L’irrequieto Trecento di Milano: Azzone Visconti

Galeazzo Visconti, figlio di Matteo, subentrò al padre nella carica di Signore di Milano in un momento estremamente difficile. Giovanni XXII aveva scagliato un anatema contro la sua famiglia ed armato una crociata guidata da Firenze e dal Regno di Napoli. Il pontefice con Milano minacciò pure Cangrande della Scala, Signore di Verona, Passerino Bonacolsi, Signore di Mantova, e Castruccio Castracani, Signore di Lucca. Sul campo di battaglia però non ebbe ragione: Marco Visconti, fratello di Galeazzo, sconfisse l’esercito napoletano guidato da Raimondo Cardona a Bassignana e, sebbene i “crociati” avessero preso Piacenza e Monza, i milanesi ancora ne ebbero ragione a Vaprio d’Adda. Il Visconti fece pure prigioniero il Cardona, liberandolo solo affinché negoziasse con Roma e Napoli. Non ottenne nulla e la guerra continuò con un nuovo protagonista: Azzone Visconti.

Azzone, figlio di Galeazzo, fornì supporto militare a Lucca contro Firenze ed a Mantova contro Bologna con operazioni brillanti e vittoriose che allentarono la morsa guelfa sulla Lombardia e rafforzarono i ghibellini d’Emilia.

Ludovico il Bavaro giunse a Milano a ridosso di quegli eventi, nella primavera del 1327. Fu incoronato imperatore dai vescovi che Giovanni XXII aveva scomunicato e riconobbe Galeazzo come suo vicario. Temendo però un voltafaccia, come accaduto ad Enrico VII, ordinò l’arresto dei Visconti e li fece rinchiudere nel Castello di Monza, lasciando tutti liberi dopo il pagamento di un ingente riscatto utile a compensare le spese della sua venuta in Italia. Galeazzo morì poco dopo, Azzone ne prese il posto.

Riconobbe l’antipapa Nicolò V e tenne il titolo di Vicario generale di Milano per la Chiesa. Riuscì ad estendere i propri domini divenendo signore di Bergamo, Cremona, Como, Vercelli e Piacenza poi si scagliò con Firenze e Venezia contro il potente Mastino della Scala guadagnando Brescia. L’avversario non era tipo da demordere facilmente e, in combutta con gli ex alleati di Azzone, contrattaccò ma fu sconfitto nella Battaglia di Parabiago del febbraio del 1339: secondo la leggenda, vinse grazie ad una miracolosa apparizione di Sant’Ambrogio a cavallo, che fece impaurire l’esercito nemico.

Azzone morì poco dopo lasciando Milano ai suoi nipoti: Luchino e Giovanni Visconti. Costoro riuscirono a riaccostarsi a Roma facendosi riconoscere l’uno come Signore e l’altro come Arcivescovo di Milano da Papa Clemente VI e la città ghibellina si ritrovò improvvisamente guelfa, ancora una volta contro Verona, unica superstite del partito avverso. Luchino Visconti strappò Asti a Mastino II della Scala e, morto Roberto d’Angiò, attaccò le enclaves angioine in Piemonte, Tortona, Alessandria, Bra e Alba. Forte del sostegno dei Marchesi di Salluzzo e di Monferrato, fu addirittura prossimo a prendere Genova ma lo colse la peste o forse fu avvelenato da sua moglie Isabella Fieschi, genovese.

Giovanni restò allora solo a capo di domini che si estendevano dalla Stura all’Oglio. “Tenni con la desta il bastone del pastore e con la sinistra la spada” si legge nella sua epigrafe al Duomo di Milano e di fatti riuscì pure ad acquisire, con denaro, Bologna, nel 1351, e a minacciare Firenze, costringendola a porsi sotto la protezione dell’Imperatore Carlo IV. Giovanni morì nel 1352 dopo aver realizzato il sogno che era stato fatale al fratello: divenire signore di Genova.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Bosisio, Storia di Milano; AA.VV., Storia di Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri; C. de’ Rosmini, Istoria di Milano

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