Garibaldi nella guerra civile uruguaiana

L’Urugay era invaso da un esercito argentino fornito da Rosas e comandato dall’ex-presidente Oribe in persona, i blancos. Un importante scontro si ebbe il 6 dicembre 1842 all’Arroyo Grande. I colorados, le forze di Fructuoso Rivera, quasi si equivalevano, ma dopo tre ore di conflitto Oribe prevalse, prendendo possesso della provincia di Corientes. La costernazione a Montevideo fu grande, ma subito alcuni ufficiali riorganizzarono i soldati scampati alla sconfitta e nuove reclute. L’11 dicembre il governo abolì la schiavitù e proclamò la mobilitazione generale. L’incombenza maggiore riguardava la difesa della capitale, il polmone dell’economia uruguayana ed il centro più popoloso. Garibaldi, arrivato lì sul finire di quel mese, accettò l’incarico di ricostruire la flotta, decimata nei mesi precedenti.

A sua disposizione si ritrovò un brigantino, una goletta spagnola e altre quattro navi mercantili che furono tutte armate di cannoni, ma ancor prima che fosse tutto pronto Garibaldi assalì un brigantino argentino con quattro barconi a remi, lo spogliò di due cannoni, di munizioni e vele e poi lo affondò. Fu un’azione temeraria, ma quel brigantino era il segno che la squadra navale nemica, guidata dall’ammiraglio William Brown, stava per principiare un assedio dal mare che Oribe avrebbe completato da terra. Non era possibile bombardare la città né pensare atti di forza perché erano presenti sudditi stranieri e il nemico doveva per forza di cose muoversi per vie diplomatiche. Gli stranieri di Montevideo però non potevano accettare lo strangolamento in atto, i francesi per primi formarono una legione di volontari, li seguirono i baschi, gli inglesi furono incorporati nella Guardia Nazionale uruguaiana, gli italiani invece costituirono un loro corpo di volontari e Garibaldi prese parte alla sua formazione.

I volontari italiani furono divisi in due corpi, i velites, cioè disponibili a tempo pieno, e i legionari semplici, quelli che continuavano nei loro lavori quotidiani ma di pomeriggio accorrevano a svolgere le esercitazioni militari. La Legione, strutturata in tre divisioni e una compagnia, ebbe come bandiera un drappo nero con al centro l’effige del Vesuvio in eruzione. Era un fatto significativo che gli italiani, piemontesi, liguri, veneti, toscani, meridionali si riconoscessero come nazionalità. Furono vestiti con tuniche rosse di lana, quelle confezionate per gli operatori dei macelli di Buenos Aires. Erano il nucleo delle camicie rosse.

Non fu facile raggiungere una buona domicilia e alla prima uscita, il 2 giugno si sbandarono scappando. Qualche giorno dopo Garibaldi in persona guidò duecento italiani facendo dimenticare la brutta prestazione. Il comando della Legione passò al colonnello Angelo Mancini, affiancato dal tenente colonnello brianzolo Francesco Anzani e dal maggiore Giacomo Danuzio. Il 17 novembre fu protagonista della battaglia delle Tres Cruces. Quel giorno, il cadavere del colonnello uruguaiano Neiro, morto in una prima sortita, fu conteso in un’aspra lotta che fu vinta grazie alla carica alla baionetta della Legione italiana. Tanto valore fu ribadito nella battaglia del Pantanoso, il 28 marzo. Purtroppo Mancini e Danuzio, tradirono e passarono al nemico, ma gli italiani non sfigurarono, anzi.

Garibaldi si divideva tra i comandi di terra e sul mare. La sua flottiglia proteggeva il lato sinistro dello schieramento difensivo, tra il Cerro e l’isola dei Topi e si lanciava in puntate offensive a danno dei mercantili che rifornivano il nemico. In quei mesi Garibaldi mise in fuga più volte isolati convogli nemici e catturò diverse imbarcazioni, anche una goletta statunitense, provocando un piccolo incidente diplomatico.

La repubblica urugayana resisteva con le sue piccole forze. Una battaglia fondamentale nella guerra si ebbe il 27 marzo 1845 a India Muerta, ma ancora una volta Rivera fu sconfitto e poi fu catturato. In quella situazione di estremo pericolo per la stabilità delle istituzioni, il 10 aprile Garibaldi ricevette dal governo l’incarico di sovraintendere alla sicurezza della capitale.

Avviato un tentativo di arbitrato europeo, una flotta anglo-francese intimò ad Oribe di interrompere le ostilità, minacciando di bloccare i porti da lui controllati, ma quando Rosas respinse ogni proposta le squadre europee agirono con forza, bloccarono il porto del Buceo e s’impadronirono delle navi di Brown. Quando, poi, Oribe rispose internando in campi di concentramento i sudditi inglesi e francesi, la flotta europea forzarono i suoi blocchi sui fiumi Paranà e Uruguay. A supportarle c’era anche Garibaldi con la sua flotta e la Legione italiana comandata da Aziani.

Si era sul finire di agosto e bisognava occupare i principali porti della costa uruguayana tenuti da Oribe sul Plata e poi risalire il corso dei fiumi per spazzare via i nemici. Gli italiani parteciparono alla presa di Colonia del Sacramento e dell’isola di Martín García, mentre Garibaldi prese Gualeguaychù, sull’omonimo corso d’acqua, in pieno territorio argentino, batté gli argentini a Paysandù e con la Legione dette prova di immenso valore a Salto e Sant’Antonio del Salto per poi sbaragliare ancora gli argentini a Vergara. Fu un trionfo che dette fama al nizzardo e lo pose all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Quel temerario generale, abilissimo nella guerriglia e nella guerra corsara, col suo duro nocciolo di patrioti italiani, rendeva a tutti evidente l’esistenza di una folta comunità di esuli in giro per il mondo, di una questione italiana maltaciuta dalle grandi potenze e la disponibilità del popolo a combattere per essa.

La situazione politica si complicò, si evolse, il fronte uruguayano si divise, la guerra  terminò nel 1852, ma già da tempo Garibaldi non ne era più protagonista.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: A. Pratta, Garibaldi; A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi

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