La battaglia di Bitonto

A Bitonto avvenne l’unica vera battaglia tra le truppe di Filippo V, guidate da suo figlio Carlo, e quelle austriache, comandate dal principe di Belmonte, Antonio Pignatelli, e dal Conte di Traun. L’episodio bellico fu determinante per la conquista borbonica del Regno di Napoli.

Quando il conte di Montemar udì che le forze imperiali nel territorio di Bari stavano aumentando notevolmente, marciò di gran passo contro di loro. Aveva dodicimila uomini, non gli era superiore in numero, ma voleva batterli prima che si fossero organizzati per una eventuale offensiva. Il nemico attendeva gli spagnoli presso Bitonto, in una posizione agevole. Aveva la destra appoggiata alla città, il fronte coperto da mura molto solide, alte circa un metro e mezzo, e la cavalleria disposta a chiusura di questa linea che era estesa per oltre un chilometro. A lungo aveva pensato che la consistenza dell’esercito borbonico in Puglia si riducesse alle cinquecento unità del Duca di Castropigliano e tardi s’accorse che quel contingente era stato considerevolmente rinforzato di fanti e cavalli condotti dal duca di Berwick e Liria e dal Montemar in persona, che ne aveva assunto il comando in capo.

Era il 26 Maggio 1734. Qualche scontro s’era già anticipato nella notte del 24, ma era stato frenato da un forte
temporale. L’esercito di Montemar, diviso in sette colonne, quattro di cavalleria e tre di fanteria, preceduto da un gran numero di guastatori e zappatori, avanzò risolutamente verso le postazioni austriache.

La cavalleria si staccò dal corpo caricando quella imperiale e l’impatto terribile generò grande disordine nelle fila nemiche che, in preda al panico, si rifugiarono, in scompiglio, verso Bari.

La fanteria spagnola, dette l’assalto alle mura, ma gli austriaci tennero salde le loro posizioni, sebbene abbandonati dalla cavalleria. Solo i ripetuti sforzi del Conte di Maceda costrinsero il nemico a ritirarsi.

Gli austriaci operarono un ripiegamento ordinato su Bitonto, pur senza cedere del tutto il campo, finché, attaccati di nuovo, alcuni corpi furono costretti alla resa. Sollevarono le mani, lasciando cadere le armi. Poco dopo, i loro commilitoni rinchiusi nelle città furono fatti prigionieri. Egual sorte conobbero i generali Pignatelli, riparato a Bari, e Radotzki, chiusosi a Bitonto.

Lo Schipa così ricostruì gli eventi: “Il generale spagnuolo, avanzando con suoi lungo la marina, tentò di attirare sopra un terreno per lui più accessibile il generale napoletano; ma, non riuscitovi, risolse di attaccarlo in quella stessa posizione. L’attacco ebbe luogo la mattina del 25 maggio 1734, mirando la cavalleria spagnuola, messa tutta a sinistra, a prender di fianco la cavalleria nemica. Piovevano sugli spagnuoli senza interruzione le palle nemiche da’ passi angusti, da’ muri, dai conventi presidiati; pure avanzavano bravamente. Il conte di Mazeda, colla divisione delle guardie Vallone, contro la vigorosa e ostinata resistenza della fanteria tedesca, raddoppiò il vigore e l’ostinazione degli attacchi al centro; patì perdite gravi, ma decise la sorte della giornata. Il centro tedesco, per quanto accanitamente si sostenesse, non poteva resistere a lungo, senza il sostegno della cavalleria che gli era a destra. Ma questa, investita furiosamente dalla cavalleria spagnuola e impedita di manovrare dall’angustia del luogo, si volse, col generale in capo principe Pignatelli, a fuga precipitosa verso Bari, inseguita da’ nemici. Sfondato quindi il centro, attaccati i fìanchi, superati tutti i muri e i valli, completamente rotti, perduto il campo, i più degli imperiali si resero prigionieri. La metà dei 400 usseri dell’ala sinistra si pose in salvo, gittandosi sulla via della Basilicata e Calabria. Il generale Radotzki, con pochi e miseri avanzi, si rinchiuse in Bitonto, dove restava intatta la fanteria di presidio. Artiglieria, armi d’ogni sorta, munizioni, cavalli, bandiere, stendardi, tutto rimase in potere dei vincitori. Da Bitonto, da mezzodì fin oltre mezzanotte, si continuò pertinacemente a trarre palle, ma senza effetto. Alla fine, il generale tedesco cedette la piazza, rendendosi co’ suoi prigioniero del Montemar, quando già la retroguardia della cavalleria fuggente, raggiunta e attaccata, era caduta prigioniera anch’essa. Cosi fini la giornata del 25 maggio; tra morti e feriti, i tedeschi vi avean perduto circa mille uominii; gli spagnoli, soli trecento, la più parte fra le guardie Vallone, che vi ebbero la parte più gloriosa e più decisiva”.

Gli spagnoli sequestrarono agli sconfitti tutte le bandiere, i cavalli, le munizioni e le provviste. L’esercito imperiale contò la perdita di mille morti e circa ottomila furono i prigionieri. Trecento furono le vittime nelle fila del conte di Montemar il quale ricevette poi da Carlo di Borbone la Grandeza de España.

Visconti s’era messo in salvo a Pescara già nei giorni precedenti, appena seppe che Montemar disponeva di ben settemilacinquecento fanti e oltre cinquemila cavalieri. Aveva vergognosamente lasciato solo il Pignatelli. Non ritenendosi al sicuro neppure lì, si rinchiuse il successivo 1 giugno ad Ancona. Anche Gaeta, considerata inespugnabile, dovette arrendersi pochi giorni dopo alle truppe borboniche. Più tardi, nella città di Bitonto fu eretto un obelisco celebrativo.

 

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Schipa, Il regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone

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