Bagatelle sul concetto di confine

Ne Il Piccolo Principe il geografo afferma che i testi della sua scienza «sono i libri più preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. È molto raro che una montagna cambi di posto. È molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo cose eterne». Chi si occupa dello studio dei paesaggi, però, sa che ciò non è vero, non lo è per la geografia fisica e non lo è per la geografia umana/antropica.

Lo scrittore russo Aleksej Ivanov, nel suo bel romanzo Il Geografo si è bevuto il mappamondo (2003) fa dire a un suo personaggio che per la geografia «basta un attimo ed è già obsoleta».

Un elemento geografico che può mutare facilmente è il confine, non è un argomento che si possa esaurire nello spazio che ci è concesso, ma questo scritto informale cercherà di riassumerne almeno alcuni aspetti. Secondo il dizionario De Mauro il confine è: «termine, limite estremo di un territorio, di un fondo», «limite amministrativo di una regione geografica, di uno stato», «all’interno di un territorio | zona di transizione a ridosso di un limite geografico, culturale, amministrativo».

Gli spazi delle entità statali sono delimitati da confini, alcuni esempi celeberrimi di confini nell’antichità sono il limes romano e la grande muraglia. Il confine segna una separazione netta tra spazi contigui e stabilisce il diritto di proprietà di uno stato sulla base di accordi che sono, o aspirano ad essere, internazionali. Le carte geografiche selezionano degli oggetti reali e li riproducono riportandoli in scala su un piano orizzontale (appiattiti), ma il confine non è una linea che unisce dei punti; esso è invece un piano verticale che taglia idealmente, entro limiti definiti, il sottosuolo giungendo sino al nucleo della terra, e lo spazio aereo fino a una certa altitudine. I confini vengono stabiliti con la scelta dei punti per cui farli passare (con la trascrizione cartografica) e con la demarcazione, ossia la verifica e lo stabilimento concreto di delimitazioni fisiche (più o meno invasive e “dure”) dove stabilito.

Per cercare di spiegare cos’è un confine bisogna innanzitutto soffermarsi su altri due termini: fronte e frontiera. “Fronte” è un termine che si collega a una condizione in cui si è “di fronte” (davanti) a qualcosa o a qualcuno in una dimensione di conflitto, durante una guerra; esso rappresenta un concetto dinamico: cioè l’aspirazione al raggiungimento di un’altra realtà geografica da parte di una comunità. Per Friedrich Ratzel (1844-1904), la frontiera (come il fronte in guerra) è quell’insieme di molti punti su cui un movimento organico si arresta per la reazione di una forza contraria o per la volontà di arrestarsi: è il luogo dello scontro tra forze contrapposte e può avere un’ampiezza variabile secondo le dimensioni delle forze in campo e le caratteristiche geografiche dei territori. Per lo studioso tedesco: «L’origine di tutte quelle aree [naturali e antropiche] è la stessa, e risiede nel movimento ch’è proprio d’ogni cosa vivente e che si arresta, o pel mancare delle condizioni necessarie alla vita, come la foresta ad una certa altitudine sulle nostre montagne, come l’uomo nelle aree ricoperte di nevi o di ghiacci delle regioni polari e subpolari, oppure per la resistenza oppostagli da un movimento proveniente da altra direzione col quale esso sia venuto ad incontrarsi» (Geografia dell’uomo. Antropogeografia: principi d’applicazione della scienza geografica alla storia, 1891). Tuttavia la frontiera è anche un semplice luogo di separazione o d’incontro, ci sono frontiere doganali ed economiche che vengono attraversate costantemente. Secondo l’antropologo norvegese Fredrik Barth (1928-2016), il confine non limita la comunità umana, ma è il mezzo di interazione tra una realtà sociale e un’altra.

