Alfonso d’Aragona e l’assedio di Gaeta

Proteso a far valere i suoi diritti in ragione dell’adozione voluta da Giovanna II, Alfonso d’Aragona portò i suoi navigli nel golfo di Gaeta nel giugno del 1435.

La città rappresentava una fondamentale porta d’ingresso nel Regno di Napoli e la sua fortezza, ben guarnita, avrebbe potuto resistere a lungo, rappresentando una spina nel fianco se non posta subito sotto pesante assedio.

Così, nell’attesa del Principe di Taranto col rimanente dell’esercito, Alfonso lasciò sbarcare i suoi uomini sulla costa ed iniziò il blocco della città con continui bombardamenti (E. Pontieri, Alfonso il Magnanimo re di Napoli).

Al riparo di mura e torri solide, ben disposta a non arrendersi, Gaeta non dette all’aragonese nessuna disponibilità alla resa. Col trascorrere dei giorni, Alfonso si dispose a prenderla per fame. Gli assediati, guidati dai comandanti genovesi Ottolino Zoppo e Francesco Spinola, resistettero ancora, pur iniziando a patire la mancanza di viveri.

L’assedio fu clamorosamente rotto dalla Grimalda, un mercantile della Repubblica di Genova, che, carica di grano, riuscì ad attraccare al porto ed a scaricare viveri per la guarnigione. Pochi giorni ancora e la penuria di grano però ricominciò, Alfonso allora inviò ai cittadini il suo segretario Antonio Panoramita a parlamentare. Il Panoramita promise ai gaetani libero accesso ad eventuali soccorsi provenienti da Genova, ma ottenne pure che, qualora i soccorsi non fossero sopraggiunti in tempo, Gaeta si sarebbe allora arresa. Genova, dal canto suo, mandò a Gaeta l’ambasciatore Benedetto Pallavicino il quale non si limitò a promettere viveri, ma, segretamente, annunciò l’intervento militare della Repubblica.

Il tempo intanto passava ed i viveri scarseggiavano. Quattromila gaetani, soprattutto vecchi, fanciulli e donne, uscirono dalla città vagando disperati tra le mura di Gaeta e l’accampamento nemico. Con gesto di grande magnanimità che sorprese i suoi stessi uomini, Alfonso respinse l’idea di renderli ostaggi e li accolse fornendo loro ristoro.

Intanto però tredici navi comandate dal genovese Biagio Assereto, cancelliere della Repubblica, con appena tremila uomini, spuntarono al largo. Alfonso coi suoi ufficiali salpò allora con trentuno galere forti di seimila soldati raggiungendo il nemico nelle acque di Ponza. Era il 5 agosto del 1435. Quanto i genovesi rifiutarono le proposte dell’ambasciatore alfonsino Francesco Pandone, nacque una tremenda battaglia  cui i gaetani poterono assistere dalla costa. Nonostante il vantaggio numerico, Alfonso, dopo dieci ore di combattimenti, restò sconfitto e prigioniero e Gaeta potè accogliere i genovesi con feste per due giorni.

Furono catturate dodici navi, una galea bruciata ed un’altra affondata. Alfonso, Giovanni, Enrico, il Principe di Taranto, il Duca di Sessa, il Conte di Campobasso, Lope Ximenez de Urrea, il governatore di Aragona, Ramon Boyl, Guglielmo Ramon de Monteada, il Signore di Alcantara, Diego Gomez di Sandoval, con oltre cento altri nobili di alto rango di Aragona, Castiglia, Valencia, Catalogna, Sardegna, Sicilia e Napoli furono presi prigionieri. Esclamò un cronista napoletano: “Mai rete gettata in mare per una volta, non foro presi tanti pisci” (Faraglia, Diurnali, 94).

L’aragonese fu condotto da Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, allora governatore di Genova e qui maturò un improvviso cambio strategico del Ducato di Milano, fondamentale negli equilibri politici d’Italia. Le versioni degli storici sono contrastanti ma è evidente che Alfonso persuase Filippo Maria Visconti che patteggiare per gli angioini, che volevano sottrargli Genova, era un grave errore. Il Duca, memore del pensiero del padre Gian Galeazzo Visconti che intese sempre escludere l’azione e l’influenza francese su Milano, si convinse e liberò l’aragonese.

Intanto Gaeta, colpita dal lutto del governatore Langilotto Agnese, finì presa di notte, colta d’improvviso, senza opporre resistenza dall’unico scampato alla cattura dei genovesi, Pietro d’Aragona, fratello di Alfonso. La città aveva accolto, giorni prima, pure Isabella di Lorena, moglie di Renato d’Angiò, giuntavi con quattro galee provenienti da Marsiglia e poi indirizzatasi verso Napoli. Ora Gaeta si ritrovava inaspettatamente in mano agli aragonesi e non poteva che accogliere con fiducia le promesse di incolumità annunciate da Pietro il quale già si apprestava ad invire alcune imbarcazioni a Porto Venere per prendere Alfonso (B. Facio, Fatti d’arme di Alfonso d’Aragona primo re di Napoli con questo nome).

Il Magnanimo rientrò a Gaeta il 2 febbraio del 1436 ponendovi il suo acquartieramento per sette anni, sino al fatidico 2 giugno 1442 quando fu incoronato re. Il lungo soggiorno di Alfonso fu foriero di novità per i gaetani. Al lungo elenco di privilegi concessi si affiancò soprattutto l’intensa opera di fortificazione che portò alla nascita del nuovo castello, il cosiddetto “Alfonsino”, sotto la supervisione del vescovo di Lerida. Il castello, unito alla preesistente struttura angioina, fu adibito a reggia ed ospitò la corte fino al suo insediamento a Napoli.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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