La conquista del corpo. La violenza sessuale dei nazisti ad Est
La ricerca accademica sull’Olocausto riconosce la centralità dell’Europa orientale come epicentro del progetto genocida nazista. L’Est è il territorio patrio della vasta maggioranza delle vittime e il luogo dei più ambiziosi e letali programmi di ingegneria demografica. In questo ambito, una crescente tendenza di studio è occupata dall’esame dei crimini sessuali nazisti, sia compiuti su ebrei che su non ebrei.
Individuiamo tre tipi di violenza sessuale contro le donne (e non solo):
1) La violenza sessuale (stupro) intesa come qualunque rapporto non consensuale che implica un rapporto sessuale vero e proprio;
2) La violenza a sfondo sessuale. Ugualmente traumatica e brutale pur senza rapporto sessuale, essa è così analizzata dalla storica Brigitte Halbmayr: “il termine violenza a sfondo sessuale rende evidente che la violenza maschile contro le donne non riguarda la sessualità ma è una dimostrazione di potere da parte dell’autore ed include molte forme di violenza con connotazioni sessuali, incluse umiliazione, intimidazione e devastazione”.
3) Strumento sessuale (la schiavitù sessuale). Parliamo di una forma di violenza sessuale in cui la vittima – sempre inerme in una situazione di scelte senza possibilità di scelta – ha la capacità di dettare, in qualche modo, la maniera della propria sottomissione, tale da ottenere dei benefici materiali e, in qualche modo, sopravvivere (una situazione precaria, ovviamente).
Le ragioni che hanno portato la ricerca accademica sull’Olocausto a focalizzata più direttamente sulla violenza sessuale sono diverse. Anzitutto la considerazione che non c’è un grande numero di sopravvissuti in grado di testimoniare la violenza sessuale durante l’Olocausto perché molti di coloro che sopravvissero a quella traumatica esperienza morirono nelle camere a gas o in periodi successivi e, in aggiunta, spesso gli esecutori della violenza sessuale uccidevano immediatamente le proprie vittime per nascondere il crimine stesso. Si registra poi una reticenza a raccontare tale esperienza e, anche nel caso di sopravvissute che ricordano tali esperienze particolarmente dolorose, queste memorie rimangono conservate privatamente o condivise solamente tra una piccola comunità di sopravvissuti.
Coloro che sono sopravvissute all’Olocausto, spesso, non accettavano con facilità di affrontare un tema taboo, provavano un senso di vergogna o colpa, soprattutto se, per esempio, avevano usato il proprio corpo come strumento sessuale per cercare di sopravvivere (una sopravvissuta ricordò, dopo la guerra, di vedere i suoi compagni ebrei chiederle come fosse sopravvissuta e, nei loro occhi, un lampo di sospetto: Kapo? Puttana?).
Lo storico Nechama Tec – autore del libro The Defiance sui fratelli Bielski – notava amaramente che “a giudicare dalla reticenza in cui mi sono imbattuto nelle intervistate a raccontare le proprie esperienze di sesso forzato, devo presumere che la maggior parte di quelle storie moriranno con le vittime”. Storici come Christopher Browning hanno suggerito che molte vittime portavano ricordi repressi, il che era tanto una strategia di adattamento alla sopravvivenza quanto un atto intenzionale di dimenticare.
Un po’ di informazione su questo argomento è venuta alla luce grazie sia alla volontà della ricerca accademica di affrontare l’argomento sia al desiderio delle invecchiate sopravvissute di separarsi da un po’ dei loro dolorosi ricordi. Alcuni studiosi, però, avvertono che le testimonianze esistenti rappresentano solo la “punta dell’iceberg”.
L’aspetto interessante del dibattito tra gli storici – alla luce dei genocidi in Rwanda e nei Balcani – è emerso chiedendosi quanto la violenza sessuale sia stata prevalente nella strategia militare e genocida dei nazisti e se sia stata un’arma intenzionale nella loro politica di conquista militare.
Riguardo alla seconda questione dello stupro come arma di guerra dei nazisti esiste un vivace dibattito accademico che richiede un approccio più preciso e sottile.
Elizabeth Wood afferma che, in generale, “lo stupro è un’effettiva strategia di guerra” e Regina Muhlhauser sembra pendere verso la posizione che i nazisti usarono lo stupro come una consapevole arma di guerra ad Est. Tuttavia è difficile trovare una solida prova di ciò dal punto di vista della politica nazista.
Birgit Beck suggerisce una soluzione a metà strada. Afferma che “per trovare prove certe, è necessario esaminare la questione del se la violenza sessuale fu ordinata dalla leadership militare, se la silenziosa tolleranza fece in modo di dare ai soldati il permesso di commettere tali azioni, o se ci furono tentativi di impedire tali crimini proibendoli e punendoli”.
In breve, non possiamo trovare alcun ordine o politiche esplicite che abbiano indirizzato i soldati tedeschi e gli uomini delle SS ad utilizzare la violenza sessuale come uno strumento di conquista militare (benché, nei campi in particolare, divenne uno strumento di umiliazione, tortura e repressione). Senza dubbio, l’ideologia nazista per definizione precluse qualsiasi possibilità di miscegenazione con gli ebrei. Così allo stato attuale della ricerca accademica non si può provare che macchina da guerra nazista cercò intenzionalmente di coordinare la violenza sessuale nelle sue campagne di pulizia etnica ed omicidio.
D’altra parte, però, le autorità naziste crearono un ambiente permissivo in cui tali comportamenti furono ignorato e raramente e leggermente punito. Benché non incoraggiassero attivamente o esplicitamente le aggressioni sessuali, permisero trasgressioni morali di tutti i tipi, dalla tortura, al furto, all’omicidio e allo stupro in città, villaggi, al fronte, nelle retrovie, nei ghetti, e tutti i tipi di campi.
Le radici di tale comportamento si possono rintracciare in generale nell’immagine razzista nazista dei popoli dell’Europa orientale e negli ordini criminali che crearono una cultura tollerante della criminalità e dell’abuso ad Est, come il Decreto di Giurisdizione che sottraeva i civili nemici alla protezione della legge militare, dando ai soldati tedeschi l’impunità legale nel trattamento dei civili. Inoltre viene rilevato che, nonostante le proibizioni delle relazioni sessuali con i popoli etnicamente inferiori risalissero alle leggi di Norimberga e nonostante l’ossessione nazista della purezza della razza, tesa ad evitare la Rassenschande, la contaminazione razziale, tutto ciò non agì come significativo deterrente all’attività sessuale, consenziente o meno.
Autore articolo: Vincenzo Zazzeri, appassionato di storia militare romana, della Guerra Civile americana e delle due guerre mondiali.
Bibliografia: Bodily Conquest di Waitman Wade Boern, saggio da Mass Violence in Nazi-Occupied Europe a cura di Alex J. Kay e David Stahel