Carlo VIII di Francia e i suoi diritti sul regno di Sicilia

Carlo VIII di Francia, alla fine del XV secolo, poteva veramente vantare diritti sulla corona di Sicilia? Secondo l’autore del manoscritto Qq_D_64, conservato dalla Biblioteca Comunale di Palermo, sembrerebbe di sì. Al foglio 113 troviamo un testo intitolato Pretensiones Regum Francorum. Entriamo dunque nel dettaglio della questione. La Chiesa di Roma, fin dalla conquista della Sicilia da parte dei normanni ai danni dei saraceni, ha sempre considerato l’isola come un proprio feudo del quale poteva disporre. Così ha creduto di fare concedendo il regno di Sicilia ai normanni, considerati a quel tempo guerrieri del papato e suoi vassalli. Nonostante questa presunzione della Chiesa, sappiamo che nel 1098, papa Urbano II, concesse ai normanni il privilegio dell’Apostolica Legazia, consentendo ai sovrani normanni di esercitare il ruolo di legati pontifici per le diocesi presenti sull’isola così come il diritto di nominare gli arcivescovi, i vescovi e gli abati.

Una volta estintasi la linea regnante normanna, la corona di Sicilia passò agli Hohenstaufen in seguito al matrimonio tra Costanza, figlia di Ruggero II, ed Enrico VI di Svevia. Dalla loro unione nacque Federico II, conosciuto con l’appellativo di Stupor Mundi, il quale, allevato dal papa fin dalla tenera età, sembrava potesse fare proseguire quell’unione tra Chiesa e regno di Sicilia. Federico, però, disattese le volontà del pontefice ossia quelle di non unificare le corone di Sicilia e dell’impero e di intraprendere la crociata.

La data considerata cruciale nella vicenda è quella del Concilio di Lione del 1245, in cui papa Innocenzo IV comunica la deposizione di Federico II dalla dignità imperiale, la scomunica dalla comunità cattolica e riguardo alla Sicilia, il pontefice, ritiene di poterne disporre liberamente. Si conviene, a questo punto, che tutti i successori di Federico (Corrado, Corradino e Manfredi) al trono di Sicilia sono da considerare, secondo la Chiesa di Roma, regnanti sine titulo.

Il papa, già nel 1245, concede in feudo la Sicilia al re di Francia, senza che quest’ultimo ne possa entrare in possesso prima del 1266.

La situazione è pertanto la seguente: da una parte abbiamo, il papa che ritenendo di essere il legittimo detentore del regno di Sicilia lo concede in feudo ai francesi; dall’altra parte, dopo l’estinzione della casa sveva in seguito all’uccisione di Manfredi per mano di Carlo d’Angiò, i diritti sulla Sicilia passarono alla casa d’Aragona in seguito al matrimonio tra Pietro III d’Aragona e Costanza, figlia di Manfredi. Quale diritto doveva dunque prevalere? Il diritto del papa, padre di tutti i re, in quanto vicario di Cristo e titolare di tutti i beni terreni? Oppure il diritto ereditario e dinastico dei legittimi discendenti dei sovrani normanni?

L’autore del manoscritto esaminato non ha dubbi, doveva essere il francese, il re di Sicilia, in seguito alla concessione papale fatta a lui e ai suoi successori in perpetuo, anche se femmine, e sotto censo annuo di 8.000 onze d’oro. Carlo d’Angiò prese la corona di Sicilia nel 1266, inaugurando quel periodo noto come regno angioino di Sicilia. Gli angioini ebbero vita breve sull’isola, il popolo siciliano si ribellò nel 1282 e offrì la corona di Sicilia agli aragonesi. Tale offerta era condizionata al rispetto, da parte dell’Aragona, dei privilegi e delle prerogative del regno di Sicilia. Da questo momento in poi si può effettivamente parlare di Parlamento Generale, luogo in cui le volontà sovrane e le richieste della nobiltà isolana trovavano dei punti d’incontro.

In seguito alla perdita della Sicilia, Carlo d’Angiò e i suoi successori continuarono a intitolarsi re di Sicilia. L’Angiò, dopo la guerra del Vespro e la conseguente perdita dell’isola, poteva contare sul pieno appoggio del papa, che scomunicò Pietro d’Aragona e i siciliani tutti.