Una terza espressione su cui bisogna meditare è “terra di nessuno”, terra nullius: essa è lo spazio che non è reclamato né controllato da alcuno stato contiguo, generalmente è una zona disabitata e inutilizzata, difficile da circoscrivere (ad esempio aree paludose, desertiche) o una fascia neutrale i cui limiti sono stati stabiliti per garantire la sicurezza tra paesi che potrebbero scontrarsi fra loro. Solitamente, più è grande la terra di nessuno più forte è la rivalità tra gli stati che vi confinano, e a questo punto si potrebbe citare anche il concetto di stato cuscinetto. La terra di nessuno è un luogo in cui possono nascere anche storie affascinanti, come quella della Repubblica di Cospaia, un minuscolo stato indipendente nato nell’omonimo borgo umbro nel febbraio del 1441 a causa di un errore nella definizione dei confini tra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Firenze, e soppresso solo il 26 giugno 1826 con un atto di sottomissione. La famosa pace di Tilsit (7 luglio 1807) tra Napoleone e lo Zar fu stipulata in una sorta di isola artificiale: «fu inalzato in mezzo al fiume Niemen un gran padiglione, a vista d’ambo gli eserciti accampati sulle sponde» narra Erasmo Pistolesi (1770-1860). Bonaparte e l’imperatore russo si trovarono al centro del corso d’acqua, appunto in terra di nessuno, su uno zatterone equidistante dalle due sponde: «I due battelli giungono alla metà del fiume nell’istesso punto, ed ambo i monarchi posto il piede sulla zattera del padiglione, s’incontrano ed abbracciano; quindi passano nella preparata sala, dove si trattengono per ben due ore. […] Monta poi ciascheduno nel suo naviglio, essendo stato fissato che la metà della città di Tilsa stante i negoziati, dovesse essere riguardata come neutrale […]».  

I confini, come abbiamo accennato con la demarcazione, possono essere puramente artificiali, ma anche naturali (o fisici), e la questione è che gli antropologi ci insegnano che questi ultimi sono stati spesso più elementi di incontro e collegamento, che di separazione tra territori, popoli e culture. Se accettiamo le Alpi come confine naturale/storico/culturale della Penisola Italiana, non possiamo dimenticare che esse sono sempre state ricchissime di insediamenti anche di popoli non italici: nelle Prealpi Venete e sulle Dolomiti, ad esempio, il mondo latino e quello germanico si sono incontrati e mescolati.

Ci potremmo interrogare ancora a lungo su altri elementi della morfologia che possono diventare “confini naturali”, ma dopo aver velocemente accennato alle catene montuose non possiamo evitare di soffermarci sulla dimensione del fiume. Ivanov, nel suo romanzo che è già stato citato, scrive: «Fin da piccolo ho provato per i fiumi quello che una volta, forse, si provava per le icone. Credo che il sentimento sia diffuso ovunque nella natura, ma soltanto i fiumi contengono anche un pensiero». Il fiume può essere un confine o può essere un collegamento, e sulla base di queste due prospettive molti corsi d’acqua sono stati investiti di una grande varietà di significati. Nell’Italia contemporanea possiamo citare il famoso caso del rituale dell’ampolla d’acqua del Po celebrato dalla Lega Nord, la quale attribuì a quel fiume un significato di collegamento tra i popoli della “Padania”, senza tenere in considerazione che storicamente per molti secoli, prima dell’espansione romana e dopo la conquista longobarda, quei popoli sono stati separati da confini culturali e politici (Hobsbawm parlerebbe quindi di “invenzione della tradizione”). Nell’Italia moderna, dopo la Grande Guerra, il Piave è divenuto invece un fiume “sacro alla Patria” perché è stato una frontiera, o meglio l’argine all’avanzata dell’esercito austroungarico, non era però d’accordo lo scrittore veneto Goffredo Parise (1929-1986), il quale il 7 febbraio 1982 dichiarò sul Corriere della Sera: «Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave: “Fiume Sacro della Patria” mi commuovo ma non perché penso all’Italia bensì perché penso al Veneto. Fuori del Veneto per me è terra straniera e forse ostile. Non ho mai combattuto come altri possono aver fatto questo sentimento perché è veramente il più forte, né amo in maniera particolare i veneti per il solo fatto di essere veneti». All’inizio del suo articolo il romanziere aveva chiarito: «Il Veneto è la mia Patria. Do alla parola Patria lo stesso significato che si dava durante la prima guerra mondiale all’Italia: ma l’Italia non è la mia Patria e sono profondamente convinto che la parola e il sentimento di Patria è rappresentato fisicamente dalla terra, dalla regione dove uno è nato. Sebbene esista una Repubblica Italiana questa espressione astratta non è la mia Patria e non lo è per nessuno degli italiani che sono invece veneti, toscani, liguri e via dicendo. L’Unità d’Italia non c’è mai stata nonostante la “Patria” del Risorgimento, della prima guerra mondiale, della seconda e della costituzione repubblicana in cui viviamo». È una Patria poetica e letteraria questa di Parise, che però alla sua Patria “regionale” non sa dare confini precisi. Il narratore non si rifà a confini storici, ma emotivi: «Ritengo che le Tofane e le grandi e scintillanti distese di neve su tutta la Conca Ampezzana ma anche al di là verso la provincia di Bolzano, quella cresta punta che si chiama monte Lagazuoi, in vetta al passo del Falzarego, siano la mia Patria».

