I francesi ad Ancona nel 1832

Le riforme promesse dal Papa non arrivarono ed il malcontento crebbe al punto che, per garantirsi il controllo del territorio, le truppe pontificie si prepararono all’occupazione di Bologna, Forlì e Ravenna. Il cardinale Albani esigette poi il disarmo delle guardie civiche. I rappresentanti di Austria, Francia, Prussia e Russia acconsentirono ma la diffusione della notizia di tali misure repressive mise in agitazione le Romagne. Il 20 gennaio 1832, la guardia civica di Bologna e di altre città, forte circa di 1800 fucili, con tre cannoni, si schierò nella pianura di Cesena, pronta a respingere i pontifici. Il nemico si presentò con 4000 fanti, 600 dragoni, 6 cannoni e 2 obici, ingaggiando il combattimento sul fare del giorno. Dopo due ore, le guardie civiche, demoralizzate per la caduta del loro comandante, ripiegarono su Forlì. I pontifici quindi passarono ad occupare il territorio con deplorevoli eccessi sulle popolazioni. Ogni resistenza a Bologna fu definitivamente spenta il 28 gennaio 832, con l’entrata del copro austriaco del generale Grabowsky. La mossa degli austriaci però indispettì i francesi il cui governo, in profonda antitesi con quello di Vienna, pur riconoscendo e facendosi promotore della pace nelle Legazioni, continuava a chiedere un’apertura del papa alle riforme. Di conseguenza la monarchia orleanista pianificò l’occupazione di Ancona.

Questa notizia divulgatasi nella penisola, rianimò la speranza dei liberali, ma il governo Perier si mosse in realtò per altre ragioni ben più concrete. Non volle lasciare il Centro Italia all’iniziativa austriaca, nè esporsi, in politica interna, alle critiche dell’opposizione. Ai primi di febbraio del 1832, la spedizione francese era dunque decisa. Il corpo di sbarco comprendeva il 66° reggimento fanteria e reparti di artiglieria comandati dal colonnello Combes e dovevano imbarcarsi su una divisione navale, composta del vascello Suffren e delle fregate Artemisia e Vittoria, alle dipendenze del capitano di vascello Gallois. L’intera spedizione era guidata dal generale Cubierès.

Il 7 febbraio 1831 la spedizione salpò da Tolone, mentre Cubierès si portava a Roma per conferire con l’ambasciatore e raggiungere poi Ancona via di terra. Dopo quindici giorni di navi
gazione, la squadra giunse nelle acque di Ancona ed il Gallois, nell’errata convinzione che la guerra contro l’Austria fosse imminente e che sarebbe stato seguito da un più grosso corpo militare, contravvenne alle istruzioni attendiste e decise uno sbarco di forza. Bisognava attendere le disposizioni dell’ambasciatore Saint-Aulaire e concertare lo sbarco, invece… Davanti alle porte della città tenute chiuse dalle milizie pontificie, alle tre del mattino del 22 febbraio, ordinò ai zappatori del 66° di sfondarle a colpi d’ascia. Così si impadronì della città, disarmando i papalini. Egualmente, il Combes, presentatosi a mezzogiorno del 23 davanti alla cittadella, ottenne che un suo reparto vi avesse accesso e che la bandiera francese fosse innalzata a fianco di quella pontificia.