Per più di un secolo, all’interno della stessa casa d’Angiò, poi Angiò-Durazzo e in seguito Angiò-Valois, ritenendo gli aragonesi degli usurpatori, si è cavillato circa la figura che avrebbe ereditato i titoli di re di Napoli e di re Sicilia. Secondo l’autore del manoscritto è Giovanna I di Napoli la regina titolare del beneficio, la quale ne dispose nel suo testamento. Il manoscritto confonde molto la discendenza degli Angiò e degli Angiò-Durazzo nel XIV secolo, generando molta confusione rispetto alle omonimie tra i vari Carlo e Giovanna ossia Giovanna, figlia di Carlo III d’Angiò-Durazzo, e Giovanna, figlia di Carlo d’Angiò duca di Calabria; la regina titolare di Sicilia era, infatti, quest’ultima, Giovanna figlia del duca di Calabria.

Nel manoscritto sono riportate correttamente le notizie sui quattro matrimoni di Giovanna, figlia del duca di Calabria, con Andrea d’Angiò, figlio del re d’Ungheria, con Luigi I di Napoli, con Giacomo IV di Maiorca e con Ottone IV. Giovanna, infine, morì per mano di Carlo Durazzo alias de Lapas, suo nipote, in quanto figlio della sorella che la fece strangolare poiché questa aveva riconosciuto Luigi I d’Angiò-Valois come suo erede, adottandolo, e aveva, inoltre, preso le parti dell’antipapa Clemente VII; al contrario Carlo parteggiava per il pontefice romano Urbano VI. Da qui, Urbano dichiarò Giovanna decaduta.

Luigi d’Angiò-Valois rivendicò il trono di Napoli e Sicilia fino alla morte, continuarono tale pretesa anche i di lui figli, Luigi II e Carlo, principe di Taranto. Alla fine Luigi II sposò Violante, figlia di Giovanni d’Aragona. Tra la fine del ’300 e gli inizi del ‘400 abbiamo lo scontro tra gli Angiò-Valois e gli Angiò-Durazzo per il trono di Napoli e le pretese sul regno di Sicilia, in mano aragonese. In Sicilia, in quel periodo, la situazione era turbolenta, la monarchia molto debole, infatti, dopo la morte, senza eredi maschi, di Federico IV “il Semplice” cominciò l’interregno dei quattro vicari di Sicilia (Alagona, Peralta, Chiaromonte e Ventimiglia) che tenevano in ostaggio Maria, figlia del defunto sovrano. Guglielmo Raimondo Moncada la rapì e la sottrasse dalle grinfie di Artale Alagona e in gran segreto la condusse in Catalogna, dove sposò Martino il Giovane. Nel 1392 comincia in Sicilia l’epoca dei due Martino d’Aragona, Martino il vecchio, duca di Montblanc, e Martino il Giovane con Maria, come re consorte e regina di Sicilia.

Tornando agli affari di casa d’Angiò, da Luigi II e Violante d’Aragona nacquero Luigi III, Renato, Carlo, Maria (sposa del re di Francia Carlo VII) e Violante.

Luigi II si scontrò con Ladislao figlio di Carlo Angiò-Durazzo. L’autore del manoscritto afferma che re Luigi II, così lo nomina, fu riconosciuto re di Sicilia dagli antipapa Clemente VII e Benedetto XIII, e che gli stessi ratificarono gli atti di adozione eseguiti dalla regina Giovanna in favore di suo padre Luigi. Re Luigi II, padre di re Renato d’Angiò, partecipò al concilio di Pisa nel quale fu eletto papa Alessandro V. Il concilio lo nominò gonfaloniere e difensore della Chiesa, approvando nuovamente la donazione fatta dalla regina Giovanna a Luigi suo padre, dichiarandolo vero re di Sicilia e di nuovo investito e infeudato del regno, così come appare dalle bolle del 1409 di papa Alessandro V.

Lo stesso avvenne durante il Concilio di Costanza da parte di papa Giovanni XXIII che confermò tutte quelle risoluzioni.

In quel periodo erano in carica addirittura tre papi: Gregorio XII il papa romano, Benedetto XIII ad Avignone e Giovanni XXIII a Pisa. La situazione si risolverà solo nel 1417 con la nomina di Martino V, al secolo Oddone Colonna, come unico e vero pontefice romano.

