Lorenzo De Conciliis, profilo di un liberale irpino

Il 20 luglio 1820, dalla caserma di Nola, lungo la strada di Monforte, giunsero ad Avellino i carbonari di Michele Morelli e Giuseppe Silvati. Contavano centotrenta cavalieri dell’esercito borbonico e venti rivoluzionari appartenenti ad ogni ambito della società civile. Per cinque giorni, la città fu governata da una giunta popolare capeggiata da Lorenzo De Conciliis.


Nato ad Avellino nel 1776, De Conciliis spese la sua vita al servizio della causa risorgimentale. Ufficiale borbonico, fu repubblicano nel 1799, murattiano e poi carbonaro.

Carlo Belviglieri, in Storia d’italia dal 1814 al 1866, riporta: “Il prete Minichini, che già con ardenti discorsi aveva più volte scossi ed esaltati gli spiriti dei soldati, con una ventina di Carbonari unissi a quelli, ed insieme marciarono sopra Avellino, nella speranza di attirare popolo e guarnigione. Trovavasi colà il luogotenente colonnello Lorenzo De Conciliis, capo dello stato maggiore di Pepe, il quale, saputa la alzata d’insegne e la marcia, che gli sembrava prematura, fece dire al Morelli, di cui amicissimo era, sostasse un giorno a Mercoliano, per dargli tempo di preparare le proprie milizie a secondare quelle di Nola. Date infatti sue disposizioni, recossi in persona a concertarsi con Morelli e con Minichini, e scrisse una lettera al generale Colonna, per prevenirlo che allo indomani le truppe sarebbero entrate in Avellino per giurare nel nome di Dio fedeltà al re ed alla Costituzione. Lo stile della lettera era imperativo, il messaggiero chiedeva risposta, e subito. La città era agitata, le autorità non potevano contare sopra forza veruna da opporre, perchè la guarnigione, composta di trecento uomini del reggimento Sannita, erasi già pronunciata la sera innanzi. Il giorno tre, all’albeggiare, avendo il De Conciliis riunito le milizie, di concerto col Morelli, cavalcò verso Avellino, preceduto da uno stuolo di Carbonari, portando alla testa le bandiere coi tre colori della setta. La truppa andò loro incontro, e tutti insieme entrarono nella città, fra le acclamazioni della moltitudine.Le autorità, che erano riunite all’Intendenza, furono esortate dal Morelli a decidersi per la causa costituzionale; il che ottenuto, modesto quanto animoso, rassegnò il comando a De Conciliis, che fu acclamato il Quiroga napoletano; la giornata ebbe termine col giuramento di combattere per la libertà”.

La ricostruzione operata dalla Gran Corte Speciale di Napoli che lo condannò alla pena di morte (“col terzo grado di pubblico esempio”), riferisce: “L’accusato ex Tenente-colonnello Lorenzo de Conciliis era d’intelligenza col Menichini: lo sollecitò con messi alla esecuzione della cospirazione già tra loro stabilita: e quando la masnada dei ribelli fu giunta in Monteforte, si abboccò egli con Morelli nelle vicinanze di Mercogliano, e lo incoraggiò alla ribellione: procurò ai ribelli provenuti da Nola una buona accoglienza in Mercogliano, e Monteforte; essendo come Capo dello Stato Maggiore il Luogotenente dell’ex Generale Pepe, diè ordine per la riunione dei Militi alla ribellione; cavalcò pel circondario di Avellino accendendovi il fuoco della rivolta; diede indi mano all’entrata dei ribelli in Avellino medesimo; esautorò, e mise colle guardie in casa il fedele Intendente della provincia marchese di S. Agapito, istallando in di lui luogo il Segretario generale Lucente; che era immischiato nella congiura. Mediante il piano, che gli formò l’ex Tenente del Genio Giuseppe de Donato, fortificò le gole del Gaudo, e quindi lo spedì in Foggia per sovvertire anche la Provincia di Capitanata. Egli il de Conciliis dichiarò Avellino Quartier generale dei così detti Costituzionali; prese il comando supremo de’ribelli, che poi rassegnò all’ex Generale Pepe, e venne con essi in questa Capitale, ove fu uno de’ membri della Commessione creata per distribuire premj, ed onori a quei ribelli, che eransi contraddistinti nella ribellione. Fu fatto Comandante del Castello di S. Eramo, e la circostanza porto, che fosse sopraccaricato di onori. Prima del giorno sei Luglio, mantenne manifesta corrispondenza col reo contumace accusato ex Generale Michele Carrascosa per mezzo dei parlamentarj , che costui gl’inviava. Finalmente all’approssimarsi l’Armata Austriaca a questa Capitale scomparve dal Regno”.

Dovette esulare, prima in Spagna poi in Inghilterra e in Francia. Rientrò a Napoli nel 1848, alimentando ancora i piani insurrezionali avellinesi in appoggio alla spedizione dei Mille. Gli insorti lo nominarono prodittatore del governo provvisorio irpino, potere che lasciò immediatamente a Garibaldi. Divenne senatore nel 1861. Cinque anni dopo si spense.

Fu sempre esponente di un liberalismo moderato, anche il suo impegno personale nei moti del 1820-1821 lo vide in bilico tra l’istanza di cambiamento che condivideva e l’esigenza di impedire che gli elementi più facinorosi prendessero il sopravvento del moto. Voleva sconfiggere le truppe inviate da Napoli per sedare la rivoluzione, ma indirizzarla su una linea più mite e riformatrice.
Abile ufficiale, in avvicendamento a Guglielmo Pepe, schierò con successo le milizie attorno al capoluogo, frenando l’avanzata delle truppe regie, e si schierò conseguentemente coi settori più moderati del moto, legati alla proprietà fondiaria. Dopo il congresso di Lubiana, fu impiegato sul Liri al comando di una brigata leggera che però disertò. Più tardi uscì dalla carboneria, non condividendone i metodi.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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