Boemondo d’Altavilla e l’assedio di Antiochia

Il 21 ottobre del 1097 iniziava l’assedio crociato di Antiochia. Gli stendardi dell’esercito cristiano, vittorioso a Dorylaeum ed esausto per la lunga marcia nel caldo e la polvere dell’Anatolia, apparvero davanti alle imponenti mura della città. Vi sarebbero rimasti per nove mesi in quello che fu uno degli assedi più estenuanti dell’epoca.

Antiochia era uno snodo fondamentale per la marcia verso Gerusalemme. Aggirarla, lasciandola nelle mani dei turchi selgiuchidi che l’avevano sottratta a Bisanzio nel 1085, avrebbe messo a repentaglio le linee di comunicazione e di rifornimento in Siria, creando le condizioni per un possibile isolamento dei crociati. Doveva dunque essere presa imprescindibilmente.

La città era una vera e propria mentopoli, estesa quasi quanto Costantinopoli, e purtroppo i bizantini l’avevano ben fortificata. La sua cinta muraria era lunga dodici chilometri e correva lungo le creste del monte Silpio, a est e sud, fiancheggiava il fiume Oronte, a ovest, e si affacciava su una zona paludosa a nord. Vi si ergevano quattrocento torri e una poderosa cittadella. L’assalto diretto era di fatti impossibile e fu necessario cingerla in un blocco per prenderla per fame. Yaghisiyan, governatore della città, aveva, però, accumulato grandi quantità di provviste, ben informato della marcia dei crociati dall’ovest. Dunque Antiochia poteva resistere a lungo, pur isolata. Anzi, a lungo andare a patir la fame furono i crociati. Inoltre, il governatore aveva pure chiesto soccorsi ad emiri e signori della guerra musulmani.

I crociati erano tanti ma non così numerosi da poter circondare completamente la grande città. Così Boemondo di Taranto piantò il campo di fronte alla Porta San Paolo, Ugo di Vermandosi, Roberto Coureheuse, Roberto di Fiandra e Stefano di Blois si fermarono tra Porta San Paolo e Porta del Cane, Raimondo di Tolosa e Goffredo di Buglione presso la Porta del Duca. Fu un grande errore. Stanziarsi proprio fuori dalle mura li rese vulnerabili alle sortite dei difensori. Inoltre i turchi potevano comunicare con l’esterno attraverso la Porta del Ponte e la Porta San Giorgio. I crociati avrebbero potuto seguire il consiglio del bizantino Tatikios e fermarsi ad una dozzina di miglia di distanza, a Bagras, invece si esposero ad attacchi e imboscate che, col passare dei mesi ed il crescere di fame e nervosismo, divennero insopportabili.

Nell’inverno del 1097, l’esercito crociato soffrì una tremenda carestia che causò la morte di fame di migliaia di uomini e cavalli. Il morale finì a pezzi svanire, molti iniziarono ad abbandonare l’impresa, i bizantini presero a dubitare dei franchi, le malattie infuriarono e crebbero discordie interne con Tatikios che tornò a Bisanzio portandosi i suoi duemila uomini. Rifornimenti e rinforzi giunsero ai crociati attraverso il porto di San Simeone prima con una flotta genovese e poi con la flotta inglese di Edgardo il Fuorilegge, ma fu difficile condurre le vettovaglie, il legno e gli strumenti per costruire macchinari d’assedio e soldati attraverso terreni così pericolosi.

Il merito andò a Boemondo di Taranto, che, con la sua esperienza di guerra maturata in Oriente, ben conosceva le tipiche tattiche del nemico. In particolare sapeva che i turchi selgiuchidi eran soliti attirare i nemici con i loro arcieri a cavallo per poi circondarli. Affiancato da suo nipote Tancredi d’Altavilla, il normanno cercò di sfruttare sempre il terreno a proprio vantaggio, di restare col fianco coperto e di resistere all’impulso di inseguire il nemico che lo molestava. Fu importante anche il ruolo giocato dai cristiani locali. Essi fornirono informazioni cruciali. Sebbene in molti facessero il doppio gioco, lavorando come spie per i turchi che avevano le loro famiglie in ostaggio, Boemondo seppe sfruttare tanto gli armeni che erano stati espulsi dal governatore (Yaghisiyan li aveva fatti uscire col pretesto di pulire i fossati in vista dell’arrivo dei nemici e poi aveva chiuso loro le porte) quanto i siriani a cui era stato consentito restare in città. Sviluppò così una buona rete di informatori e, anche in virtù di essa, fu pure il principale protagonista degli scontri vittoriosi che si accesero contro i soccorsi nemici che tentavano di spezzare l’assedio, inviati dal sultano Duqaq di Damasco e da suo fratello Ridwan, sultano di Aleppo.

