Genova nella Guerra di Successione Spagnola

Il problema della successione al trono di Spagna, apertosi con la morte di Carlo II, suscitò anche a Genova molte preoccupazioni, diede luogo ad aspettative contraddittorie, rischiò di provocare quasi una crisi di identità. Abituata come era a vivere entro l’orbita spagnola e a considerare la Francia come la principale antagonista di Madrid, la Repubblica si trovò improvvisamente di fronte ad una inedita e, sino ad allora impensata, stretta alleanza tra due corone borboniche, che finiva col sovvertire tutti i canoni della sua politica estera. Nel contempo, però, questa poteva apparire a Genova la quadratura del cerchio.

Nel continuo sforzo di ritagliarsi un agire neutrale, sul finire del Seicento, c’era stato un tentativo genovese di distacco dalla Spagna in decadenza economica e politica. Nella fine degli antagonismi tra le due rivali, Genova poteva ora trovare ciò che desiderava senza grandi sconquassi perchè Luigi XIV, accettando il testamento di Carlo II, abbandonava i progetti di spartizione dell’impero spagnolo, mentre suo nipote Filippo V, re grazie a quel testamento, si presentava come garante dell’integrità imperiale. Tutto ciò era percepito come estremamente importante dai patrizi di Genova in ragione dei grandi interessi (feudi, rendite, entrate fiscali, commerci) che essi conservavano nei regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, nonché nel Ducato di Milano, controllati dalla Spagna.

Un’ulteriore rassicurazione politica, Genova l’ebbe nell’apprendere che, in caso d’estinzione della linea di Filippo e di quella del Duca di Berry, suo fratello, la successione della corona di Spagna sarebbe toccata alla discendenza del Duca d’Orléans e non a quella del Duca di Savoia, nemico storico della Repubblica sui cui ricadevano certe prerogative al trono iberico.

Lo sbilanciamento a favore dei “gallispani” fu quindi inevitabile eppure mai totale o definitivo, sicuramente si tentò sempre di non renderlo così evidente. Ovviamente non era tutto sereno ed anzi, molti erano i timori perchè quel colosso borbonico che superava i Pirenei, col vero padrone che era ora lo storico nemico di Parigi, poteva indebolire l’autonomia diplomatica e commerciale genovese e soprattutto apriva orizzonti di guerra con Londra e Vienna.

Fu problematico per Genova sfuggire alle pressanti richieste di denaro di Madrid ed un vero e proprio caso diplomatico scoppiò quando Giovanni Andrea Doria, Duca di Tursi, catturò, nel porto di Genova, alcuni ufficiali del Piemonte, stato filoasburgico retto da Vittorio Amedeo II. Il governo della Repubblica, subissato dalle proteste austriache, ordinò l’immediata restituzione dei prigionieri, ma il Duca si disse tenuto ad obbedire soltanto a Filippo V e Luigi XIV. Vi fu addirittura chi accusò il Doria di essere un traditore della sua patria e propose di demolire dalle fondamenta il suo palazzo in Strada Nuova. In fine, i prigionieri furono liberati solo dopo l’interessamento di Luigi XIV. Sempre il Doria continuò a dare preoccupazioni alla Repubblica con comportamenti troppo partigiani: nell’ottobre 1707, pretese di far sbarcare nel porto di Genova artiglierie e materiali bellici portati via da Napoli che era stata occupata dagli asburgici, e costrinse la Repubblica a rifiutargli lo sbarco, mettendola così in cattiva luce presso la corte di Madrid.

Lentamente poi le cose cambiarono. Genova, nell’ottobre 1701, non accettò la proposta/pretesa di Luigi XIV di chiudere i suoi porti alle flotte d’Inghilterra ed Olanda e, sul finire del 1711, riconobbe persino Carlo d’Asburgo come legittimo sovrano di Spagna. Lo fece certamente perché costretta dai rapporti di forza di quel momento e dalla stessa presenza di Carlo sul territorio ligure, ma anche per tutelare i suoi interessi economici con gli austriaci che espandevano la propria influenza sui vecchi domini spagnoli in Italia.

Non meno difficile però fu il rapporto con gli Asburgo: tra il 1707 e la fine della guerra l’Impero ottenne dalla Repubblica di Genova forti esborsi, a volte in cambio di vantaggi assai simbolici come il diploma, firmato da Giuseppe I il 3 settembre 1709, con cui otteneva il diritto “di porre la corona regia sopra le proprie insegne versando nel borsiglio segreto dell’imperatore 50.000 fiorini”.

Ma il governo genovese mise in campo anche numerosi sforzi per ottenere qualche ingrandimento territoriale. Si puntò su feudi minori del Monferrato come Tagliolo, Rocca Grimalda, Pasturana, Cassano e Denice, nonchè Aulla e i feudi di Lunigiana. L’unico ingrandimento lo si ottenne con l’acquisto del Marchesato del Finale, enclave spagnola da sempre considerata negativamente per la concorrenza commerciale, il contrabbando e guerra di corsa che Finale praticava contro le navi della Serenissima.

Nonostante l’impegno profuso per ritagliarsi uno spazio di autonomia, la fine della guerra, coi trattati di Utrecht e di Rastadt, segnò in assoluto una decisa perdita di importanza per Genova sulla scena internazionale perchè si affermò il predominio sui mari dell’Inghilterra, l’influenza sulla politica commerciale spagnolo della Francia ed il controllo sull’Italia dell’Impero asburgico. Malgrado ciò la città ligure continuò a serbare il ruolo di forza marinara e grande piazza finanziaria europea.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: G. Assereto, La guerra di Successione spagnola dal punto di vista genovese

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