Guido d’Arezzo, l’inventore delle note musicali

Alcuni aspetti importanti della sua vita sono raccontati in Ad michahelem una lettera indirizzata ad un frate del monastero di Pomposa, dove risiedette per qualche tempo, ma la documentazione sulla figura di Guido d’Arezzo, l’inventore delle note musicali, è davvero scarna.

Nacque in Toscana nel 990, ad Arezzo secondo il monaco benedettino Sigbert de Gembloux,  e morì nel Monastero di Fonte Avellana intorno al 1030. Da bambino ricevette un’eccellente formazione musicale presso la scuola del duomo di Arezzo, dove in seguito divenne suddiacono, secondo l’archivio episcopale della cattedrale. Fu a Pomposa, vicino a Ferrara, dal 1013 e da qui, entrato in conflitto con l’abate della comunità per le sue innovazioni musicali e pedagogiche, fu spostato dal Vescovo Teobaldo ad Arezzo.

Nell’undicesimo secolo, la notazione musicale persisteva sotto forma di neumi. Emersi nell’VIII secolo, questi segni grafici consistevano in lunghi melismi cantati su una sillaba e formule melodiche e ritmiche note ai monaci. Sul piano semiologico corrispondevano alle rappresentazioni musicali delle sillabe, che facilitavano la memorizzazione e la pronuncia: l’ecclesiastico che dirigeva la scuola insegnava ai bambini a “cantare tutto ciò che si dice”. Inscritti a diverse altezze su una linea orizzontale immaginaria sopra le parole, i neumi non sempre indicavano gli intervalli o le altezze delle note. La grande innovazione di Guido fu l’invenzione del rigo, un insieme di linee colorate di rosso, giallo e verde: assegnò una posizione a ciascun suono e posiziona i suoni sopra e tra le righe. Il numero delle linee variò fino a fissarsi in quattro nel XIII secolo, e poi in cinque nel XVI secolo. Rispettando le regole della teoria modale del canto liturgico, Guido aggiunse poi alcune lettere chiave (F, C o G), consentendo modifiche.
Questo sistema di notazione melodica è il precursore del moderno pentagramma musicale.

La grande fama di Guido lo portò a Roma nel 1028, da papa Giovanni XIX che, estasiato, concesse al suo sistema di notazione musicale il riconoscimento pontificio.

Guido si concentrava sui numeri, sulla matematica, sulle proporzioni di ottava, quinta e quarta, spingeva ad imparare il canto dal libro dei Salmi, studiava i vecchi trattati di musica recuperando Platone e i pitgorici. Disvelando le regole della monodia liturgica, trasformò la musica occidentale, vale a dire notazione ed estensione musicale. Così poté assicurare: “Una grande distanza separa i musicisti (musicorum) dai cantanti (cantorum): si esibiscono, quelli che sanno di che cosa è fatta la musica”.

Nell’epistola Ad michahelem spiegò il suo metodo pedagogico di memorizzare le sei note dell’estensione (esacordo) che consiste nel cantarle sopra le sillabe Ut-Ré-Mi-Fá-Sol-La, arrangiando il mezzotono (mi-fa) nel mezzo di quattro intervalli di un tono. Insieme e ascendenti, le loro note provengono dall’inizio dei versi dell’inno dei vespri di San Giovanni Battista:“UT queant laxis/ REsonare fibris/MIra managerum/ FAmuli tuorum / SOLve polluti/ LAbii reatum / Sancte Ioannes (Perché i tuoi grandi servi possano risuonare chiaramente la meraviglia delle tue opere, pulisci le nostre labbra impure, o San Giovanni)”. Successivamente il Si viene unito per congiungere l’ottava superiore o inferiore che è tratta dall’ultimo verso “Sancte Ioannes”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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