Annibale valica le Alpi

Annibale partì da Cartagho Nova nel maggio del 28 a.C., superò l’Ebro e i Pirenei, passando per il Col de Perthuis, e a settembre risalì il Rodano sino alla confluenza con l’Isere. Attraversò allora le Alpi, giungendo nella pianura padana nel mese di ottobre. L’itinerario seguito per  valicare la catena alpina è un problema che appassiona tuttora gli storici ma non può trovare risposte definitive. Le indicazioni degli storici antichi sono imprecise e all’epoca di Tito Livio già circolavano diverse ipotesi discusse. Tutti i valichi compresi fra il Monginevro e il Gran San Bernardo sono stati chiamati in causa, forse il passo più accreditato è il Piccolo San Bernardo, il Cremonis iugum, ma storici moderni pensano al Moncenisio e al Monginevro, con una discesa che, in entrambi i casi, sarebbe avvenuta nella Val di Susa. Il racconto di Tito Livio (traduzione di B. Ceva) segue uno schema retorico più che documentario, ma la descrizione è ricca di pathos.

***

Annibale dal fiume Druenza per strade generalmente piane giunse alle Alpi, senza essere molestato dai Galli che abitano quelle regioni. Allora, per quanto la situazione fosse prevista, in virtù di quella fama che rappresenta sempre le cose mal conosciute più grandi di quanto non siano in realtà, tuttavia, l’imponenza delle montagne viste da vicino e le nevi che quasi si confondevano col cielo, le rozze capanne addossate alle rupi e il bestiame piccolo e grosso irrigidito dal gelo, gli uomini di aspetto selvaggio con barbe e capelli lunghi e male in arnese, gli esseri animati ed inanimati induriti dal ghiaccio, l’aspetto squallido di ogni cosa, che era più facile cogliere con la vista che rappresentare con la parola, tutto questo rinnovò nei soldati il terrore.

Il giorno dopo, poiché i barbari facevano le loro scorrerie con minor evidenza, le truppe cartaginesi si riunirono a valicare il passo non senza perdite che furono, tuttavia, maggiori per il bestiame più che per gli uomini. Da questo momento i montanari ormai in scarso numero si diedero ad assalire ora l’avanguardia ora la retroguardia, seguendo piuttosto i costumi del brigantaggio che i metodi della guerra, secondo che i luoghi si mostrassero favorevoli, oppure l’occasione buona fosse data dal fatto che i soldati o procedessero o sostassero. Gli elefanti erano condotti con grande lentezza per vie strette e dirupate; dovunque avanzassero offrivano una difesa all’esercito contro i nemici perché questi, non abituati a tal vista, avevano paura di avvicinarsi. Nove giorni dopo Annibale giunse al passaggio delle Alpi per sentieri impraticabili e lunghi giri che avvenivano o per l’inganno delle guide, o perché, quando non ci si fidava di loro, si marciava a caso entrando alla ventura nelle valli secondo le varie congetture. Per due giorni si fissarono sul giogo gli alloggiamenti, dove i soldati stanchi dalla fatica e dai combattimenti, furono fatti riposare; alquanti animali da soma, che erano caduti sulla strada rocciosa, giunsero allora agli accampamenti seguendo le tracce dell’esercito. I soldati già stanchi e scoraggiati per tante difficoltà furono anche sorpresi da grande spavento a causa della caduta della neve, mentre la costellazione delle Pleiadi tramontava nel cielo; levato il campo all’alba, mentre le schiere procedevano lentamente attraverso i luoghi ricoperti di neve e il malcontento e lo scoraggiamento si leggevano chiaramente nel volto di tutti, Annibale avendo preceduto le insegne, giunto ad un’altura donde lo sguardo spaziava da ogni parte, ordinò ai soldati di fermarsi e mostrò a loro l’Italia e le pianure intorno al Po ai piedi della catena alpina, dicendo che, quando avessero attraversato le Alpi, avrebbero allora oltrepassato non solo le mura dell’Italia, ma quelle della stessa città di Roma. Tutto il resto sarebbe stato facile ed agevole, con un battaglia o al massimo due si sarebbero impadroniti e della roccaforte e della capitale d’Italia. L’esercito ricominciò quindi la marcia, senza che i nemici lo provocassero se non per piccoli colpi di mano secondo l’occasione. Pertanto, il cammino nella discesa fu molto più aspro e difficile di quello che era stato nella salita, poiché per la maggiore parte i gioghi alpini dal versante italiano, per quanto più brevi, sono, tuttavia, più scoscesi. Infatti, quasi ogni sentiero era ripido, stretto e scivoloso, in modo che i soldati non potevano trattenersi dal cadere e quelli che per poco avessero perduto l’equilibrio, non potevano rimanere fermi al loro posto; gli uni cadevano sopra gli altri e gli animali cadevano sopra gli uomini.

