Asprinio d’Aversa, il vino più alto d’Italia

L’asprinio è uno dei più pregiati vini doc campani.Potremmo pure definirlo “il più alto d’Italia” perché la sua storia è legata a quella della tradizionale modalità di allevamento della vite che, franca di piede, viene maritata a pioppi sui quali si inerpica fino ad altezze considerevoli.

L’asprinio si presta all’aperitivo, anche e soprattutto nella versione spumantizzata, e ad accompagnare piatti di pesce anche in frittura o tempura di verdure. Si tratta di un’uva bianca, diffusa principalmente nella zona di Aversa nel casertano, che deve probabilmente il suo nome al caratteristico sapore aspro ed al contempo dissetante. Sono i 22 comuni dove si produce: Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno in provincia di Caserta e Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo in provincia di Napoli.

“Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’asprinio no. L’asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… Che grande piccolo vino!”, così lo descriveva Mario Soldati.

Vino di grande prestigio, alligna su terreni ricchi di potassio, fosforo, calcio e magnesio. Monelli lo definiva fresco, pallidissimo, acidulo, sbarazzino, padre selvatico dei raffinatissimi champagne ed in effetti è così. Il gusto secco ed acidulo ha consentito a questo vino di diventare spumante di eccellente qualità e, taluni studiosi, ne fanno risalire le origini a vitigni di champagne importati dalla Francia da Carlo d’Angiò. I grandi risultati che ancora oggi si ottengono con la spumantizzazione dell’asprinio, sia secondo il metodo charmat che secondo quello champenois, sfruttano le caratteristiche naturali del vino, la sua spiccata acidità e le sue elevate quantità di acido malico

Le viti erano in passato sistemate su alberate di oltre i dieci metri con pioppi che fungevano da tutori (anche chiamate vite maritata al pioppo). Tutt’oggi persistono viti del genere in cui la palificazione ben distanziata consente la crescita di grappoli molto ricchi e pesanti oltre che lo sfruttamento del suolo per produzioni d’ortaggi, ma i moderni coltivatori sembrano preferire i normali allevamenti che semplificano le operazioni di raccolta e permettono un migliore controllo degli stati di maturazione dell’uva.

Le origini discusse di questa produzione si fanno altrimenti risalire ai greci di Cuma e Miseno che si spostarono nell’entroterra campano per sfuggire alla conquista romana portando nell’aversano le loro viti, mentre l’alberata potrebbe suggerire un’origine romana connessa agli antichi legionari che, ottenuti piccoli appezzamenti di terreno nella Campania felix, ne sfruttarono al massimo le capacità produttive proiettando le viti verso l’alto.

Altra caratteristica interessante era la consuetudine, in auge fino al secondo dopoguerra, di conservare questo vino in grotte molto profonde, e quindi particolarmente fresche, scavate nel tufo. Le grotte oggi sono al centro di un processo di valorizzazione guidato da eventi come l’Asprinum Festival di Cesa che permettono al turista di scoprire storia e viticultura dell’agro aversano.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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