Stato ed economia sociale nel regno degli svevi

La corona degli svevi in Sicilia mostrò segni di grande modernità nel capo politico-amministrativo.L’azione decisa della monarchia sui mercati e sugli aspetti produttivi era chiaramente dettata dagli interessi del potere feudale ma ebbe risvolti davvero interessanti. Soffermiamoci per esempio sull’apicoltura.

In età sveva l’apicoltura era ampiamente praticata nell’area sud-orientale della Sicilia, retaggio di una tradizione che risaliva all’epoca megaellenica che si era rafforzata con gli arabi, soliti usare il miele come surrogato dello zucchero.
Il tavolato ibleo ne doveva essere il perno. Basti pensare che un centro come Avola, nel 1130, adottò proprio le api come suo emblema. Alcuni studiosi fanno anzi derivare il toponimo di Avola proprio da quello di “ape” per l’abbondanza di sciami che avrebbero sempre contraddistinto i cespugli di timo delle sue colline. Ma le api erano sono anche presenti nello stemma di Melilli, il cui toponimo rimanda chiaramente al “miele”. L’indiscutibile importanza della produzione apicola è confermata da Idrisi che indica Caltagirone e Montalbano come principali centri produttori di miele.

In età sveva l’allevamento delle api doveva essere praticato in modo sistematico nelle masserie regie così il Constitutio sive encyclica super massariis di Federico II prevedeva che ogni fattoria appartenente al demanio fosse dotata a “sufficientia de apibus”. Lo Statutum massariarum di re Manfredi andò addirittura oltre definendo norme ed interventi per una buona conduzione dell’apiario.

Questi interventi ribadiscono quanto la monarchia sveva si giovasse di una eccellente capacità di intervento nel campo economico e sociale. Niente affatto comune nell’Italia dell’epoca, questa attitudine si andava definendo come un chiaro controllo dello stato su tutti i meccanismi di produzione e mercato.

L’azione legislativa però tutelò anche il lavoro dei contadini. La preoccupazione di Federico II che i contadini “securi sint” e nessuno ardisca sottrargli animali e attrezzi, o invadere i loro campi, erano certamente dirette a tutelare i profitti padronali dai furti ed a prevenire situazioni di esasperazione e disordine sociale, ma siamo certamente di fronte ad una notevole attenzione rivolta alle vicende ed ai problemi del mondo rurale.

Manfredi definì pure salari, compensi in vitto ai dipendenti del massaro, prezzi di generi alimentari, valori di mercato del bestiame, delle pelli, il fabbisogno alimentare degli animali, le modalità di ingravidamento e le quantità di parti e nati.

Ci viene in sostanza consegnata l’immagine di una società meridionale, in età sveva, molto complessa, in cammino verso un’organizzazione sociale e statuale imperniata sul diritto più che sulla forza, in un’ascesa lenta che farà poi tappa nel Forma commissionis officii magistri massarii di Carlo II d’Angiò.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte bibliografica:
I. Naso, “Apicoltura, cera e miele”, in Uomo e Ambiente nel Mezzogiorno normanno- svevo, AA.VV., Bari 1989.
M. Montanari, “Cereali e legumi”, in Uomo e Ambiente nel Mezzogiorno normanno- svevo, AA.VV., Bari 1989.

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