Matteo Visconti, signore di Milano

I primi anni di governo dell’arcivescovo Ottone Visconti furono molto difficili. Egli concentrò il potere nelle sue mani, sciolse la Motta e la Credenza di Sant’Ambrogio, creò il Tribunale di Provvisione, si mostrò accentratore e riformatore, tuttavia non godé di solidi consensi né di un forte potere militare, anzi dovette legarsi al Marchese Guglielmo di Monferrato affinché potesse restare al potere e respingere le controffensive dei Torriani. Appena fu esautorato del suo ruolo, Guglielmo si schierò proprio con costoro e volse le sue armi contro i possedimenti di Ottone distruggendo Castelseprio nel 1287 e ordendo una congiura, solo casualmente, fallita. Ottone Visconti morì nel 1289 e gli succedette suo nipote Matteo, già capitano del popolo e podestà.

Matteo Visconti mise a tacere le opposizioni interne. A differenza dello zio, si mostrò risoluto nell’uso della forza, ebbe la meglio su Guglielmo di Monferrato e riuscì a farsi riconoscere Signore di Novara, Mortara, Vercelli e Vigevano. Fu pure nominato Vicario Imperiale da Adolfo di Nassau nel 1294. Ad ostacolarlo trovò un pontefice inflessibile e rigoroso: Bonifacio VIII.

Il papa impose a Francesco Fontana da Parma calpestando i secolari privilegi del clero ambrosiano che attribuivano alla città la facoltà di eleggere, tra i suoi membri, l’arcivescovo. Di quest’astio ne approfittò Guido Della Torre rinnovando l’antico conflitto tra le due famiglie. Costui aveva il sostegno di Manfredi Beccaria, Signore di Pavia, e di Alberto Scotto, Signore di Piacenza. Matteo Visconti, trovandosi isolato, concordò per suo figlio Galeazzo un matrimonio con Beatrice d’Este e riuscì pure nell’opera di ingraziarsi Carlo di Valois, fratello del re di Francia. I due contendenti, Guido e Matteo, si incontrarono in battaglia a Melzo forti di uomini in armi e sostegni diplomatici. Tuttavia da Milano giunse una notizia inaspettata: la città era in rivolta. Il Visconti non poté che rassegnarsi alla sconfitta e si consegnò ai suoi nemici. Dopo venticinque anni i Torriani rientravano a Milano.

Alla morte di Francesco Fontana, uno di loro, Cassone Della Torre, fu eletto nuovo arcivescovo, ma tra Cassone e Guido c’era grande rivalità. Cassone non esitò a sfruttare la sua posizione per ricontattare l’esule Matteo Visconti. Quando l’Imperatore Enrico VII di Lussemburgo venne in Italia, i due gli andarono incontro giurandosi la pace e di fatti un dominio di Milano che tagliava fuori Guido. Enrico VII entrò in città accanto a loro e vi soggiornò a lungo fino al punto da determinare una rivolta. La permanenza dell’imperatore infatti iniziò a pesare in maniera considerevole sulle casse comunali e Galeazzo, figlio di Matteo Visconti, affiancato da Francesco, figlio di Guido Della Torre, congiurarono per scacciare gli imperiali. I tumulti iniziarono mentre l’Imperatore, scoperte tutte le trame, faceva irrompere i suoi soldati nelle case dei congiurati. I Torriani riuscirono a fuggire, ma i Visconti no. Furono mandati al confino fino a quanto Matteo Visconti domandò perdono e giurò fedeltà ad Enrico VII riacquistando la signoria di Milano ed il titolo di vicario imperiale.

La morte dell’Imperatore riarmò i guelfi. Giovanni XXII intimò a Matteo di lasciare la signoria, ma quegli, nel tentativo di placare il pontefice, rinunciò solo al vicariato imperiale. Morì scomunicato, nel 1322, dopo aver pubblicamente recitato il credo.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Bosisio, Storia di Milano; AA.VV., Storia di Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri; C. de’ Rosmini, Istoria di Milano

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