Entrata di Carlo VIII a Roma

“Meraviglia e terrore”, con queste parole Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi ricostruisce l’entrata di Carlo VIII a Roma in Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo

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L’arrivo di questo esercito, del quale per la prima volta conoscevano i Romani quale fosse la forza e il nuovo ordinamento militare degli Oltramontani, fu per essi argomento di maraviglia e terrore. L’avanguardia era composta di Svizzeri e di Tedeschi che camminavano a suono di tamburo, divisi in battaglioni, preceduti dai loro stendardi. Corte erano le loro vesti e di svariati colori, e strettamente adatte alla vita. I loro capitani portavano per distintivo gli elmetti adorni di alte piume. I soldati avevano corte spade e lance di legno di frassino lunghe dieci piedi, di cui il ferro era sottile ed aguzzo. La quarta parte di loro portava, invece di lance, lunghe alabarde, il di cui ferro rassomigliava alla banda tagliente di una scure, da cui sorgeva una punta quadrangolare. Essi le maneggiavano con ambedue le mani, ferendo egualmente di taglio e di punta. Per ogni migliaio di soldati eravi una schiera di cento archibugieri. I soldati della prima fila d’ogni battaglione avevano elmi e corazze che coprivano loro il petto; questa era pure l’armatura dei capitani, ma gli altri non avevano armi difensive. a Tenevano dietro agli Svizzeri cinquemila Guaschi, quasi tutti balestrieri; mirabile era la prontezza con cui tendevano e scoccavano le loro balestre di ferro; del resto per la piccola statura e per le vesti, prive di ogni ornamento, brutta mostra facevano appetto agli Svizzeri. Veniva poi la cavalleria, la quale era il fiore della nobiltà francese, e faceva vaghissima mostra di sè coi bei manti di seta, cogli elmi e con le collane dorate.

Vi si contavano duemilacinquecento corazzieri e cinquemila cavalleggieri. I primi portavano, come gli uomini d’arme italiani, una gran lancia scannellata, armata di salda punta, ed una clava ferrata, Grandi e robusti erano i loro cavalli, e, secondo l’usanza francese, colla coda e gli orecchi mozzi. Ma per la maggior parte non erano coperti da quella, per così dire, corazza di cuoio bollito, della quale armavano gli uomini d’arme italiani i loro destrieri per difenderli dai colpi. Ogni corazziere era seguito da tre cavalli, il primo montato da un paggio armato come il padrone, e gli altri due dagli scudieri, che chiamavansi gli ausiliari laterali. I cavalleggieri portavano grandi archi di legno all’uso inglese, fatti per iscagliar lunghe frecce; non avevano altre armi difensive fuorchè l’elmo e la corazza ; alcuni portavano una breve picca, di cui vale ansi per trafiggere al suolo coloro ch’erano stati atterrati dagli uomini d’arme. I loro mantelli erano ornati di spilloni e di borchie d’argento, in cui era cesellato lo stemma del loro capi. Vedevansi da ultimo quattrocento arcieri, tra i quali cento Scozzesi, camminare ai fianchi del re, il quale era inoltre accompagnato da dugento cavalieri francesi, scelti tra il fiore della nobiltà, che camminavano a piedi. Portavano costoro in ispalla poderose mazze ferrate, a guisa di pesanti scuri. Ma quando salivano a cavallo, mette ansi in assetto come gli altri uomini d’arme, e non si discernevano per altro, che per la bellezza de’cavalli e per l’oro e la porpora onde erano coperti. I cardinali Ascanio Sforza e Giuliano della Rovere stavano a fianthi del re, a cui tenevano dietro immediatamente i cardinali Colonna e Savello. Prospero e Fabricio Colonna e tutti i generali venivano poscia coi principali signori della Francia.

Tenevano dietro all’esercito le artiglierie, e dapprima trentasei cannoni di bronzo, lunghi da otto piedi, del peso di circa sei migliaia di libbre, e del calibro a un di presso della testa d’un uomo, poi le colombrine, lunghe da dodici piedi; quindi i falconetti, de quali i più piccoli gettavano palle grosse quanto una melagrana. I carri delle artiglierie erano formati come gli odierni, di due pesanti pezzi di legno uniti con isbarre di traverso e sostenuti da due sole ruote; ma per farli camminare vi si aggiungeva un carretto sostenuto da due altre ruote, che si adattava dinanzi e si staccava quando il cannone si collocava in batteria. L’avanguardia cominciò il suo ingresso per la porta del Popolo a tre ore dopo mezzogiorno, e continuò ad entrare la truppa fino alle nove della sera a lume di doppieri e di fiaccole, il qual lume faceva porere l’esercito più feroce e tetro.

 

 

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