L’esplorazione italiana dell’Africa

Dopo la spedizione di Ippolito Rosellini, l’Italia visse un entusiastico fervore per le esplorazioni in Africa. L’area che attrasse il maggior interesse italiano fu il nord-est, la Valle del Nilo, le rive del Mar Rosso, l’Etiopia ed i laghi della Rift Valley.

Negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, il missionario Giuseppe Sapeto fu sul Mar Rosso, poi in Eritrea ed Abissinia. Fu lui ad acquistare la Baia di Assab e ad avviare il colonialismo italiano nell’area. A Sapeto si unì padre Giovanni Stella in un lungo viaggio nel Sennateit, fra i popoli mensa, bogos e habab, per poi fondare la colonia agricola di Sciotel. Un altro missionario, invece padre Giovanni Beltrame esplorò il Sudan: partì da Khartoum e si spinse a Benisciangul, in Etiopia, seguendo le rive del Nilo Bianco, ed a Gondokoro, percorrendo il tracciato del Nilo Azzurro.

Il Congo, l’Uganda, il Sudan, i Grandi Laghi, i territori attraversati dal Nilo furono esplorati da diversi italiani. Andrea de Bono, Antonio Antognoli, Giovanni Miani, Luigi Pennazzi, Angelo Vinco e Carlo Piaggia, con ripetuti viaggi, contribuirono con le loro osservazioni geografiche ed etnografiche a rivelare al mondo quelle ignote regioni. Le loro non erano missioni militari, non erano dirette a conquistare terre, volevano solo aprire nuove vie al commercio, pervasi di spirito di avventura, di curiosità per i popoli e l’habitat. Ciascuno si misurò con l’esistenza semplice e naturale, per quanto spesso violenta, degli indigeni (si pensi alle pratiche superstiziose, ai sacrifici e al cannibalismo).

Grande notorietà raggiunse Romolo Gessi che nel 1876 arrivò al Lago Alberto con la spedizione del sottotenente Charles Gordon per combattere lo schiavismo promosso da Suleiman Bey. Ne parlò nella sua opera Sette anni nel Sudan Egiziano, preziosa testimonianza storica di quanto gli italiani fossero lontani dai sentimenti di razzismo e superiorità. Gessi, ancora nel suo rapporto a Rauf Pasha, governatore generale del Sudan, scrisse: “In quanto agli indigeni, essi sono la più pacifica, più laboriosa e trattabile gente del mondo. E’ vero che questa povera gente si difende ogni qualvolta le si rubano le donne e i figli; ma che cosa farebbe un arabo se gli venisse trafugato un figlio? I negri prestarono assistenza al Governo, combattendo, portando i nostri materiale ed aiutandoci in tutte le circostanze… Prima di me, quando un arabo passava per un villaggio lo trovava deserto, e nessuno per offrirgli un bicchier d’acqua. Ora, il viaggiatore è sempre il benvenuto; trova nutrimento ed alloggio, e nessuno pensa più a disertare la sua casa, perchè egli sa che la legge lo protegge”.

Queste missioni furono appunto volte soltanto ad aprire nuove vie al commercio, a stringere amichevoli relazioni coi popoli primitivi, a dare un nuovo impulso agli scambi delle merci e delle idee, tuttavia l’esploratore divenne presto uno strumento per avventure politiche, preannunciava invasioni, vittime, saccheggi. Così Vittorio Bottego fu ucciso a Daga Roba, in Etiopia, il 7 marzo del 1897, Maurizio Sacchi era stato ucciso a febbraio, sul Lago Margherta, e sul finire dell’anno a Lafolé, nel Benadir, in Somalia, sarebbe stato ucciso anche Antonio Cecchi assieme ai comandanti Francesco Mongiardini e Ferdinando Maffei e ad altri quattordici marinai. Era l’anno della battaglia di Adua.

L’ombra della guerra macchiò di sangue la storia delle esplorazioni italiane in Africa eppure resta il merito dei rilievi geografici, cartografici, idrici e naturalistici della Somalia. Pietro Sacconi fu ucciso presso un pozzo del Sulul, chiamato Bir-el-Fut, ed il conte Pietro Porro fu trucidato a Gialdessa. Miglior sorte trovarono il capitano Enrico Baudi di Vesme, che da Berbera, incolume, percorse 290 chilometri sino a Bur Dup, in territorio inesplorato, e l’ingegnere Luigi Bricchetti-Robecchi che da Obbia, viaggiando lungo la costa, giunse ad Alula, presso capo Guardafui, dopo aver percorso 1200 chilmetri. L’anno dopo Baudi di Vesme arrivò ad Ime, mai vista da alcun europeo, e Robecchi esplorò la costa da Mogadiscio ad Obbia e poi si avventurò nell’interno giungendo all’Uebi Scebeli per compiere, al ritorno, la prima traversata della penisola dei Somali.

Probabilmente il più audace itinerario fu però quello di Pellegrino Matteucci e Alfonso Maria Massari, da Saukim a Khartoum, per Cordofan e l’Uadai, fino a Kuka nel Bornu, poi discesero per la via del Niger e giunsero ad Akassa, sulla costa di Guinea. Ogni spedizione consegnò agli studiosi immense collezioni di flora e minerali, gran quantità di dati topografici, etnografici e linguistici, una notevole mole di reperti archeologici ed osservazioni astronomiche.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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