello Nullo, muovemmo per la provincia di Molise, dove le masse reazionarie si organizzavano rapidamente”. Nello scontro del 1 ottobre cadde morto il maggiore Von Meckel, dei borbonici, sparato, secondo alcune testimonianza re, dal legionario Francesco Rossi.
Garibaldi, invece, a Caserta Vecchia attaccò i borbonici coi soli calabresi di Stocco e due compagnie di bersaglieri. Al sopraggiungere di Bixio e Taddei, i borbonici si ritrovarono circondati e furono fatti prigionieri in almeno seicento.
Della giornata del due riferì Turiello: “Certo che ci giovarono [i Piemontesi] quel giorno che, assaliti noi dentro Caserta da’ tremila Borbonici, che avevano vinto il Bronzetti il giorno innanzi a Castel Morrone, poi la mattina del 2 entrarono audacissimi nella città, sebbene già dalla sera innanzi tutto il resto dell’esercito Borbonico, vinto, avesse ripassato il Volturno. Li respingemmo dalla Piazza dell’Intendenza (dove cadde il maggiore Sgarallino ferito al fianco, chiamando a nome il nostro De Blasiis), e li circondammo poi per quelle vigne, noi dal basso e Bixio dall’alto, sicché dopo alcune ore si arresero”.
Autore articolo: Angelo D’Ambra