Etiopia, Corno d’Africa, Sahel. Il passato che (a volte) ritorna     

L’offensiva del TPLF è agli sgoccioli?

Le forze del Tigrai in guerra contro il governo centrale di Addis Abeba hanno annunciato il ritiro dalle regioni di Amhara e Afar, nel nord dell’Etiopia, in quella che viene annunciata come una svolta verso un possibile cessate il fuoco dopo oltre un anno di durissimo conflitto armato. Dopo aver attaccato e saccheggiato, con un raid a sorpresa, lo scorso anno le caserme etiopiche di Macallè, aver sparato decine di missili su Asmara, città patrimonio dell’Unesco, e quasi ‘assediato’ la capitale Addis Abeba, ora Debretsion Gebremichael, capo del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (TPLF), sventola il ramoscello d’ulivo, “confidando” in un’apertura decisiva per la pace. In una lettera alle Nazioni Unite, ha chiesto inoltre l’istituzione di una no-fly zone sul Tigrai, un embargo internazionale sulle armi all’Etiopia e alla vicina Eritrea, e un meccanismo di monitoraggio dell’Onu per verificare che le forze armate dell’esercito etiope si ritirino effettivamente dalla regione settentrionale.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed sarebbe riuscito a rovesciare le sorti del conflitto in suo favore nel giro di poche settimane, grazie all’impiego di droni armati forniti da Emirati Arabi Uniti, Turchia e Iran e della pronta risposta popolare, che ha accolto il suo accorato richiamo alle armi. Ed è sempre il premier etiope (cui è stato conferito un Nobel per la pace) che oggi deve decidere se proseguire la guerra con il TPLF o imboccare una diversa via d’uscita. C’è in atto una fragile tregua di fatto. Ma gli scenari restano difficili e cupi, visto che tra i contendenti non corre sicuramente buon sangue. Gli USA, apparentemente fingono di fare da pacieri: ma la posizione americana resta tutt’altro che chiara.

La guerra dell’acqua in Etiopia

Ma al di là di questa ennesimo conflitto regionale (e, ormai, in tutto il mondo non vi è conflitto regionale che non veda come attori le principali potenze internazionali), c’è un tema di fondo che aleggia su questa assurda guerra scoppiata nel novembre 2020 e provocata (almeno su questo aspetto non dovrebbero esserci dubbi) dallo stesso TPLF, che ha assalito in modo premeditato, massiccio e improvviso tutte le posizioni del Comando settentrionale dell’Etiopia per neutralizzare il più grande contingente militare etiope e utilizzarne le armi. Il disegno del TPLF è chiaro, ritornare al poter centrale in Etiopia scalzando il disegno ‘unificatore’ di Abiy Ahmed, dichiarare la ‘secessione’ del Tigrai e mettere di nuovo l’una contro l’altra l’Etiopia e l’Eritrea.

Questa guerra che divampa nella seconda nazione più popolosa dell’Africa, e che vede l’Europa completamente assente, in realtà sottende, oltre al tema della fragilità della struttura federativa etiope, un altro grave problema di politica internazionale, che non riesce a trovare al momento una soluzione negoziata.

L’economia dell’Etiopia è in rapida crescita e ha un bisogno drammatico di energia. Il governo etiopico mira così da tempo a diventare un hub regionale di produzione, nonché il principale esportatore di elettricità nell’area, garantendo al contempo l’accesso universale all’energia entro il 2025. Per raggiungere questo obiettivo, Addis Abeba deve ora sfruttare pienamente le sue immense risorse idroelettriche, prima che la (lunga) transizione alle altre energie rinnovabili (solare, eolico) possa produrre i primi positivi effetti.

Ma questo faraonico piano espansivo sull’energia idroelettrica, che ha portato alla creazione della Diga del Grande Rinascimento sul Nilo Azzurro (dal costo di 5 miliardi di dollari), ha determinato, purtroppo, oltre a un enorme problema ambientale, anche una grave crisi geopolitica con gli altri paesi confinanti (specie Egitto e Sudan), che lamentano minori disponibilità di risorse idriche. Riempire il gigantesco bacino della citata Diga richiederebbe anni, e ciò rischia di lasciare a secco il Nilo, con gravissime ripercussioni per la vita di milioni di persone.

