Il movimento partigiano italiano

Una pagina di Massimo Luigi Salvadori analizza il movimento partigiano italiano.

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Quanti furono i partigiani dell’Alta Italia? Nelle bande ancora raccogliticce dell’autunno 1943 e nelle squadre clandestine ancora malamente organizzate, si erano trovati forse un 100.000 uomini. Quelli della montagna scesero probabilmente a non più di 10.000 nel pieno inverno; erano, secondo quanto comunicavano i comandanti partigiani agli Alleati, il doppio ai primi di marzo del 1944, e non meno di 80.000 tre mesi più tardi. All’epoca della massima espansione delle bande nell’estate 1944 l’esercito partigiano in montagna aveva circa 100.000 uomini (questa cifra non include i 20.000 a sud della Linea Gotica); vi erano anche alcune decine di migliaia di gappisti e sappisti (nessuno può precisare la cifra). Poi vennero le offensive tedesche e il secondo inverno. Alla fine di marzo del 1945 i servizi alleati di collegamento con la Resistenza ritenevano che vi fossero quasi 90.000 partigiani in montagna e non meno di 10.000 in pianura, includendo tra questi solo coloro sui quali era possibile contare, qualsiasi fossero i pericoli e le difficoltà. Di questo totale di 100.000 combattenti, più di 30.000 erano in Piemonte, 20.000 o poco meno nelle Tre Venezie, 10-11.000 in Liguria (più di due terzi guerriglieri ed il resto partigiani clandestini), 12-15.000 in Lombardia, ed altrettanti nell’Emilia. L’unità di base dei guerriglieri era il distaccamento, che poteva includere fino a 50 uomini; tre distaccamenti formavano un battaglione e tre battaglioni una brigata, che raramente superava i 350 uomini; l’unità operativa era la divisione, composta di due o più brigate. L’unità di base dei partigiani clandestini era la squadra: da 3 a 6 uomini; l’unità operativa era la brigata, con un centinaio di uomini.

Variavano le stime per ciò che riguardava l’affiliazione politica delle bande e delle squadre, e si ebbero affermazioni a volte contraddittorie. Non vi era dubbio però che al primo posto venivano le formazioni Garibaldi con il 35-40% del totale. Al secondo posto erano le divisioni e brigate GL con circa il 25% del totale; includendo formazioni GL, Matteotti, Popolo e Mazzini, il numero dei partigiani affiliati ai partiti democratici era approssimativamente quello dei partigiani comunisti. Al terzo posto erano le formazioni ex-militari, che però prima dell’insurrezione avevano già aderito al CLN, tramite la democrazia cristiana (divisioni Val Toce, Osoppo ed altre) o il partito liberale (la maggior parte degli Autonomi piemontesi); le formazioni ex-militari contribuivano al totale con il 15-20%. Rimanevano, per quanto poche e poco numerose, alcune bande indipendenti. Non tutti i garibaldini erano comunisti, come non tutti i “gielle” erano azionisti o i militari monarchici. Le cifre indicano semplicemente quale era stato lo sforzo organizzativo nell’Alta Italia delle principali tendenze, che avevano contribuito a trasformare il movimento partigiano in esercito della Resistenza.

La libertà variamente interpretata (come si addice a uomini liberi) era allora (e, siccome il fascismo era la negazione della libertà, erano tutti, anche se con intendimenti diversi, antifascisti). L’aspirazione verso la libertà dava unità e coesione l’aspirazione comunedi quanti costituivano l’elemento animatore dei partigiani al movimento partigiano, anche se vi erano partigiani che si richiamavano allo statuto albertino, interpretato nel senso più stretto; se altri vedevano nella Repubblica, che doveva nascere dalla Resistenza così come il figlio nasce dal grembo insanguinato della madre, il sistema che elimina la violenza e l’arbitrio e che permette ai singoli di vivere la propria vita; se altri ancora nella Repubblica vedevano invece il sistema che impone ai singoli lo sforzo collettivo necessario al raggiungimento i fini determinati. A questi facevano corona quanti avevano poco interesse per ideologie politiche e sociali; che erano mossi dalla passione più semplice che è anche una delle più profonde, l’amore per il proprio paese; che poco si curavano di re o di repubblica, di democrazia o di collettivismo, ma che sentivano istintivamente che se uno era italiano doveva essere contro i tedeschi e contro coloro che avevano cercato di ridurre l’Italia a colonia germanica. La stessa unità e le stesse differenze si riscontravano nella Resistenza presa nel suo insieme; l’avevano organizzata gli antifascisti, ognuno alla ricerca della sua libertà; aveva la sua base nel patriottismo di tutte le classi, senza distinzione tra lavoratori, ceti medi e oligarchie.

Come gruppo organizzato, i monarchivi erano allora rappresentati principalmente dagli ufficiali di carriera, il cui naturale campo d’azione era la guerra seppure partigiana; anche se molti monarchici partecipavano alle altre attività della Resistenza, non vi influivano politicamente. I liberali della Resistenza erano dei democratici che rigettavano, anche se monarchici, qualsiasi concetto di monarchia autoritaria; avevano poche formazioni partigiane proprie; avevano invece organizzato sistemi di comunicazione che mantenevano il collegamento all’interno del CLN e tra il CLN e le autorità italiane ed alleate a Sud del fronte, infiltravano ed indebolivano gruppi ed organizzazioni sui quali avevano contato tedeschi e repubblichini; procuravano presso i dirigenti dell’industria e della banca i fondi indispensabili al proseguimento della lotta partigiana. La democrazia cristiana si occupava di assistenza in tutti i campi: forniva rifugi sicuri a chi era ricercato dalla polizia; trovava i locali dove potevano ritrovarsi e riunirsi i dirigenti politici e militari del CLN (nessuno dei membri del CLNAI può dimenticare il Collegio dei Salesiani in Milano); faceva giungere alle formazioni di montagna viveri e vestiario; si adoperava presso le autorità ecclesiastiche perchè intervenissero a salvare quelli che cadevano nelle mani dei tedeschi e dei repubblichini (e in questa maniera collaborarono talvolta alla Resistenza vescovi, arcivescovi e cardinali); comunicava ai partigiani il nome dei sacerdoti pronti ad ospitarli quando erano di passaggio, a ricevere e ad assistere i feriti. Le formazioni Matteotti di montagna erano modeste nei confronti delle Garibaldi e delle GL; erano più numerose tra i clandestini della ittà; i socialisti, anche prima di ricostituirsi a partito, si erano occupati attivamente del movimento sindacale clandestino ed avevano contribuito al successo degli scioperi del 1942 e ’43; non furono da meno dei comunisti nell’organizzare gli scioperi del marzo 1944 e quelli che costituirono il preludio all’insurrezione dell’aprile 1945. Ognuno portò il suo contributo alla Resistenza, anche se alla testa si trovarono, come nelle formazioni partigiane, soprattutto azionisti e comunisti, e se al cuore della massa dei resistenti, senza distinzione di classi, parlava una semplice parola: Italia.

 

 

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