Carlo Alberto incontra i congiurati del 1821

In queste memorie di Santorre di Santa Rosa, si ricostruiscono i colloqui di Carlo Alberto coi capi della congiura piemontese del 1821. Santorre di Santarosa, del governo rivoluzionario che nacque da quegli eventi, fu Ministro della guerra.

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Le nostre disposizioni erano prese: conoscevamo gli uomini che non temevano i rischi di iniziare una rivoluzione: conoscevamo anche quelli che mai avrebbero rivolto le armi contro di noi e quelli che ci avrebbero combattuto se deboli e ci avrebbero seguito dopo un primo successo. Non restava più che concordare il movimento col principe di Carignano.
Quattro persone andarono da lui sul cadere del giorno; posso farne i nomi: Carlo di San Marzano, il conte di Santa Rosa, il cavaliere di Collegno e il conte di Lisio, capitano dei cavalleggeri del re. Introdotti per una scala segreta nella biblioteca del principe, vi trovarono una quinta persona che non nominerò. Carlo di San Marzano prese per primo la parola; parlà da uomo profondamente convinto. Tutti gli ostacoli, tutte le difficoltà aveva appianato la sua ardente immaginazione. Fecero tutti sentire al principe che avevano innanzi gagli occhi l’Italia e la posterità, che la rivoluzione piemontese avrebbe iniziato l’epoca più gloriosa di casa Savoia. Aggiunsero che nel moto preparato nulla c’era da temere pel re e la sua famiglia, a cui i nostri petti avrebbero servito di scudo. Il conte di Santa Rosa spiegò al principe le misure da adottare appena seguita la rivoluzione, onde assicurarne il risultato per l’interna libertà e l’indipendenza della patria. Nulla gli fu nascosto e queste memorande parole li vennero indirizzate: “Principe, tutto è pronto, non s’aspetta più che il vostro consenso. I nostri amici, riuniti, attendono, col nostro ritorno, o il segnale di salvae il paese o il funesto annunzio che distruggerà tutte le loro speranze”. Carlo Alberto diè quel consenso: il conte di Santa Rosa gli tese allora la mano con la franchezza di un libero cittadino. Questo fervente nemico dell’Austria, cupo entusiasta dell’indipendenza italiana, uscì dal palazzo Carignano con la mente piena del pensiero che il giorno sospirato in ogni istante della sua vita stava finalmente per spuntare.
L’indomani, primo giorno di quaresima, tutto taceva e quel silenzio ricopriva i nostri ultimi preparativi. La rivoluzione doveva scoppiare a Torino; il re era a Moncalieri, distante 4 miglia italiane. Trovo inutile dar qui i particolari di un progetto che non ebbe esecuzione… Il giorno 7 sembrò lento ai congiurati; ma che dirà della sera che chiuse quel malaugurato giorno? Una improvvisa voce si sparge fra loro: “Il movimento non più luogo, il principe ha ritirato la sua parola”. Purtroppo era vero! Carlo Alberto l’aveva dichiarato a San Marzano e a Collegno. L’avvicinarsi del momento decisivo aveva scontolto quel giovane senza energia: ogni suo atto spirava confusione e sgomento; voleva e disvoleva. Carlo di San Marzano e Collegno, dopo essersi inutilmente affaticati ad infondere calma e coraggio nel cuore del principe, videro impossibile la riuscita di un moto, basato sul consenso di lui e disposto colla sua cooperazione indiretta. Il tempo incalzava: si assunsero la responsabilità di revocare tutte le disposizioni date per l’indomani.
Nella mattina dell’otto ci fu riferito che il principe s’era lagnato dei nostri allarmi e ci biasimava di abbandonare troppo facilmente l’impresa. I capi della congiura si radunarono: con loro per improvvisa ma franca risoluzione s’era unito il conte di San Michele, colonnello dei cavalleggeri di Piemonte. Senza esitare, un nuovo piano fu tracciato, l’esecuzione fissata pel 10 marzo a giorno fatto.
La sera dell’8, San Marzano e Santarosa, accompagnati dal San Michele, alla stessa ora di due giorni addietro, furono nuovamente dal principe di Carignano. L’avvertirono che la rivoluzione si sarebbe fatta, ma tacquero il giorno, omisero i dettagli delle misure prese, temendo che un nuova accesso di debolezza non mandasse nuovamente a vuoto i loro progetti. Il principe scelse per sé una parte più riservata, non somministrò più tutti i mezzi ch’erano in sua mano; ma diede l’8 marzo, come il giorno 6, il consenso alla rivoluzione piemontese.

 

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