Sul piano internazionale, inoltre, non esistono regole certe che regolamentino lo sfruttamento delle acque interne. Si sa, le guerre più dure non si combattono solo per il petrolio ma soprattutto per il controllo dell’acqua. Ce lo ricordano gli infiniti conflitti mediorientali: chi controlla l’acqua controlla la vita, propria e altrui.

La situazione nel Sahel

Oltre al Corno d’Africa, c’è un’altra macroregione africana la cui geopolitica dei prossimi anni dipenderà anche e soprattutto dall’acqua, una risorsa sempre più rara. Parliamo del Sahel, una regione sempre più calda (climaticamente e politicamente) che paga più di tutte le conseguenze del riscaldamento globale e che rappresenta oggi il crocevia dell’instabilità africana.

Il Sahel vede significative rivendicazioni di natura religiosa, sostenute da gruppi armati vicini ad al-Qāʿida nel Maghreb Islamico, intrecciarsi a istanze socioeconomiche, legate alla marginalizzazione delle regioni settentrionali del Mali, e comunitarie, in relazione alle ribellioni autonomiste e secessioniste di parte delle comunità tuareg. In Nigeria e nel bacino del lago Ciad, l’insurrezione armata di Boko Haram è alimentata da motivazioni sociali e politiche, accanto alle ragioni di mobilitazione ideologica fornite dal fondamentalismo islamico. In questi ultimi anni, alle debolezze strutturali di questi Stati del Sahel si sono aggiunte purtroppo anche le fragilità ambientali scatenate dai cambiamenti climatici, che fanno da detonatore ai conflitti economici, sociali e tribali in atto. Portando disperazione, fame, sete e morte, e spingendo molti a tentare esodi biblici verso Occidente.

L’Italia coloniale, Il Nilo Azzurro e il Lago Tana

Torniamo all’Etiopia. Il Nilo Azzurro e il lago Tana furono per molti anni anche al centro delle mire espansionistiche di Inghilterra ed Italia dal 1902 al 1942, come ha scritto Carlo Giglio nel suo La questione del lago Tana (pubblicato dalla Rivista di Studi Politici Internazionali del 1951, n.4). L’attuale diga etiopica del Grande Rinascimento sul Nilo Azzurro ha pertanto degli antesignani che risalgono al secolo scorso. Se l’Inghilterra aveva riconosciuto nei protocolli anglo-italiani del marzo-aprile 1891 all’esclusiva sfera d’influenza dell’Italia tutta l’Etiopia, nel 1902 la stessa Inghilterra mirava ad acquisire privilegi ed ipoteche di carattere perlomeno idraulico anche nella zona del lago Tana, per sostenere le coltivazioni di cotone in Sudan.

Nel novembre 1914, Giacomo Agnesa, direttore generale degli Affari politici delle Colonie italiane, redasse otto memorie sui problemi africani più rilevanti dal punto di vista degli interessi italiani, tra cui era ricompreso quello del lago Tana. E c’era chi, interpretando il citato accordo, sosteneva che, in caso di turbamento dello status quo in Etiopia, l’Italia avrebbe potuto ben rivendicare il suo dominio sul Tana, con una possibile servitù delle acque in favore dell’Inghilterra. Le otto memorie furono consegnate dal Ministro delle Colonie Ferdinando Martini all’onorevole Sidney Sonnino tra il marzo 1914 e il giugno del 1916, ma quest’ultimo non diede alcuna importanza alle stesse, preoccupato solo delle trattative con gli Imperi centrali e con la Triplice Intesa. La prima guerra mondiale da lì a poco sarebbe scoppiata.

E per le acque marittime?

Al contempo, stanno aumentando anche i conflitti sulla regolamentazione delle acque marittime (si vedano, ad esempio, le pretese della Turchia nel Mediterraneo e il conflitto tra Somalia e Kenya). Fanno sempre più gola i giacimenti offshore di petrolio e metano, e ogni occasione è buona per fomentare conflitti. Le tensioni tra Kenya e Somalia risalgono addirittura al periodo coloniale. Tuttavia, le controversie sono esplose nel 2014, quando la Somalia ha portato il Kenya avanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), sostenendo che il Kenya sta invadendo il suo territorio marittimo, un’area off-shore di 100.000 chilometri quadrati.

Il ruolo dell’Egitto come potenza regionale

La maggior parte della popolazione egiziana (90%) vive lungo le acque del Nilo, principale fonte idrica sia per l’Egitto che per l’Etiopia. La crescente influenza dell’Etiopia come potenza idroelettrica regionale sta quindi provocando continue tensioni sul piano internazionale: l’Egitto teme di vedere minato il proprio status e la sua influenza sulla politica regionale e non esiterà a far valere, direttamente e indirettamente, le sue ragioni pur di arginare i piani espansionistici idro-politici di Addis Abeba. È ragionevole pensare che l’Egitto stia facendo di tutto per destabilizzare l’Etiopia, anche supportando militarmente il TPLF. E così staranno facendo anche i militari golpisti sudanesi. Sappiamo bene, inoltre, che USA e Russia stanno gareggiando tra loro da anni per contendersi l’amicizia di al-Sisi e dell’Egitto, paese centrale nello scacchiere mediorientale, dove ancora incombe la tragica guerra siriana.

Il ‘grande gioco’ del Corno d’Africa

Chi conosce la storia secolare del Corno d’Africa sa che in quest’area altamente strategica si può passare dalla pace alla guerra o viceversa in un batter d’occhio. Con la pace storica siglata tra Eritrea ed Etiopia nel 2018 molti hanno sperato in un processo di distensione irreversibile, ma purtroppo è andata diversamente. Il processo di riconciliazione non può dirsi interrotto, ma la guerra innescata in Etiopia rappresenta un elemento di grave perturbazione e preoccupazione.

Peraltro, proprio in queste ore anche la martoriata Somalia sta tornando alle sue antiche fibrillazioni claniche. È recentissima la notizia che diversi blindati hanno bloccato le strade nei pressi del palazzo presidenziale a Mogadiscio, dove la situazione è diventata incandescente dopo la decisione del presidente Farmajo di deporre il primo ministro. Nel Paese più instabile e a rischio di ‘fallimento’ del mondo, la Somalia, l’incertezza elettorale dura da due anni e si temono nuovi scontri dopo quelli del 2020 seguiti al prolungamento del mandato presidenziale. I Turchi, dopo essere entrati in Libia, si sono ben posizionati nei porti somali, e sono decisi a far valere i disegni espansionistici del loro Sultano.

La ‘polveriera’ del Corno d’Africa sembra tornata sul punto di esplodere. Ma chi sta soffiando sul fuoco di queste continue tensioni regionali? Chi ha veramente interesse alla destabilizzazione di quest’area strategica? Qual è il ruolo effettivo degli USA e della Cina (massicciamente presente in Etiopia) in questa complessa vicenda? E qual è il ruolo degli Organismi internazionali? Di sicuro, al momento, c’è solo una cosa: come in passato, sta implacabilmente tornando la propaganda delle fake news, abilmente diffuse ad arte per ripetere le ‘ingiuste’ sanzioni e occultare ciò che veramente accade. Niente di nuovo rispetto a quanto già successo negli ultimi decenni. Del resto, di osservatori veramente ‘neutrali’ ce ne sono ben pochi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Alessandro Pellegatta

 

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell’esplorazione. Tra le sue ultime pubblicazioni storiche ricordiamo Manfredo Camperio. Storia di un visionario in Africa (Besa editrice, 2019), Il Mar Rosso e Massaua (Historica, 2019) e Patria, colonie e affari (Luglio editore, 2020). Di recente ha pubblicato un volume dedicato alla storia dell’esplorazione italiana intitolato Esploratori lombardi.

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