Paolo e Francesca

La storia di Francesca da Rimini fu resa celebre da Dante Alighieri tuttavia mancano precisi riferimenti storici e numerosi scrittori hanno in seguito riproposto i fatti in forme dissimili. Nel 1724, a Napoli, per la prima volta, si pubblicò il commento di Boccaccio alla Divina Commedia. L’autore del Decameron sulla vicenda di Francesca da Rimini raccolse diverse notizie e si confrontò con un certo Piero di Messer Giardino da Ravenna, tra i più intimi amici di Dante ricostruendo così il delitto.

 

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È dunque da sapere che costei fu figliuola di Messer Guido vecchio da Polenta, Signor di Ravenna e di Cervia; ed essendo stata lunga guerra e dannosa tra lui e Signori Malatesta da Rimino, avvenne che per certi mezzani fu trattata e composta la pace tra loro. La quale, acciocchè più fermezza avesse, piacque a ciascuna delle parti di dover fortificar per parentado: e il parentado trattato fu, che il detto Messer Guido dovesse dar per moglie una sua giovane e bella figliuola, chiamata Madonna Francesca, a Gianciotto, figliuolo di Messer Malatesta. Ed essendo questo ad alcuno degli amici di Messer Guido già manifesto, disse un di loro a Messer Guido, guardate come voi sate; perciocchè se voi non prenderete modo ad alcuna parte, chi è in questo parentado, egli ve ne potrà seguire scandalo. Voi dovete sapere, chi è vostra figliuola, e quanto ell’ è d’altiero animo; e se ella vede Gianciotto, avanti che il matrimonio sia perfetto, nè voi, nè altri potrà mai fare, che ella il voglia per marito: e perciò quando vi paja, a me parrebbe di doverne tener questo modo: che qui non venisse Gianciotto ad isposarla, ma venisseci un de frategli, il quale come suo proccuratore, la sposasse in nome di Gianciotto. Era Gianciotto uomo di gran sentimento, e speravasi dover lui, dopo la morte del padre, rimanere Signore. Per la qual cosa, quantunque sozzo della persona, e sciancato fosse, il disiderava M. Guido per genero, piuttosto che alcuno de’ suoi frategli. E conoscendo, quello, che ‘l suo amico gli ragionava, dover poter venire, ordinò segretamente così si facesse, come l’amico suo l’avea consigliato. Perchè al tempo dato, venne in Ravenna Polo, fratello di Gianciotto, con pieno mandato ad isposare Madonna Francesca. Era Polo bello, e piacevole uomo, e costumato molto: ed andando con altri gentiluomini per la corte dell’abitazion di M. Guido, fu da una delle damigelle di là entro, che il conoscea, dimostrato da un pertugio d’una finestra a Madonna Francesca, dicendo, quelli è colui, che dee esser vostro marito: e così si credea la buona femmina. Di che Madonna Francesca incontanente in lui puose l’animo, e l’amor suo. E fatto poi artificiosamente il contratto delle sponsalizie; e andatane la donna a Rimino, non s’avvide prima dello ‘nganno, che essa vide la mattina seguente al di delle nozze, levar da lato a sè Gianciotto: di che si dee credere, che ella vedendosi ingannata, sdegnasse, nè perciò rimovesse dell’animo suo l’amore già postovi verso Polo. Col quale, ella poi si congiugnesse, mai non udii dire, se non quello, che l’autore ne scrive; il che possibile è, che così fosse. Ma io credo, quello esser piuttosto finzion formata sopra quello, che era possibile ad essere avvenuto, che io non credo, che l’autore sapesse, che così fosse. E perseverando Polo, e Madonna Francesca in questa dimestichezza; ed essendo Gianciotto andato in alcune terre vicine per Podestà, quasi senza alcun sospetto, insieme cominciarono ad usare. Della qual cosa avvedutosi un singulare servidore di Gianciotto, andò a lui, e raccontogli ciò, che delle bisogne sapea; promettendogli, quando volesse, di fargliele toccare, e vedere. Di che Gianciotto fieramente turbato, occultamente tornò a Rimino: e da questo cotale, avendo veduto Polo entrar nella camera di Madonna Francesca, fu in quel punto menato all’uscio della camera, nella quale non potendo entrare, che serrata era dentro, chiamò di fuora la donna, e di di petto nell’uscio; perchè da Madonna Francesca, e da Polo conosciuto; credendo Polo, per fuggir subitamente per una cateratta, per la quale di quella camera si scendea in un’altra, o in tutto, o in parte potere ricoprire il fallo suo; si gittò per quella cateratta, dicendo alla donna, che gli andasse ad aprire. Ma non avvenne, come avvisato avea; perciocchè gittandosi giù, si appiccò una falda d’un coretto (armatura per difendere il core), il quale egli avea in dosso, ad un ferro, il quale ad un legno di quella cateratta era. Perchè avendo già la donna aperto a Gianciotto, credendosi ella, per lo non esservi trovato Polo, scusare: ed entrato Gianciotto dentro, incontanente s’accorse, Polo esser ritenuto per la falda del coretto; con uno stocco in mano, correndo là per ucciderlo; e la donna accorgendosene, acciocchè quello non avvenisse, corse oltre presta, e misesi in mezzo tra Polo, e Gianciotto, il quale avea già alzato il braccio con lo stocco in mano, e tutto si gravava sopra il colpo: avvenne quello ch’egli non arebbe voluto, cioè, che prima passò lo stocco il petto della donna, che egli aggiugnesse a Polo. Per lo quale accidente turbato Gianciotto, siccome colui, che più che sè medesimo amava la donna, ritratto lo stocco, da capo riferì Polo, ed ucciselo: e così amenduni lasciatogli morti, subitamente si partì, e tornossi all’uficio suo. Furono poi li due amanti con molte lacrime la mattina seguente seppelliti, ed in una medesima sepoltura.

 

 

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