Santorre di Santarosa

Il Conte di Pomerolo, Santorre di Santa Rosa nel 1821 scriveva: “L’emancipazione dell’Italia sarà un avvenimento del secolo XIX; la spinta è data. Si possono, a talento, compilare liste di proscrizioni, e i diversi principi italiani possono, se loro piace, servire i disegni dell’Austria, poichè vogliono regnare per mezzo suo piuttosto che per le leggi. L’Austria li lascia fare, e s’apparecchia a cogliere i frutti del loro acciecamento; ma tutti s’ingannano: la passione degli italiani per l’indipendenza dell’Italia s’accresce pei sacrifizi che loro costa. La potenza austriaca può ritardarla, ma non farà che rendere più terribile l’esplosione”.

Sembrano parole profetiche. Acclamano uno scontro, colgono nel futuro dell’Italia o la sottomissione all’Austria o l’indipendenza, in entrambi i casi senza alcuna possibilità di sopravvivenza per i suoi tanti principi. Questa visione esaltava il ruolo di Casa Savoia: “Quanti erano in Europa capaci di ragionare, dopo il Congresso di Vienna, giudicarono che non bisognava più considerare la casa di Savoia per ciò che era, ma per ciò che poteva divenire appoggiandosi alla forza dell’opinione italiana. Il suo stato non poteva essere che transitorio. Serrato fra due grandi potenze, il Re di Sardegna si trovava finalmente costretto a scegliere fra il vassallaggio dell’Austria e la Corona d’Italia”. Eppure Vittorio Emanuele, dopo il tornado napoleonico, aveva fatto ritorno a Torino proprio fra le baionette austriache.

Nonostante ciò il Conte di Pomerolo pensava che il re fosse intimamente a favore di una costituzione. In effetti, passata la restaurazione, l’amministrazione dello stato era finita nelle mani di liberali moderati e se il Ministro dell’Interno, Prospero Balbo, era un campione del partito reazionario, suo figlio Cesare Balbo fu un compagno della rivoluzione.

Santorre di Santa Rosa ed il giovane Balbo si ritrovarono uniti nel 1820, ma l’uno impaziente, l’altro assai mite. Rappresentarono i due estremi del partito costituzionale poi sopraggiunse la Rivoluzione napoletana, con Ferdinando di Borbone che ricorse agli aiuti austriaci per sedarla, ed allora gli ufficiali piemontesi guardarono esclusivamente a Santorre di Santa Rosa rivolgendo verso di lui le loro speranze politiche.

Si volle approfittare della spedizione austriaca nelle Due Sicilie per tagliar la ritirata al nemico e conquistare le cittadelle del Veronese e del Mantovano, affermando così la solidarietà del Piemonte al resto d’Italia. Il disegno era destinato a fallire ma contiene tutti gli elementi del 1860: le franchigie costituzionali negli stati sardi, l’intervento nel Nord contro gli Austriaci, l’affermazione dei Savoia a capo del partito unitario, la discesa su Napoli.

Santorre di Santa Rosa vedeva le cose con chiarezza e le espresse in un manifesto: “L’esercito piemontese non può lasciare il re sotto l’influenza dell’Austria, che vieta al migliore dei sovrani di soddisfare il desiderio dei suoi popoli… Noi abbiamo un doppio intento: mettere il re in istato di seguire gli impulsi del suo cuore veramente italiano; dare al popolo la libertà di manifestare rispettosamente, come da figliuoli a padre, i propri voti al re”.

Alessandria fu la sede di quell’esperimento. Santorre di Santa Rosa e Lisio coi cavalleggeri vi giunsero il 12 di mattina. A mezzo dì l’esercito uscì dalla città proclamando la costituzione spagnola e levando il tricolore napoletano del 1799, rosso, verde e azzurro. Vittorio Emanuele fu troppo debole per riconoscere la rivoluzione, abdicò e Carlo Alberto, investito della reggenza sembrò accettarla a malincuore. Intanto i moti si erano estesi a Casale, a Vercelli, ad Ivrea ma il nuovo re lasciava Torino e si schierava con i reggimenti controrivoluzionari.

La partenza del re e la diserzione di quattro reggimenti resero difficile la posizione del governo costituzionale eppure Santorre di Santa Rosa fece pubblicare un manifesto in cui si leggeva: “E’ comparsa in Piemonte una dichiarazione sottoscritta dal re Carlo Felice; ma un re piemontese, circondato dagli Austriaci, nostri inevitabili nemici, è un re prigioniero; nulla di ciò che dice può considerarsi detto per lui…”. Casa Savoia lo respingeva, Vittorio Emanuele scappava, Carlo Alberto rinnegava i liberali, Carlo Felice li combatteva, malgrado ciò Santorre di Santa Rosa teneva alto il suo piano: allontanare la casa reale dalla corte viennese.

A Novara l’esercito costituzionale fu accolto dai colpi di cannone e respinto dalle baionette austriache. Era la disfatta. Gli austriaci occupavano Alessandria, Voghera, Tortona, Casale, Vercelli mentre i costituzionalisti fuggivano in Spagna.

Santorre di Santa Rosa si recò in Svizzera e da qui continuò a sognare un Regno d’Italia. Espulso dagli svizzeri su richiesta austriaca, carcerato ed espulso in Francia, finì in Inghilterra dove trovò quale nobile amico Ugo Foscolo. Qui lo colse la rivoluzione greca e volle allora partire per Atene, era il 1826. Al presidente del senato nazionale Giorgio Condurioti d’Idra disse: “Sono esule e povero: non ho che il mio cuore , e vengo a donarlo in Grecia… Sono piemontese ed ho nome Santorre di Santarosa. Sognai lungamente essere nato a donar libertà all’Italia: ma una sentenza di morte, l’esilio, il carcere e la miseria mi han dimostrato la vanità del mio sogno. Lontano dalla moglie e dai figli privo di patria e di amici, fremetti al pensiero di morire di stento ed inedia e fermai di morire per la causa da me adorata… Quando ero nella mia patria, chiamato a consigliare e a governare, accettai il grado di ministro della guerra e della marina. Qui non debbo se non combattere, e bastami essere soldato. So che fra poco le forze egiziane assaliranno l’isola di Sfacteria. Domando solo di trovarmi fra i suoi difensori”.

S’arruolò soldato a Navarrino e cadde sopraffatto dai turchi con le armi in pugno.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: P. Boselli, Santorre di Santarosa

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