Una sera di gennaio del 1098, l’orizzonte si tinse di rosso, la terra tremò e apparve in cielo una croce rivolta ad oriente. I crociati caddero nel terrore. I loro sforzi erano vani, catapulte e mangani faticosamente costruiti erano inefficaci, il cibo scarseggiava. Alcuni di loro, scoraggiati, avevano riguadagnato la costa o si erano addirittura reimbarcati, altri avevano temporaneamente disertato (Roberto di Normandia si era ritirato a Laodicea), e Raimondo di Saint-Gilles, costatando che i suoi cavalieri esitavano a rischiare i loro cavalli negli scontri, aveva istituito un fondo di mutuo soccorso per fornire cavalcatura a spese comuni. Boemondo, che aveva assunto man mano grande autorità in seno al consiglio di guerra, intimò pene severe ad adulteri, fornicatori, giocatori e ubriachi, allontanò le prostitute e tentò così di tenere alto il morale dei suoi uomini e fermi i loro propositi. Usò poi il pugno duro contro spie e sospette spie, facendole sgozzare a sorpresa, di notte, e li fece cuocere allo spiedo come monito per chi avesse voluto tradire (da qui ebbe urigine la leggenda, ampiamente diffusa nel mondo arabo, del cannibalismo dei cristiani). Nell’estate del 1098 d.C., tuttavia, la situazione era diventata insostenibile, in oiù si seppe che erano in arrivo i soccorsi chiesti dal governatore, comandati da Kerbogha, atabeg di Mosul. Per evitare di essere affrontati in campo aperto da un esercito più grande e più fresco, non c’era altra scelta che prendere la città. Ancora una volta Boemondo fece valere le sue abilità, mentre altri, come Stefano di Blois, preferivano allontanarsi.

Il principe normanno si servì di una guardia di nome Firouz, una figura dibattuta. Secondo la Gesta Francorum tradì i turchi perché questi avrebbero oltraggiato sua moglie. Secondo la cronaca di Ibn Qalanasi, invece, faceva parte di un gruppo di oppositori di Yaghisiyan e avrebbe stretto un patto con Boemondo al fine di scalzare il rivale, in cambio poi della consegna della città. Ad ogni modo, Firouz garantì che una sezione delle mura d’Antiochia e la Torre delle Due Sorelle fossero lasciate incustodite. La sera del 2 giugno 1098 , la cavalleria crociata partì dal campo muovendosi come se andasse contro Kerbogha. Poche ore dopo era invece ai piedi della Torre delle Due Sorelle e Firouz, mantenendo i suoi impegni, vi aprì una finestra. Boemondo coi suoi soldati cominciarono la scalata silenziosa delle mura, occuparono la torre, poi passarono a quelle vicine, sempre protetti dall’oscurità della notte. Le sentinelle furono sgozzate e si aprì prima Porta San Giorgio, poi le altre.

L’irruzione dei normanni fece precipitare Antiochia in un bagno di sangue e disordini. Un massacro nel quale caddero indistintamente cristiani e musulmani perchè era necessario approfittare dell’occasione e non c’era tempo per fare distinzioni. Le cronache riferiscono che “nessuno poteva attraversare una qualsiasi strada della città se non camminando sui cadaveri”Yaghisiyan riuscì fuggire, ma gli andò male. Fu intercettato da cristiani siriani i quali presentarono la sua testa a Boemondo come segno della loro gratitudine per averli liberati da un tiranno.

Non era finita qui. Tre giorni dopo Kerbogha si presentò davanti alle mura di Antiochia, ora città cristiana, e iniziò il suo assedio.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Bordonove, Le Crociate e il Regno di Gerusalemme; J. Richard, La grande storia delle crociate

 

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