Cavour spiega l’intervento in Crimea

Antica aspirazione della Russia era quella di assicurarsi uno sbocco nel Mediterraneo, così, nel 1853, lo Zar Nicola I, approfittando dell’evidente debolezza dell’impero turco, mobilitò l’esercito sotto l’apparente pretesto di proteggere le popolazioni slave e cristiane della penisola balcanica angariate dai musumlani, ma con l’intenzione di impadronirsi degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli in modo da mettere finalmente piede nel Mediterraneo. A questi piani si opposero però Inghilterra e Francia che, visti minacciati i loro interessi, accorsero in aiuto di Istanbul sbarcando truppe nella penisola di Crimea col proposito di occupare l’importante base navale russa di Sebastopoli.

L’accantia resistenza dei difensori russi e lo scoppio fra le truppe anglo-francesi di un’epidemia di colera, resero l’impresa più ardua di quanto si fosse preventivato, perciò gli alleati invitarono anche l’Austria ad affiancarsi alla loro campagna. Vienna respinse la proposta, ma l’invito fu accolto dal Piemonte. Cavour, che aveva seguito con grande attenzione lo sviluppo degli avvenimenti, capì che quello era il momento buono per lanciare il Regno di Sardegna nel grande scenario della diplomazia europe ed offrì a Francia e Inghilterra l’aiuto delle truppe sabaude.

L’offerta fu accettata e così, nel febbraio del 1855, un corpo di spedizione di 18.000 uomini, in gran parte bersaglieri, agli ordini del generale Alfonso Lamarmora, partì per la Crimea.

Le ragioni della partecipazione sarda alla guerra furono ben spiegate in parlamento da Cavour: “Si è detto che noi non avevamo alcun interesse in questa guerra; che noi eravamo assolutamente estranei alla questione che si combatteva in Oriente; che poco per noi importava che la Russia o gli alleati trionfassero. Ma questo, o signori, tornerebbe a dire che noi non abbiamo interesse nel commercio del Mediterraneo; che per noi poco importa che l’influenza preponderante nei Consigli d’Europa si eserciti dalla Russia o dalle potenze occidentali. Ora io credo, o signori, essere della massima evidenza che fra le nazioni di second’ordine nessuna ve n’è la quale abbia nel Mediterraneo maggiori interessi della Sardegna; non c’è nessuna potenza la quale sia maggiormente interessata a che la libertà del commercio orientale sia assicurata non solamente dalla magnanimità e dalla generosità dell’Imperatore della Russia, ma sia assicurata da trattati, conseguenza di una guerra felice. Infatti, o signori, se voi esaminate le statistiche del commercio dell’Oriente, se voi tenete calcolo del numero dei bastimenti che approdano ogni anno a Costantinopoli, oppure dei bastimenti che spingono più oltre il loro viaggio e passano il Bosforo, voi vedrete che il naviglio sardo tiene, se non erro, l terzo rango fra tutti i navigli d’Europa; che, in proporzione del commercio dello Stato, il commercio da quelle parti tiene un rango altissimo; e relativamente al nostro commercio generale noi abbiamo assai più interessi nel mar Nero di tutte le altre potenze del mondo: noi ne abbiamo certamente più dell’Inghilterra, ne abbiamo incommensurabilmente più della Francia. Quindi sta di fatto che noi abbiamo un interesse diretto immediato alla libertà del commercio d’Oriente, noi abbiamo un interesse diretto immediato a che le chiavi di quel mare non cadano affatto nelle prepotenti mani della Russia”.

In Crimea, nel rigido e piovoso inverno di quell’anno, i soldati del Regno di Sardegna dovettero combattere a lungo immesi nel fango delle trincee. Sui giornali di Torino si scrisse: “Coraggio, con questo fango si fa l’Italia”. E il coraggio non mancò. Nella giornata del 16 agosto di quell’anno gli italiani si coprirono di gloria respingendo alla foce del fiume Cernaia una forte colonna di moscoviti, dopo un’aspra battaglia che fu cruciale per isolare definitivamente l’assediata Sebastopoli. La vittoria della Cernaia contribuì efficacemente a costringere i difensori della fortezza russa alla resta. In seguito lo zar dovette chiedere la fine delle ostilità.

Al Congresso di Parigi che portò i rappresentanti delle poteze europee a confrontarsi sulla guerra, prese parte anche Cavour. Il primo ministro sperava di poter riuscire a far assegnare a Vittorio Emanuele II, come compenso della partecipazione delle truppe piemontesi alla guerra, almeno qualcuno dei ducati dell’Italia centrale. Non ottenne nulla. Si dice che, ironizzando sul significato del termine “ducato”, telegrafò a Torino che ritornava “senza neppure un ducato in tasca”. In realtà, con la sua abilità egli riuscì a far in modo che si parlasse anche dell’Italia e delle tristi condizioni in cui si trovavano i vari stati soggetti direttamente o indirettamente all’Austria. Era la prima volta che in Europa si paralava di “questioneitaliana”. Alla chiusura del congresso, i liberali di Roma inviarono al Cavour una medaglia con l’iscrizione: “Che fan qui tante peregrine spade?”. In egual segno di lode i liberali della Toscana gli offricono un busto marmoreo con la dedica: “A colui che difese l’Italia a viso aperto”. Sarebbero seguiti gli accordi di Plombieres.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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