Occupata la città, contrariamente a tutte le direttive ricevute, il Gallois lanciò alla popolazione il seguente proclama: “Abitanti di Ancona. La casa d’Austria prosegue i suoi antichi ed eterni disegni d’ingrandimento, ha steso una rete di acciaio sulle legazioni per incatenare non solo la libertà, ma lo stesso pensiero di quelle infelici popolazioni; sotto bugiarde promesse ha invaso gli Stati della Chiesa e ben presto la Romagna non sarà che un paese annesso ai suoi domini italiani.
In tale invasione voi pure stavate per essere travolti e già uno scettro di piombo minacciava i vostri capi, ma la Francia ha scorto il pericolo cui andavate incontro; i suoi soldati, portati nei vasti fianchi dei suoi vascelli da guerra, sono giunti fra voi antiguardo di un poderoso esercito.
Abitanti di Ancona, la vostra causa è la nostra, essa è pur quella di tutti i popoli. La libertà senza licenza, una costituzione che sia una verità, ecco ciò che voi chiedete. A questi beni che noi godiamo vogliamo farvi partecipare. Siamo congiunti da troppi ricordi, siamo vincolati da troppe simpatie, per non essere memori di voi.
Noi non abbiamo punto dimenticato che il pensiero di un grand’uomo attraversando il mondo si fermò sopra Ancona e che egli sognava per essa altri destini e voleva prepararle la ricca  eredità della degenerata Venezia. Volete voi di nuovo far ricorso alla grande famiglia di cui faceste parte nei giorni della gloria?
Noi non abbiamo scordato la vostra amabilità e bontà. Che la nostra federale festa non venga contrastata da crudeli eccessi, che non sia un giorno di dolore per chiunque e che alle nostre festose evviva di gioia non si mescolino urli di vendetta e di reazione.
Tolleranti in politica come in religione, lasciate che ciascheduno sia nell’opinione sua, nel suo errore. Le massime erronee di dispotismo, così anche come le epoche che li videro nascere cadranno in ruina a simiglianza dei monumenti loro contemporanei. Non si faccia violenza al pensiero e la libertà non venga mai rappresentata cogli attributi degli Eumenidi. Sue armi non sono il fanatismo, né il pugnale, essa non trascina al suo secolo le catene dei despoti. Bella e pura come una giovinetta col capo adorno di lauri e di gigli, la libertà è amata perchè produce la felicità, è seguita perchè amabile. Se la vostra mano impugnar deve armi omicide, lo faccia contro nemici esteriori che vorrebbero togliervi quella libertà che avete conquistata. Ove vi trovaste a tali strette rammentatevi che non siamo venuti a morire per voi, che da ora…”.

Provò a correre ai ripari il generale Cubierès. Tentò anzitutto di limitare la divulgazione del proclama di cui sopra, ma fu inutile. Il governo pontificio attivava i suoi canali diplomatici per protestare formalmente contro l’occupazione, ancor più preoccupato dall’arrivo di rinforzi sul vascello Rodano che i francesi avevano spedito nel timore d’essere presto attaccati dagli austriaci. Se il governo francese fu preso alla sprovvista dall’azione del suo esercito e richiamò Gallois in patria, l’Inghilterra ne fu entusiasta e Lord Palmerston comunicò la sua approvazione all’atto. Il cardinal Benetti, per conto del papa, domandava l’ammaino della bandiera francese sulla cittadella di Ancona, la riduzione di cinquecento uomini di quel presidio, il costo del mantenimento delle truppe a carico del governo francese e l’abbandono della città otto giorni prima dell’esodo degli austriaci dalle Legazioni. Precisava pure che il distaccamento giunto a sul vascello Rodano doveva rimpatriare subito.

Saint-Aulaire sembrò acconsentire, ma quando, il 1 maggio, festa di San Luigi, i cardinali non si presentarono al pranzo di gala in onore del sovrano di Francia, ne fu stizzito e ritardò ogni risposta. Intanto l’Inghilterra spingeva il Piemonte a chiedere al papa delle riforme. Il conte Della Torre, ministro agli esteri sardo, non raccolse l’invito e allora l’Inghilterra si mise in diretto contatto col governo pontificio, facendo della questione romana uno dei punti del dibattito internazionale. Da Vienna si ordinava alle truppe austriache di restare in Italia e ciò prolungava anche la permanenza della spedizione francese.

Il cardinale Benetti non riuscì a convincere gli austriaci ad un rapido abbandono delle Legazioni. Pure l’ambasciatore piemontese a Roma annotava in una lettera del 1836 al governo torinese che “le mire future dell’Austria sulle Legazioni pontificie non sembrano ormai un mistero. Più volte nei miei rapporti confidenziali ebbi a rassegnare tale mia osservazione, appoggiata all’evidenza dei fatti continui; ogni giorno che trascorre mi conferma meglio tali idee per la costante esperienza di osservazioni analoghe”. Ancona era dunque finita in una situazione di stallo, centro di contrapposti sogni di egemonia sull’Italia e i gruppi liberali tornarono in azione chiedendo al generale Cubieres la mediazione francese per far subentrare un governo laico a quello ecclesiastico. Fu inutile, i francesi preferirono collaborare col Benetti per sedare le sedizioni con arresti e persecuzioni.

Solo nel 1838 Metternich accettò di ordinare il ritiro delle truppe imperiali. Le modalità dello sgombro furono decise a Firenze. Finalmente  il 30 novembre 1838 gli austriaci abbandonavano gli stati romani ed il successivo 3 dicembre i francesi si imbarcavano da Ancona per rimpatriare.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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