La fine di Napoleone III

Come conseguenza dei trattati del 1815, Francia e Prussia si ritrovano un confine in comune. Quarantacinque anni i dazi di frontiera furono abbattuti. I due paesi, per un breve periodo di sei anni, furono uniti da un accordo di libero scambio. Nel 1866, però, la vittoria prussiana nella Battaglia di Sadowa urtò molto Napoleone III.

La Prussia emergeva sui campi di battaglia come nuova potenza, ingigantita diplomaticamente e rafforzata economicamente a tutto scapito dell’Austria. Era divenuta un ingombrante vicino e la Francia si mosse per limitarla oltre il Meno, volle così ergersi a protettrice dell’indipendenza dei quattro stati cattolici tedeschi sconfitti, la Baviera, il Wurttemberg, l’Assia e Baden. A tutto ciò si unirono le controversie del 1867, quando Napoleone III intese annettere il Lussemburgo, ritenuto invece territorio di lingua tedesca da Bismarck. Il cancelliere, intenzionato ad assumere su di sé il sentimento di unificazione nazionale dei tedeschi, non tardò ad accusare Napoleone III di voler turbare l’equilibrio politico europeo. Stranamente l’Imperatore si ritrovò solo perché l’Inghilterra aveva timore delle sue mire sul Belgio. Fu attraverso questa sottile azione diplomatica che il brillante Otto Von Bismarck spinse Napoleone III a dichiarare guerra. Era ciò che i prussiani volevano. Il cancelliere, infatti, sapeva benissimo che l’esercito francese si era indebolito nella fallita campagna messicana in sostegno di Massimiliano d’Asburgo, sapeva che gli eserciti prussiani erano molto meglio preparati al conflitto e sapeva che la guerra avrebbe unito alla Prussia le altre nazioni germaniche, anche quelle prima ostili, come la Baviera ed il Wurttemberg.

Dopo Sadowa, i tedeschi furono subito in grado di mettere rapidamente insieme una formidabile forza di 750.000 uomini, affidandosi ad una leva universale di tre anni. Queste truppe ben addestrate erano armate da modernissimi cannoni Krupp ed avevano in dotazione i fucili Dreysen che già erano stati determinanti contro gli austriaci. Il Secondo Impero aveva provato a riformare il suo esercito, ma l’impopolarità di qualsiasi tipo di leva aveva contribuito a far fallire tutto. A ciò si aggiungevano le disastrose condizioni finanziare francesi che lasciavano languire l’artiglieria in uno stato penoso. Su ogni campo di battaglia, poche ore bastarono a mostrare il grande divario militare tra i due belligeranti.

Fu in Alsazia che si svolsero i primi episodi della guerra. L’offensiva tedesca fu lanciata il 4 agosto del 1870. Le truppe prussiane presero con sconcertante facilità Wissembourg. La collina di Geisberg cadde sotto i colpi dei cannoni tedeschi. Le truppe del generale Abel Douay non potevano contrattaccare, non avevano mezzi ed erano inferiori in numero. Douay finì ucciso. Il generale Mac-Mahon, comandante dell’esercito francese, pose diverse guarnigioni tra Woerth e Froenschwiller, per fermare l’avanzata dei tedeschi verso Saverne. Erano però appena 45.000 uomini contro un nemico tre volte più numeroso. L’esito della battaglia per i francesi non poteva che essere rovinoso, vennero respinti ovunque. La guerra iniziata a luglio si era rapidamente trasformata in una vera e propria debacle.

Dopo le sconfitte subite in Alsazia il maresciallo Mac-Mahon ricostituì un esercito composto da quattro corpi, con campo a Chalons, per proteggere Parigi. L’esercito del Reno, comandato dal maresciallo Bazaine, tentò di unirsi a Mac-Mahon, ma fallì. A Mars-la-Tour, a sud di Metz, il 16 agosto, Bazaine diede filo da torcere al 5° ed al 10° corpo prussiano. I nemici erano convinti di avere davanti a sé la retroguardia francese. Erano invece 130.000 uomini, il grosso dell’esercito di Napoleone III. Fu gioco forza per Bazaine respingere gli attacchi sino a sera, ma il maresciallo si rifiutò di lanciare quel contrattacco generale che avrebbe probabilmente portato alla sconfitta dei nemici. Bazaine si ritirò a Metz e i prussiani ne approfittarono per rafforzarsi e tornare all’attacco, circondando i francesi il 20 agosto.

Il resto della guerra fu altrettanto disastroso per Napoleone III che capitolò a Sedan il 2 settembre, in una sconfitta rovinosa che lo vide finire prigioniero del nemico come un novello Francesco I.

Il 23 agosto Mac-Mahon provò ad andare in soccorso di Bazaine, ma i prussiani avevano altri 200.000 uomini che marciavano in direzione di Chalons. Per evitarli, Mac-Mahon decise di spostarsi nelle Ardenne e poi tornare su Metz, tuttavia trovò la Quarta Armata del Principe Reale di Sassonia, ferma sulla Mosa. Mac-Mahon restò immobile tra Rethel e Vouziers mentre la Quarta Armata si mosse per attaccarlo frontalmente. Mac-Mahon iniziò a ritirarsi, spostandosi verso nord, senza ordine, né informazioni precise sui movimenti dell’avversario. Il 30 agosto, a Beaumont, la Quarta Armata attaccò il 5° corpo francese che teneva il fianco destro dell’esercito di Mac-Mahon. Il maresciallo decise allora di rifugiarsi a Sedan, città non molto distante dal confine belga, sulla riva destra della Mosa.

Il 1 ° settembre 1870 iniziò la battaglia. L’esercito di Mac-Mahon con 202 battaglioni di fanteria, 80 squadre di cavalleria e 364 cannoni d’artiglieria, si scontrò con la Terza e la Quarta armata prussiana, che contavano 222 battaglioni di fanteria, 186 squadre di cavalleria e 774 cannoni. Le artiglierie tedesche cannoneggiarono le postazioni francesi mentre nuovi rinforzi prussiani e bavaresi accorrevano sul campo di battaglia. Mac-Mahon fu respinto verso Bois de la Garenne, dove capitolò. Napoleone III non poté che ordinare il cessate il fuoco. Sul campo restavano 17.000 francesi e solo 2.300 prussiani. Il giorno successivo, il 2 settembre 1870, l’imperatore fece innalzare la bandiera bianca e si arrese. Fu scortato in campo nemico e rinchiuso a Wilhelmshoehe, vicino a Kassel. Intanto i prussiani marciavano su Parigi dove Léon Gambetta aveva proclamato la Repubblica. Per 144 giorni, Parigi fu sotto assedio, la sua popolazione contò un enorme numero di decessi per fame ma resistette sebbene senza alcuna speranza. Capitolarono il 28 gennaio 1871.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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