Martino V, nuovo papa dopo lo scisma, alla morte di Luigi II, scrive l’autore del manoscritto, era a conoscenza che Luigi III, fratello di re Renato, aveva pieni diritti sul regno di Sicilia e ne fece pertanto dichiarazione basandosi sulle disposizioni della regina Giovanna. Gli eredi di Luigi III sarebbero stati i figli, e, se morto privo di prole, i fratelli Renato o Carlo d’Angiò, prevedendo anche la successione femminile fino al quinto grado.

All’interno del manoscritto ci si interroga, infine, in conformità a quale titolo Alfonso V d’Aragona, tra il 1416 e il 1458, deteneva il regno di Sicilia. Per l’autore lo possiede sotto una finta e falsa donazione fattagli dalla regina Giovanna. E poi anche se Giovanna avesse eseguito realmente tale donazione, al tempo che la dispose, essa non era titolare del regno di Sicilia e pertanto donò ad Alfonso un qualcosa che non poteva donare.

L’autore afferma, inoltre, che papa Martino V avesse infeudato il regno di Sicilia a Luigi III e ai suoi successori. Luigi III alla sua morte designò per testamento (fatto a Napoli nel Castello Capuano, il martedì 2 febbraio 1435, alla presenza di ventiquattro testimoni) come suo erede nel regno di Sicilia Renato d’Angiò. I siciliani, prosegue, mandarono ambasciatori in Francia presso re Renato affinché venisse in Sicilia a farsi incoronare; Renato mandò un’ambasciata a papa Eugenio per riceverne l’infeudazione che ottenne.

Violante d’Aragona era madre di Renato d’Angiò e figlia del re Giovanni d’Aragona, mentre Alfonso V, ritenuto l’usurpatore del regno, era figlio della sorella di re Giovanni d’Aragona (pertanto nipote e zio). Stando così le cose, il regno d’Aragona dopo la morte di Giovanni apparteneva a Violante giacché figlia ed erede e per tale ragione dopo la morte di quest’ultima spettava a re Renato la successione in Aragona, come suo figlio ed erede in linea diretta, escludendo Alfonso che non era presente nella linea diretta di discendenza. Alfonso, in questa situazione, non avrebbe nemmeno avuto diritti sulla Sicilia, a prescindere dalla considerazione che la Sicilia era da ritenere proprietà della Chiesa di Roma.

Alfonso d’Aragona in punto di morte aveva deciso di ristabilire le cose, sapendo, scrive l’autore, di essere un usurpatore; aveva deciso di lasciare il regno di Sicilia a Giovanni, figlio di Renato d’Angiò, ma quest’ultimo temendo per la vita del figlio gli proibì il viaggio presso Alfonso. Dopo questo rifiuto, Alfonso lasciò il regno di Sicilia al suo figlio bastardo Ferdinando.

Il duca Giovanni di Calabria, figlio di Renato d’Angiò, ebbe un figlio di nome Nicola, promesso ad Anna di Francia, figlia di re Luigi XI di Francia, padre di re Carlo VIII. Nicola morì prima di prendere moglie. Renato a questo punto adottò, come figlio, Carlo d’Angiò suo nipote, figlio di suo fratello Carlo d’Angiò, ossia il figlio ultimogenito di re Luigi III di Sicilia, e lo designò suo erede universale e, tra le altre cose, erede del regno di Sicilia. Carlo d’Angiò, pertanto, dopo la morte di Renato fu titolato come re di Sicilia, il quale morì senza eredi, e istituì come erede universale re Luigi e il Delfino (futuro Carlo VIII), consegnando loro la titolarità del regno di Sicilia e di Napoli.

In conformità a queste premesse, nel 1494, Carlo VIII di Francia, con grande armata, scese in Italia con l’obiettivo di riconquistare il regno di Napoli. Secondo voi, la Sicilia, dato che questa ricostruzione lo designa come erede, è mai stata un suo obiettivo?

 

 

 

 

 

Autore articolo: Davide Alessandra, laureato in giurisprudenza e studente di archivistica, paleografia e diplomatica presso la scuola dell’Archivio di Stato di Palermo, è autore de “L’eredità di Giovan Luca Barberi (1523-1579)” in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, edito da FrancoAngeli.

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