Non è superfluo, a questo punto, ricordare che lungo il corso di grandi fiumi si sono sviluppate civiltà come quelle babilonesi, l’egizia, l’indiana, la cinese, perché ciò ci pone davanti a un’ulteriore riflessione: il fiume è più frequentemente un confine o una risorsa da contendersi? Separa o crea? Ricordiamoci delle guerre per il controllo dei fiumi, ma anche del ruolo dei fiumi nelle guerre. Pensiamo alla storia del Bacchiglione, un fiume veneto di 118 chilometri che attraversa Vicenza, Padova e la provincia di Venezia. Dante, nel IX canto del Paradiso, scrisse: «ma tosto fia che Padova al palude/ cangerà l’acqua che Vicenza bagna,/ per essere al dover le genti crude» (46-47). Il sommo poeta potrebbe qui alludere al fatto che nel XII secolo, per privare i loro nemici padovani dell’acqua, i vicentini crearono il Canale Bisatto, che si stacca dal Bacchiglione a Longare. Ma i padovani risolsero il problema nel 1314, con la realizzazione del Canale Brentella, che impediva di togliere l’acqua alla città di Antenore deviandola nel Bisatto.

Nella mitologia classica, Eracle devia l’Alfeo e il Peneo per ripulire le stalle di Augia, ma anche il Cefiso per inondare una pianura e sconfiggere i Mini. Ritornando alla prima citazione con cui è iniziato il nostro discorso, i fiumi possono quindi anche fungere da confini visibili, ma il loro corso è soggetto senza troppi problemi a mutamenti (naturali o determinati dall’uomo).

 

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

 

Bibliografia: AA.VV., Scritti sui lavori di sistemazione dei fiumi veneti Brenta e Bacchiglione estratti da vari giornali italiani, Tipografia del Commercio, Venezia 1859; Beggiato Ettore, Piazzetta Goffredo Parise a Vicenza: “Il Veneto è la mia Patria”, diceva, in Miglioverde, 12 dicembre 2017; Cabanes Pierre, Introduzione alla storia del mondo antico, Donzelli, Roma 2002; Caraci Luzzana Ilaria, Al di là di altrove. Storia della geografia e delle esplorazioni, Mursia, Milano 2021; Costantini Toldo, Le metamorfosi della Brenta, e del Bacchiglione, Baldini, Ferrara 1603; Cusimano Girolamo, Mercatanti Leonardo, Una geografia dei confini tra passato e modernità, in «Le nuove frontiere della scuola», n. 40, anno XIII, marzo 2016, pp. 61-73; Fatti d’armi di Napoleone con sessanta tavole litografiche, Roma, Puccinelli 1844; Fuselli Enrico, Cospaia tra tabacco, contrabbando e dogane, Museo Storico Scientifico del Tabacco, San Giustino 2014; Gloria Andrea, Un errore nelle edizioni della Divina Commedia uno nei vocabolari, Randi, Padova 1885; Ivanov Aleksej, Il geografo si è bevuto il mappamondo, Voland, Roma 2022; Pigliucci Michele, Le zone economiche speciali nel Mezzogiorno d’Italia, Nuova Cultura, Roma 2019; Pistolesi Erasmo, Effemeridi di Napoleone Bonaparte, Tomo VII, Marini, Roma 1831; Selmin Francesco, Grandis Claudio (a cura di), Il Bacchiglione, Cierre, Verona 2008.

 

Il presente articolo costituisce la base di un’esposizione preparata dall’autore nell’ambito di un master in geografia che ha frequentato e concluso tra il 2021 e il 2022.

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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