Si giunse poi ad una rupe con un passaggio molto più stretto e così a picco, che a stento un soldato senza armi né bagagli poteva tentare di calarsi giù tastando qua e là, aggrappandosi con le mani ai virgulti ed alle radici che sporgevano intorno. Il luogo era per natura ripido già prima di una recente frana che aveva aperto uno scoscendimento profondo almeno mille piedi. Poiché la cavalleria si era arrestata quasi si fosse giunti alla fine della strada, ad Annibale che chiedeva meravigliato perché i soldati si fossero fermati, fu annunziato che la rupe era inaccessibile. Avanzò quindi egli stesso per esaminare il luogo e non ebbe dubbio che fosse necessario condurre l’esercito per vie trasverse e non battute per l’innanzi, per quanto tale giro fosse piuttosto lungo. Quel passo fu veramente impraticabile: infatti, essendo caduta sulla neve precedente non calpestata un modesto strato di neve recente, i piedi di coloro che camminavano appoggiavano facilmente su quello strato molle e non alto. Quando poi questo si scioglieva, per il passaggio di tanti uomini ed animali da soma, i soldati dovevano procedere sopra un suola di ghiaccio ricoperto dalla molle fanghiglia della neve liquefatta. Lo sforzo era insopportabile ed aspro, la superficie sdrucciolevole del ghiaccio non offriva alcun punto d’appoggio al piede; se poi vi era pendio, con più facilità il ghiaccio faceva scivolare in modo che coloro che marciavano ruzzolavano un’altra volta, sia che si fossero aiutati ad alzarsi con le mani, sia con le ginocchia allorché tali punti d’appoggio sfuggivano a loro. Intorno non v’erano radici o cespugli ai quali uno potesse attaccarsi coi piedi o con le mani; così i soldati rotolavano soltanto sul ghiaccio liscio e sulla neve disciolta. Gli animali riuscivano talvolta ad intaccare anche lo strato più basso di neve e caduti che erano, puntando troppo forte gli zoccoli sul ghiaccio per rialzarsi, lo spezzavano di più, in modo che la maggior parte di essi rimaneva impigliata nella massa compatta e profonda del ghiaccio come in un laccio.

Alla fine, essendo vana la fatica degli animali e degli uomini, i Cartaginesi posero gli accampamenti sulla cima del monte, dopo avere con gran stento a questo fine sgombrato il luogo; molto grande fu la quantità di neve che si dovette scavare e portar via. Quindi i soldati, condotti a costruire una strada nella rupe, attraverso la quale soltanto era possibile passare poiché si doveva spezzare la roccia, abbattuti e tagliati immensi alberi intorno, fecero una grandissima catasta di legna e le diedero fuoco dal basso, essendosi levata una furia di vento ad alimentare l’incendio; per spezzare le pietre le cosparsero di aceto. Così ruppero col ferro la roccia bruciata dall’incendio, resero meno ripide le discese formando sulla strada modeste svolte, in modo che potessero essere percorse non solo dagli animali da soma, ma anche dagli elefanti. Quattro giorni furono spesi nei lavori intorno a quella roccia, mentre gli animali quasi morivano di fame; infatti, quelle cime sono quasi nude e se c’è qualche pascolo le nevi lo coprono. I luoghi più bassi presentavano valli e colli soleggiati e ruscelli accanto a boschi e a luoghi più adatti per essere abitati e coltivati da uomini. Qui gli animali furono mandati al pascolo e fu dato riposo agli uomini stanchi nel compiere tutte quelle opere di protezione. Si compì la discesa al piano in tre giorni per luoghi più agevoli, abitati da gente più mite.

 

 

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *