Fondamenti ideologici delle forze armate giapponesi e sconfitta nella guerra mondiale

Il 07 dicembre 1941 la flotta imperiale giapponese attaccò la base aereonavale della flotta americana del Pacifico a Pearl Harbour facendo diventare la guerra in Europa un conflitto mondiale. Ma i semi di tale conflitto furono piantati decenni prima che si arrivasse alla Guerra nel Pacifico con l’elaborazione dei principi ideologici che avrebbero informato e plasmato la strategia politica e militare del Giappone.

I fondamenti ideologici delle forze armate giapponesi e dell’espansione giapponese in Asia si ritrovano nel Rescritto imperiale per i soldati ed i marinai del 1882, nel Rescritto imperiale sull’Educazione del 1890 e nel Memorandum sulla difesa aggressiva del 30 ottobre 1890.

I tre documenti in oggetto vennero redatti nel decennio 1880 – 1890 principalmente da Yamagata Aritomo (feldmaresciallo giapponese, due volte primo ministro del Giappone, e un membro di spicco del genrō, un gruppo d’élite di anziani statisti che dominarono il paese dopo la Restaurazione Meiji) insieme a Inoue Kowashi (il Rescritto del 1882) e Motoda Eifu (il Rescritto del 1890), mentre il Memorandum sulla difesa aggressiva fu opera del solo Yamagata Aritomo.

Il Rescritto Imperiale per i soldati ed i marinai (軍人 勅 諭, Gunjin Chokuyu) era il codice etico ufficiale per il personale militare ed è spesso citato insieme al Rescritto Imperiale sull’Educazione come base per l’ideologia nazionale giapponese prima della seconda guerra mondiale. Tutto il personale militare era tenuto a memorizzare i 2700 kanji del documento. Il Rescritto fu rilasciato dall’imperatore Meiji il 4 gennaio 1882. Fu considerato il documento più importante nello sviluppo dell’esercito imperiale giapponese e della marina giapponese imperiale e fece da prototipo per il Rescritto imperiale sull’Educazione del 1890 – un documento di 315 kanji che insegnanti e studenti dovevano memorizzare – il quale era indirizzato a tutta la società giapponese. I principi comuni a questi due rescritti erano, l’assoluta fedeltà all’imperatore, l’assoluta dedizione al dovere sia per i militari ed i civili, rispetto dei superiori (che essi fossero l’imperatore e la sua famiglia, i propri ufficiali superiori, gli insegnanti, i genitori).

Sempre nel 1890 Yamagata Aritomo redasse un memorandum programmatico che delineava le linee guida dell’espansione giapponese in Asia. L’aspetto peculiare del documento statuiva che il compito delle forze armate giapponesi non stava solo nella difesa dei confini della patria ma nell’espansione verso le nazioni confinanti come mezzo di difesa della nazione.

  • La linea di sovranità e la linea di interessi

I progetti in questo periodo vedevano un comune denominatore: poiché il pericolo maggiore era rappresentato dalle potenze limitrofe al Giappone (Cina, Corea, Russia), la sola difesa statica della nazione non poteva rendere il paese sicuro ancora a lungo. Fin quando la Cina e la Russia fossero rimaste presenze forti in Estremo Oriente, la sicurezza del paese non poteva essere garantita pienamente. Furono questi gli anni in cui il concetto di “defense” giapponese cominciò a muoversi di pari passo con il concetto di “offensive”.

Il governo di Tōkyō concluse che una Corea sotto il gioco politico di Pechino o in generale di una qualsiasi potenza straniera era una seria minaccia alla sicurezza nazionale: la penisola poteva fungere da base per un blocco navale che avrebbe impedito al Giappone l’arrivo di vitali rifornimenti che permettevano al paese di sopperire alla mancanza di materie prime del proprio territorio.

La povertà di materie prime era uno dei principali problemi che affliggeva il Giappone. Questo costringeva Tōkyō a rifornirsi di materie prime altrove, rendendosi dipendente di altri paesi per portare avanti la propria produzione industriale. Fin quando il Giappone non si sarebbe reso indipendente dal punto di vista industriale, sarebbe stato sempre dipendente delle potenze estere e costretto al ruolo di una potenza di seconda classe. Inoltre, la vicinanza del territorio coreano permetteva di fare facili sbarchi sulle coste della Kyūshū una volta occupata la vicina isola di Tsushima, a metà strada tra Giappone e Corea. Per questo motivo, già dal 1881, il concetto di “sicurezza nazionale” cominciò a includere quello di “espansione territoriale”.

Yamagata, nel definire la posizione strategia del Giappone nello scacchiere dell’Estremo Oriente, affermò che il paese doveva “trasformarsi in una fortezza galleggiante (piano difensivo) e prepararsi a esercitare la propria influenza in tutte le direzioni (piano offensivo)”. Egli affermò che “se si vuole mantenere l’indipendenza nazionale tra le potenze del mondo, non basta custodire solo la linea di sovranità; dobbiamo anche difendere la linea degli interessi… e nei limiti delle risorse della nazione tendere gradualmente verso quella posizione”.

Si riferiva ad un concetto espresso da Yamagata nel 1885 in cui egli divideva le zone d’interesse del Giappone secondo due concetti principali:

  1. Linea di sovranità (主権線 shukensen): Hokkaidō, Honshū, Shikoku, Kyūshū, Ryūkyū e Isole Curili.
  2. Linea degli interessi (利益線 riekisen): territori circostanti che avevano un’influenza importante sulla sicurezza e sugli interessi del Giappone. Questi riguardavano soprattutto la Corea. Questa era “il pugnale puntato al cuore del Giappone” che, se occupata da una nazione ostile come la Cina (cui la Corea già era sottomessa) o la Russia (che mirava ad annettere la penisola), sarebbe potuta essere sfruttata come base di lancio per un’invasione del Kyūshū. Seguendo questo schema, per Tōkyō assicurarsi l’esclusiva gestione della penisola coreana era fondamentale per garantire la propria linea di sovranità.

Nei decenni successivi, l’imperialismo giapponese avrebbe continuato a seguire questo schema nell’espansione sul continente, cominciando a includere Cina, Russia e Mongolia nella propria Linea degli interessi. Fu seguendo questi calcoli che in Giappone nacque la logica dell’espansionismo imperialista come metodo di difesa della propria sovranità nazionale con tutte le conseguenze che condussero allo scontro con gli Stati Uniti nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale.

Questa strategia politica influenzò il pensiero strategico militare giapponese che si concretò nelle operazioni navali della guerra russo-giapponese dove la vittoria ottenuta dalla marina imperiale giapponese dette fondamento ad un mito dalle conseguenze disastrose:

  • Il mito di Tsushima

Parliamo del mito di Tsushima ovvero di come i giapponesi si illusero a Pearl Harbour e furono sconfitti a Midway.

Partiamo dalla fonte che è il più recente e meglio documentato libro su Midway, basato su documenti giapponesi “The shattered sword” di Jonathan Parshall e Anthony Tully. Questi due storici spiegano come il mito di Tsushima abbia influenzato in maniera negativa la strategia, la tattica, l’impiego operativo e la tecnica cantieristica delle navi da guerra della marina imperiale giapponese.

Il primo fattore o peccato militare per usare le parole di Parshall e Tully è stata l’incapacità di trarre le giuste deduzioni dalle lezioni del passato, nella fattispecie che la vittoria di Tsushima fu ottenuta su un terreno di battaglia scelto dai giapponesi vicino alle loro isole. Durante la Seconda guerra mondiale, invece, le flotte giapponesi si trovarono ad operare lontane dalle proprie basi con problemi di rifornimento e contro un nemico meglio armato e motivato della Russia zarista.

Il secondo peccato fu l’illusione della battaglia decisiva sul mare. Tsushima insegnò erroneamente ai giapponesi che era possibile vincere una guerra con un’unica battaglia decisiva. E’ in questa ottica che vanno inquadrati l’attacco a Pearl Harbor e le battaglie di Midway e di Leyte. I giapponesi furono sempre legati all’errata convinzione della battaglia decisiva alle proprie condizioni che non si verificarono mai.

Terzo peccato fu l’impostazione offensiva della strategia, della tattica, l’impiego operativo e la tecnica cantieristica delle navi da guerra che fu sempre offensiva a totale detrimento di considerazioni difensive. Questo fattore sta alla base della mancata adozione del sistema dei convogli che comportò, oltre alla distruzione della flotta bellica, giacché le navi da guerra avevano sistemi antincendio e di controllo danni primitivi rispetto a quelle americane, anche quella della flotta mercantile, mandata allo sbaraglio senza neanche la protezione delle navi militari. Si tenga pure presente che, non solo la corazzatura delle navi giapponesi era più leggera a vantaggio della velocità, ma anche il munizionamento aveva una capacità penetrativa delle corazze inferiore a vantaggio del peso delle cariche esplosive. I giapponesi ritenevano che portare una potenza di fuoco superiore a una distanza decisiva, avrebbe permesso loro di battere nemici più numerosi.

I semi di questo dogma erano stati impiantati negli anni formativi della Marina poiché i giapponesi avevano adottato le politiche del proprio mentore, la Royal Navy.

 

 

Autore articolo: Vincenzo Zazzeri, appassionato di storia militare romana, della Guerra Civile americana e delle due guerre mondiali.

Bibliografia: Douglas Ford, La Guerra del Pacifico; Kenneth G. Henshall, Storia del Giappone; Anthony Tully e Jonathan Parshall, The Shattered Sword. The untold history of the Battle of Midway; Craig T. Symonds, The Battle of Midway; Tesi di laurea di Francesco Rossi, Kantai Kessen: l’influenza della Dottrina della Battaglia decisiva sul fallimento della strategia difensiva giapponese nella Guerra del Pacifico e sull’Operazione Ketsugo, Universita’ Ca’ Foscari di Venezia, Anno accademico 2016 – 17.

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