Garibaldi nel 1859

Il 17 marzo del 1859, Vittorio Emanuele II emanò due decreti, con uno istituì il corpo dei Cacciatori delle Alpi, con l’altro nominò Garibaldi generale di brigata dell’esercito sardo, affidandogli il comando dei volontari.

Braccato dagli austriaci, Garibaldi giunse a Chiavari il 5 settembre 1849. In quel collegio era stato eletto deputato, ma la Camera era stata poi sciolta da D’Azeglio. Alloggiò in una locanda e quando la notizia della sua presenza si diffuse, i democratici liguri prepararono grandi accoglienze. Le autorità ne furono turbate. Il generale La Marmora lo fece addirittura arrestare, di notte, e lo rinchiuse a Genova, in una stanza del Palazzo Ducale. Qui Garibaldi fu raggiunto da un ufficiale che gli comunicò che il governo sabaudo desiderava che si allontanasse dal regno. E, mentre il popolo si mobilitava con manifestazioni e petizioni in suo sostegno, presentandolo anche candidato alle elezioni suppletive della Camera, a Recco, Garibaldi accettò la volontà del governo e s’imbarcò per Nizza per salutare sua madre, di lì passò a Tunisi, ma gli fu impedito lo sbarco per evitare dissapori con la Francia. Il vapore su cui viaggiò fece rotta a Cagliari, ma neppure lì accettarono il suo sbarco. Poté fermarsi all’isola della Maddalena. Il governo piemontese continuava a temere la sua popolarità ed ottenne dall’Inghilterra di poter condurre il generale a Gibilterra e da lì Garibaldi pervenne a Tangeri. Avrebbe raggiunto l’Inghilterra, poi New York dove riprende la vita in mare. Solo nel 1854 rimise piede in Italia, prendendo a vivere a Caprera. Ci mise poco però a tornare alla politica: in due colloqui con Cavour fu stabilito che avrebbe guidato un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi.

Il 20 marzo 1859 Garibaldi giurò nelle mani del re. Un mese dopo l’Austria chiese il disarmo del Piemonte, era l’ultimatum che si aspettava per coinvolgere la Francia nella guerra. Con ventiquattro ore di anticipo sulla scadenza Garibaldi scrisse ai suoi volontari: “Siamo giunti al compimento del nostro desiderio, alla meta delle nostre speranze. Voi combatterete gli oppressori della patria. Domani forse io vi presenterò agli Austriaci colle armi alla mano, per chiudere conto di ruberie e di oltraggi, che mi ripugna ricordarvi… Tra poco i nostri concittadini parleranno di noi con orgoglio e ci terranno degni di appartenere al valoroso nostro esercito”. E fu così. Il 6 maggio mise il nemico in ritirata alla sortita di Casale, il 20 attraversò il Ticino, il 23 entrò a Varese e respinse l’assedio del generale Urban, caricò poi vittoriosamente gli austriaci a San Fermo. Il 9 giugno Vittorio Emanuele II gli conferì la medaglia d’oro al valor militare e in un ordine scrisse: “Mentre l’esercito alleato tenevasi ancora sulla difensiva, il generale Garibaldi, alla testa dei Cacciatori delle Alpi, dalle sponde della Dora spingevasi arditamente sul fianco destro degli Austriaci. Con una straordinaria velocità di mosse, in pochi giorni ei raggiungeva Sesto Calende, donde, cacciato il nemico, penetrava in territorio lombardo, e veniva a portare il campo a Varese. Ivi, assalito dal tenente maresciallo Urban con 3000 fanti, 200 cavalli e 4 cannoni, sosteneva, tuttoché sprovveduto d’artiglieria una pugna accanita dalla quale usciva vittorioso. Con altri successivi combattimenti aprivasi poscia il passo verso Come, dove respingeva di bel nuovo gli austriaci e si impadroniva dei loro magazzini e bagagli. Questi ragguardevoli fatti d’armi formano il più bell’elogio di questi giovani volontari, i quali, ordinati dal loro valoroso capo mentre il nemico già radunava poderose schiere ai nostri confini, combatterono in questi scorsi giorni da vecchi soldati. Essi hanno bene meritato della patria, e S. M., nel compiacersi di attestare loro la sua più alta soddisfazione, ha ordinato che siano fatti conoscere all’esercito intero i nomi dei prodi Cacciatori, che maggiormente si distinsero, e le ricompense che loro accorda col presente o.d.g”.

Venne, inatteso, l’armistizio di Villafranca e Garibaldi divenne per il governo sardo un ingombro. Approfittarono del suo sogno – immaginava l’unificazione di tutte le province fino al confine pontificio – e riuscirono a fargli accettare il comando dell’esercito toscano che agognava l’annessione al Piemonte. Doveva guidare, disciplinare e organizzare le forze guidate dall’esule napoletano Gerolamo Ulloa ovvero due brigate di fanteria, reparti di cavalleria e artiglieria, nuclei militari pontifici e dei ducati di Modena e Parma, volontari dalle Romagne. Puntava ad invadere le Marche e l’Umbria e poi ad invadere gli Abruzzi sollevando l’intero Regno delle Due Sicilie, ma quando si scontrò con l’ostracismo piemontese, diede le dimissioni e tornò a Caprera.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Pratta, Garibaldi; A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi

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2 pensieri riguardo “Garibaldi nel 1859

  • 8 Marzo 2022 in 20:37
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    Perché non fate menzione dei misfatti del “grande” Garibaldi? Delle “strane” alleanze strette per Conquist are il regno delle due Sicilie?

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    • 13 Marzo 2022 in 10:34
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      Siamo un portale di Storia, la diffusione di bufale la lasciamo ad altri.

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