Risposta del Generale Bellegarde al Proclama di Rimini

Heinrich Joseph Johannes Bellegarde, feldmaresciallo dell’Imperatore d’Austria Francesco I e governatore di Milano, costituì un corpo di spedizione che partecipò alla Battaglia di Tolentino e rispose al Proclama di Murat col “controproclama” che pubblichiamo.

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L’Europa cominciava appena a rammarginar le sue piaghe. Riuniti in congresso a Vienna, i potenti suoi padroni adoperavano con rara concordia a formare le basi d’una lunga pace, quando un impreveduto avvenimento astrinse di nuovo tutte le nazioni (di già ammaestrate dall’esperienza, degli effetti dell’ambizione d’un solo uomo) ad impugnare le armi. Potea tuttavia l’Italia lusingarsi colla speranza di rimanere tranquilla frammezzo a questi passeggeri sovvertimenti, e di già numerose truppe erano scese dall’ Alemagna a sua difesa; ma ecco che il re di Napoli, gittando la maschera che dianzi l’avea sottratto al pericolo, senza premettere alla guerra dichiarazione veruna, di cui altronde non potrebbe allegare alcun motivo, contro la fede dei trattati coll’Austria, di quei trattati cioè, ai quali egli deve la sua esistenza politica; ecco che il re di Napoli minaccia col suo esercito di turbare la tranquillità della bella Italia, e non contento di addurre il flagello della guerra, tenta altresì di allumare dappertutto, mediante il vano simulacro dell’ indipendenza italiana, l’incendio devastatore della rivoluzione, che già gli spianava le vie della possanza per salire dalla condizione di privato a quella di sovrano.

Non meno straniero dell’Italia che nuovo nell’ordine dei sovrani, egli volge con ostentazione agli Italiani parole che appena si addirebbero ad un Alessandro Farnese, ad un Andrea Doria, ad un Trivulzio il Magno; e si dà per capo della nazione italiana, la quale pure possiede proprie dinastie, regnanti da secoli, ed ha veduto nascere nelle più liete sue contrade tutta l’augusta famiglia che regge col paterno suo freno un sì gran numero di nazioni. Or questo re d’una dell’ estremità dell’Italia vorrebbe traviare gl’Italiani con la speciosa idea dei naturali confini, e farli correre dietro alla fantasima di un unico regno, a cui sarebbe appena possibile assegnare una capitale : tanto è vero che la natura stessa vuol che l’Italia sia partita in più Stati, ammaestrandoci con ciò, non dall’ampiezza del territorio, non dal massimo numero della popolazione, non dalla forza dell’armi assicurato essere la felicità dei popoli, ma bensì piuttosto dalle buone leggi, dalla reverenza degli antichi costumi e dallo stabilimento di una parca amministrazione. Ond’ è che la Lombardia ricorda tuttora con sensi d’ammirazione e di gratitudine i nomi immortali di Maria Teresa, di Giuseppe II e di Leopoldo.

Non pago d’ingannare le moltitudini eccitandole a correre dietro alla fantasima dell’indipendenza italianai il re di Napoli vuol pure trarre in erroro gl’ Italiani poco prudenti, e indurli a credere che una segreta disposizione ad assecondare i suoi disegni nutriscano quei potentati medesimi che con meravigliosa prestezza rinnovellano ora appunto i loro formidabili armamenti terrestri e marittimi, e che bentosto con un atto pubblico daranno al mondo una prova novella della loto unione indispensabile sotto il vessillo delle stesse massime. Non pare egli invero che, assoggettata al redi Napoli, l’Italia potrebbe chiamarsi indipendente? Chi può dubitare che i potentati non siensi fatti ormai capaci, non potersi dare ne paco ne tregua con un uomo che non ha il menomo riguardo alle proprie promesse, nò agli atti di generosità ond’è stato ricolmo dai suoi vincitori?

I benefizi sparsi dal nostro augustissimo imperatore c re : 1° su tutto l’esercito italiano, niun membro del quale (purché suddito) è stato lasciato privo di mezzi di sostentamento ; 2° su tutto il numeroso ordine degli uffiziali civili; la cura paterna adoperata dal governo austriaco, non appena restituito in Italia, a riunire tutti i partiti in un solo ed a trattarli tutti come figliuoli, senz’ aver riguardo all’ opinioni politiche; nè agli anteriori portamenti di ognuno, seguendo anzi, per quegl’ istessi che l’hanno astretto ad usar rigore, l’ispirazione di un sentimento affatto paterno ; sono tutte rose talmente notorie, che senz’ altro distruggono le calunnie con tanta enfasi spacciate dal re di Napoli!

Lombardi! Naturalmente sincero e in niun modo vantatore per sistema, il governo austriaco vi ha promesso la tranquillità, il buon ordine pubblico ed una amministrazione paterna. Egli atterrà quanto vi ha promesso. Sovvengavi dei tempi felici anteriori al 1796, delle instituzioni di Maria Teresa, di Giuseppe II e di Leopoldo; paragonate quel sistema di governo con quello che vi toccò sopportare di poi, e che, fondato sopra i medesimi principii, vi fu annunziato con le stesse mendaci espressioni che ora vengonvi indirizzate. La vostra soverchia credulità alle promesse della democrazia francese, vi ha tratti di già in rovina: siate ormai più prudenti, e non dimenticate che dopo l’esperienza, la vostra colpa sarebbe più grave che non sia stata dianzi. La docilità del vostro carattere, la riflessione, frutto delle vostre cognizioni, e l’attaccamento che il vostro augusto principe si mérita per tanti titoli, vi scorgano, v’inducano a protegger sempre il buon ordine pubblico, e a difendere il trono e la patria.

Milano, il 5 d’aprile 1815.

Il governatore generale, Maresciallo Bellegarde

 

 

 

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